Schivai il colpo del bestione scivolando di lato, poi gli assestai con forza una gomitata sulla nuca, facendolo barcollare in avanti.La violenza della botta sarebbe stata sufficiente a tramortire un Selvatico, ma Luc si riprese in fretta e mi fu nuovamente addosso, il volto concentrato nello sforzo, un velo di lucido sudore sulla fronte.
Tentò di colpirmi ancora, ma il suo pugno chiuso non raggiunse mai la mia faccia; un cupo ringhio d'insoddisfazione si liberò dalla sua gola quando scartai lateralmente, fuori dalla sua portata.
«Non sei un vampiro, ma una maledetta ballerina», brontolò, irritato.
Sogghignai mentre tornava alla carica, ma questa volta bloccai il suo calcio con entrambe le mani, facendogli perdere l'equilibrio e trascinandolo a terra.
Mi raddrizzai, osservandolo dall'alto. «In effetti, ho molteplici talenti», commentai, sardonico.
Con una spinta delle gambe muscolose, Luc si rimise in piedi, pronto a ricominciare. Se c'era un tratto della sua personalità che mi piaceva, era proprio la pertinacia portata all'esasperazione.
Il bestione era rapido, preciso e feroce, ma non sembrava consapevole di utilizzare sempre la stessa sequenza di movimenti. Per chi aveva la sfortuna di scontrarsi con lui per la prima volta, era del tutto irrilevante: la morte sarebbe sopraggiunta troppo in fretta per individuare lo schema dietro i suoi movimenti; ma per chi l'aveva osservato combattere per anni, costituiva un discreto vantaggio.
Questo, naturalmente, valeva solo nel corpo a corpo; con le armi Luc vantava una mira e una tecnica da Cacciatore veterano, rendendolo uno dei miei compagni preferiti quando mio fratello lo dispensava dall'incombenza di fare da balia asciutta alla sua Compagna.
Rinvigorito dal sangue di Clarisse, l'avevo trascinato nel parco del Palazzo per assaporare la mia forza ritrovata, quella lucidità che ormai da giorni mi sfuggiva.
Combattere mi dava pace.
Era l'unico momento in cui lasciavo che il mio corpo prendesse il sopravvento, coniugando la logica all'istinto; in cui potevo gioire della parte più oscura della mia anima, attingendovi a piene mani.Per troppo tempo mi ero lasciato dominare dal malumore, torturandomi per delle azioni che non potevo cambiare e anelando qualcosa che, fin dall'inizio, non avrei mai dovuto concedermi.
Si pensa sempre che sapremmo evitarle, le catastrofi, se solo le vedessimo arrivare; io l'avevo vista, riconosciuta.
L'avevo desiderata, la mia catastrofe, rovinosamente, nonostante tutto.
Dovevo parlare con lei. Era tempo di mettere fine al limbo d'incertezza nel quale mi ero relegato; avevo bisogno che il suo odio si condensasse in parole, in modo da uccidere anche quell'ultima, vergognosa fiammella di speranza che ancora si ostinava ad agitarsi nel mio petto. Dovevo farmene una ragione, e ci sarei riuscito.
Per quanto lo volessi, infatti, non intendevo costringerla a restare con me; non potevo più imporle la mia presenza, non dopo quanto avevamo passato.
Le parole di Gaspar si erano grattate un nido nella mia coscienza, incuneandosi fra i miei pensieri. Avevo quindi cominciato a vagliare nuove possibilità: non l'avrei mai consegnata alla Corte, ma esistevano diversi luoghi dove avrebbe potuto condurre una vita pacifica, ritirata, al riparo da altri vampiri.
I Mowbray controllavano alcune colonie di Artifici, mentre i Graham avrebbero potuto trovarle una sistemazione fra i loro Selvatici. Non le avrebbero mai fatto del male, né l'avrebbero toccata; persino Ambrose non avrebbe avuto nulla da obiettare. Sì, i Graham erano una buona soluzione.

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Dies Sanguinis
Vampire[ • Conclusa e in revisione • ] Anno 2204. Quando il Sole è diventato velenoso, gli esseri umani hanno cercato una soluzione nell'ingegneria genetica, mutando il DNA di alcuni soggetti per sopravvivere. La mutazione ha però dato vita a una nuova raz...