» Extra: Di un giorno di primavera [ Parte II ]

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Il suo rientro a Marlborough House non fu dei più sereni.

Quando sua madre lo vide attraversare la soglia da solo, si limitò a sospirare; ma suo padre non fu altrettanto parco di parole. Seduto alla scrivania del suo studio, col cielo che s'incupiva di nubi oltre la finestra alle sue spalle, lo tormentò sull'importanza di avere una Compagna leale, e dei rischi che correvano i vampiri che decidevano di non legarsi a nessuno.

Ambrose subì la strigliata in silenzio, dandosi mentalmente dello stupido.
Perché, perché esitava?

Gabrielle – o qualunque fosse stato il nome dell'Artificio dalla pelle di bronzo – sarebbe andata bene; doveva solo nutrirsene e trattarla con gentilezza, nient'altro. Eppure, continuava a posporre il momento della sua scelta.

Non era mai stato facile, per lui, entrare in confidenza con qualcuno.
Sapeva conversare ed essere amabile, come richiesto dalla sua posizione; ma l'idea di doversi aprire davvero con qualcuno lo atterriva.

Sopportava con pazienza le chiacchiere superficiali, riti imposti dall'educazione, ma non appena la conversazione virava su argomenti più personali, Ambrose si richiudeva in se stesso, difendendosi con le uniche armi in suo possesso: distacco e cortesia.

Essere obbligato all'intimità del morso con una sconosciuta lo rendeva inquieto, nervoso; e ancor di più paventava la Comunione del Sangue, che l'avrebbe costretto ad affezionarsi persino all'anonima Emmanuelle.

Aveva sperato di trovare qualcuna con cui sentirsi affine ma, ogniqualvolta immaginava un Artificio al suo fianco, la sua mente lasciava affiorare il viso della radiosa ragazza dai capelli bianchi, l'unica creatura di Kensington Palace che l'avesse osservato con un po' di curiosità.

Con suo sommo dispiacere, non riuscì più a vederla: Stephen era sempre circondato da nuovi Artifici, mentre lord Alastair partecipava di rado alle feste, preferendo condurre una vita più ritirata.

Scoprì ben presto che gli bastava scorgere una chioma particolarmente chiara per domandarsi se si trattasse di Clarisse; e non appena si rendeva conto di essersi sbagliato, non riusciva a soffocare l'immancabile delusione.

Non si domandò mai se fosse saggio alimentare quella curiosità; anzi, lasciò che assumesse nuove e più sfumate forme.

C'era, su quel corpo bianco, la spigolosa camelia dei Mowbray? Riposava forse sulla curva gentile della sua spalla, appena celata alla vista, o bisognava invece spingersi più in profondità, sciogliendo lacci e bottoni per raggiungerla?

Non conosceva antidoti al veleno della fantasia; così se ne lasciò intossicare, notte dopo notte, nel buio della sua stanza.

Fu con insolito entusiasmo, quindi, che qualche settimana dopo ricevette l'invito per una festa a Kensington Palace, dove i Mowbray avevano organizzato un ricevimento per il compleanno del piccolo Gideon, il fratello minore di Stephen.

La grande residenza fu aperta agli ospiti in uno splendore di stucchi dorati, fiori freschi e cristalli preziosi, che tintinnavano acuti ai brindisi dei nobili. I Mowbray sembravano aver mobilitato tutti gli Artifici in loro possesso: valletti, camerieri, musicisti e ballerini si muovevano con eleganza tra la folla, elargendo sorrisi e, laddove richiesto, persino le vene dei polsi.

Ognuno di loro era in vendita: dopotutto, anche un evento simile poteva diventare un modo per incrementare gli affari.

Ambrose si sforzò di essere galante con le donne e loquace con gli uomini, cercando al contempo di sfuggire ai consiglieri di suo padre e soprattutto a suo zio Philip.

Il Princeps, alto e bello nel suo completo scuro, voleva convincerlo a sottoporsi a un'altra sessione di allenamento, ma Ambrose non intendeva più subire quell'umiliazione. Negli ultimi anni era piuttosto migliorato, ma non abbastanza da riuscire a battere i suoi coetanei Cacciatori, con suo grande scorno ed estremo divertimento dello zio.

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