~7~ L' ago del dolore

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L'auto si fermò davanti all'ingresso di una sontuosa villa di mattoni rossi, circondata da un giardino di immani dimensioni. Un'alta cancellata nera ne delimitava l'ingresso e le alte finestre riflettevano il cielo bianco e la sua luce pallida. Gareth scese dall'auto ed io lo imitai, stringendomi addosso il cappotto di lana quando un'inaspettata folata di vento mi fece rabbrividire, scompigliandomi i capelli.

Doveva essere stata una residenza importante prima che i vampiri se ne impadronissero; mi domandai chi vi avesse abitato e se ancora esisteva, umano o vampiro che fosse.

«Benvenuta a Ranger's House» disse Gareth facendomi strada oltre il cancello nero, sul viale che conduceva verso l'ingresso dell'abitazione. Il vento muoveva piano l'erba del parco, portando con sé gli odori della campagna e della terra umida di pioggia.

«Non si può dire che i vampiri non amino l'ostentazione, in quanto a dimore» commentai, osservando con sguardo critico le proporzioni del palazzo.

Le labbra di Gareth si stiracchiarono in un sorriso pigro.

«Preferiamo chiamarla vanità, la troviamo meno volgare. E più in generale, puoi essere certa che non troverai vampiro che abbia tanto a cuore la propria vita quanto la sua vanità, quindi non sottovalutarla.»

Mio malgrado sorrisi anch'io.

«E perché il Reggente di Londra si accontenta di vivere con il fratello in una semplice residenza cittadina, invece di appropriarsi di un castello? Immagino che Windsor sia stato preso in considerazione.»

Il mio tono era ironico ma Gareth, sorprendentemente, prese l'argomento sul serio.

«Siamo sentimentali. E non lo definirei accontentarsi avere il piacere della mia compagnia» chiosò con leggerezza, poi la sua espressione si fece più seria, «Sono l'ultima linea di difesa di Ambrose. Se vuoi ucciderlo, prima incontri me.»

Il sorriso sinistro con cui accompagnò quell'ultima affermazione ebbe l'effetto di farmi rabbrividire ancora. Sperai che potesse essere interpretato come un brivido di freddo.

«Comunque» riprese, quando raggiungemmo l'ingresso, «Windsor viene utilizzata... per altri scopi.»

Non riuscii a domandargli altro, perché la porta di legno laccato si aprì con uno scatto non appena arrivammo sulla soglia. Fu una ragazza a farci entrare, vestita di scuro e dai capelli bruni, acconciati in una crocchia morbida.

«Padrone» disse, con un breve inchino, «Siete atteso al piano superiore.»

Gareth annuì senza prestarle particolare attenzione e le consegnò il cappotto senza indugiare oltre.

Quando la cameriera si rivolse a me notai che i suoi occhi bruni erano arrossati, stropicciati da un pianto recente. Sembrava aspettarsi qualcosa da me, ma io non riuscivo a capire.

Arrossii quando mi resi conto che aspettava che le tendessi il cappotto, e mi lasciai aiutare quando si rese conto che ero profondamente a disagio.

«Vieni, Kitty. Armand aveva una moglie e due figlie, e non sarebbe cortese farle aspettare oltre. Ti prego, cerca di non turbarle.»
Io non avrei dovuto turbare loro?

Ricacciai indietro la risposta mordace che avevo sulla punta della lingua e lo seguii sulle scale.

Mi lasciai distrarre dalla grandiosità degli interni, dai mobili eleganti in stile classico e dalle pesanti cornici d'oro invecchiato. Specchi alti si slanciavano verso il soffitto, catturando i riflessi di infiniti quadri che si alternavano sulle pareti tra arazzi e lampade ad olio d'epoca.

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