~20~ Cattedrale di alberi e ossa

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Dahlia sorrideva con la spietata accondiscendenza di chi aveva in pugno una mano vincente e non aveva bisogno di farne mistero, nell'attesa di gettare le proprie carte scoperte sul tavolo.

Piccole rughe sottili rimarcavano l'inclinazione di quelle labbra attraenti, seppure sfiorite dall'incedere impietoso del tempo. L'ustione dai margini frastagliati che le aveva devastato il volto seguiva la linea della tempia sinistra, svanendo sotto i capelli accuratamente acconciati e proseguiva poi sullo zigomo, terminando vicino all'angolo della bocca. Quello sfregio però non riusciva a nasconderne la bellezza che doveva aver posseduto in gioventù e che aveva sicuramente ammaliato umani e vampiri.

Un'opera d'arte, anche se rovinata, è comunque un'opera d'arte.

Ora più che mai comprendevo quanto avesse voluto dire Clarisse: Dahlia certamente lo era stata, con i suoi occhi verde menta e la pelle d'ambra levigata, la lunga e pesante treccia d'argento che scintillava di bagliori azzurri.

«Speravo che la Selvatica fosse in vendita» disse Gareth con il suo miglior timbro di voce, affascinante e garbato. Tratteneva la ragazza stringendola con delicatezza fra le braccia; lei comunque non sembrava intenzionata ad opporre ulteriore resistenza.

«Volevo farne dono alla mia Compagna» continuò, come se stesse valutando di regalarmi un semplice mazzo di rose.

«Ha il signum della Corte, caro» rispose lei, avvicinandosi a Gareth e sfiorandogli un avambraccio con familiarità, le lucide unghie laccate di rosso sulla sua camicia bianca, «sai cosa vuol dire: appartiene alla Corte e vi resterà finché non sarà vecchia o inutilizzabile. Nelle celle ci sono molti Selvatici non marchiati, se lo desideri.»

La sua voce era dolce, ma ne riconobbi l'anima inflessibile.
Sentii le dita delle mani diventare fredde e pregai che Gareth riuscisse a spuntarla.

Prima che me ne accorgessi, un vampiro vestito di nero mi superò per portarsi al fianco di Dahlia, il corpo muscoloso e imponente ricoperto di diverse armi.

Un Cacciatore.

Lo riconobbi dalla divisa essenziale e ormai crudelmente familiare, dalla fondina nera legata alla coscia e dal caricatore poco lontano.
Si mosse così rapidamente che non riuscii a formulare un avvertimento, ma questi si limitò a inchinarsi a Gareth con rispetto.

«Volevo lei, Dahlia» replicò Gareth, lasciando tuttavia la presa. La ragazza caracollò in avanti tra le braccia pronte del Cacciatore, che la sostenne, «Speravo che un compromesso fosse possibile.»

Guardai impotente il Cacciatore cingerle le spalle tremanti e condurla lontano da noi con un'impassibilità insostenibile, riportandola di nuovo nella bocca del suo inferno.
Il mio primo tentativo di salvare qualcuno, fallito prima ancora d'iniziare.
Inutile, ancora una volta.

«Sono tempi difficili per gli affari, caro» disse lei con finta contrizione, disegnando un fregio nell'aria con le dita magre, «e scovare i Selvatici si sta facendo più complicato del previsto. Erano mesi che non trovavo una creatura così graziosa e sai quanto loro siano frangibili. Gioca con lei per un paio di giorni, se lo desideri, ma dovrà tornare.»

Sentii un antico odio gravarmi sullo stomaco, viscerale e nauseante.
Se avevo considerato colpevole l'ignava indifferenza di Sara e di tutti gli Artifici della Residenza, questo era molto peggio: Dahlia gestiva per i vampiri un vero e proprio traffico di schiavi, trattandoli come meri oggetti.

«Immagino di non poterti convincere neppure invocando la nostra antica amicizia» commentò Gareth, rivolgendole uno sguardo ricolmo d'affetto che mi fece rimestare lo stomaco, «il tuo cuore è rivestito d'acciaio, meine Freundin.»

Dies SanguinisDove le storie prendono vita. Scoprilo ora