La luce pallida del sole filtrava dalle finestre facendo rilucere di bagliori dorati i lunghi capelli di Clarisse, una leggera nuvola iridescente attorno al suo viso minuto. I suoi occhi indugiavano su di me, velati di gentilezza, mentre cercavo di fare ordine tra i miei pensieri ingarbugliati.Ho trentasei anni, come Ambrose.
La sua voce morbida da soprano continuava a sussurrarmi quell'ammissione nelle orecchie, facendomi comprendere quanto fossi lontana dalla verità ritenendola un'ingenua adolescente.Clarisse ponderava le mie reazioni, evidentemente curiosa di scoprire come avrei reagito; quell'improvvisa certezza mi spinse a trincerarmi dietro un'espressione neutra, poiché sottovalutare quella creatura sarebbe stato un errore imperdonabile.
«Temo di non capire» replicai quindi, guardandola di rimando.
Lei piegò un poco il capo, una posa che la faceva somigliare a una piccola sterna bianca.«Sono difettosa. Il medico che si occupò del mio genoma – Lord Alastair, del clan Mowbray – commise un errore» chiosò, l'ombra di un sorriso tirato sulle sue labbra chiare, «intendeva creare un Artificio che non dovesse mai subire l'inglorioso sfacelo del tempo, splendido fino alla fine dei suoi giorni. Sarei stata il regalo perfetto per il figlio del suo signore, il Duca di Mowbray.»
Avvertii una punta di durezza nella sua voce, assolutamente inedita in un Artificio. Ancora una volta mi scoprii affascinata da lei; era un Artificio nell'aspetto e tuttavia non c'era affettata compiacenza o docilità in lei, nessuna traccia della pacata remissività che caratterizzava gli Artifici.
La brillantezza delle sue iridi turchesi era offuscata da qualcosa di molto simile al risentimento, alla rabbia per non essere stata altro che un dono, una bambola offerta sull'altare della convenienza politica.Clarisse fece un cenno vago con la mano, quasi a voler scacciare il ricordo.
«Comunque, alla fine si accorsero del mio difetto. Il figlio del Duca pretese un nuovo dono, sebbene non avesse alcuna intenzione di disfarsi di me. Ero abbastanza bella da solleticare il suo desiderio, ma non mi voleva come Compagna. Cosa avrebbe mai potuto farsene di me, una ragazzina, una volta diventato uomo?»Una stilla di amarezza sporcò la sua voce splendida, ma svanì così presto che mi domandai se non me la fossi immaginata. La guardai alzarsi dal divano con consumata grazia e premette un piccolo pulsante sulla parete.
«Sara, mia cara, ci porteresti degli scones? Sarebbero deliziosi accompagnati da un tè.»
Quello che compresi essere un interfono gracchiò un'ossequiosa risposta affermativa.
Clarisse mi rivolse un sorriso e tornò ad accomodarsi accanto a me.«Dunque non è stato il Duca ad allontanarti» commentai, sperando che continuasse a parlare.
Non mi deluse: scosse la testa, i capelli a sottolineare il morbido movimento del collo sinuoso.«Oh, no. Non sarei diventata la Compagna di suo figlio, ma ero comunque un dono unico. Un'opera d'arte, anche se rovinata, è comunque un'opera d'arte; il Duca era orgoglioso di potermi vantare tra i suoi tesori» rispose, e i suoi occhi ebbero un lampo di malizia, «Ma Ambrose era il figlio del Reggente, e anche a sedici anni sapeva essere inflessibile.»
Non avevo alcuna difficoltà a crederlo. Immaginai un giovane vampiro dagli occhi seri e i capelli dorati, mentre pretendeva per sé l'Artificio più bello che fosse mai stato creato.
«Sapeva del tuo... problema?»
«Sì. Tutti allora sapevano di me, la Cailleach dei Mowbray, come mi chiamavano nei loro salotti. Talvolta lo fanno ancora, quando Ambrose non può sentirli. Comunque, a lui non è mai importato.»

STAI LEGGENDO
Dies Sanguinis
Vampire[ • Conclusa e in revisione • ] Anno 2204. Quando il Sole è diventato velenoso, gli esseri umani hanno cercato una soluzione nell'ingegneria genetica, mutando il DNA di alcuni soggetti per sopravvivere. La mutazione ha però dato vita a una nuova raz...