~41~ Fumo allo specchio

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Avvolta nel più soffice degli asciugamani e coi capelli raccolti morbidamente in una crocchia, studiavo con minuzia il mio riflesso allo specchio.

Sembrava che il mio corpo non recasse più alcuna traccia del veleno del Sole: una notte era stata sufficiente perché quei disgustosi viticci rossi svanissero, inghiottiti dal pallido biancore della pelle.

Inclinai un poco il capo, sfiorando con le dita il punto in cui Gareth aveva affondato i denti; la carne alla base del collo era liscia e integra, sana come se quel pomeriggio fra le sue braccia non fosse mai esistito.

Scostai con un gesto discreto il telo bianco, abbastanza perché rivelasse la pelle morbida sopra il seno.

L'ombra violacea di un'ecchimosi incoronava solchi profondi, un calco perfetto di canini troppo affilati per essere umani.

Ciò da cui tutti i Selvatici fuggivano, io l'avevo accolto.

Tastai con cautela la superficie tumefatta e una fitta acuta si riverberò fra i nervi, rievocando lo splendore nero dei suoi occhi e la voluttà ardente che li aveva animati.

Un'intera notte trascorsa fra le sue braccia, la coscienza a fluire dal sogno alla veglia e viceversa, come una clessidra che una mano tornava a capovolgere, ancora e ancora.

Gareth era rimasto al mio fianco, geloso custode del mio sonno, a respirare piano fra i miei capelli.

Per ogni volta che mi ero svegliata, inquieta, lui aveva sussurrato parole rassicuranti, bugie di zucchero perché tornassi a rilassarmi contro il suo petto.

Covava il timore che potessi rivivere il suo morso nella forma fosca e distorta di un incubo; quando l'avevo compreso, l'avevo baciato sulle labbra e mi ero offerta ancora, decisa a dimostrargli quanto lontana fossi dal provare repulsione.

Non gli avevo concesso di rifiutarsi, né lui ne aveva avuto la forza; non mi avrebbe negato niente quella notte, rispondendo ai miei desideri come se fossero stati un'estensione dei propri.

Ore dopo, quando un'alba cerea aveva stinto i toni cupi della notte, avevo aperto gli occhi sul suo volto addormentato.

Non l'avevo mai visto riposare, prima; i lividi scuri sotto i suoi occhi restituivano un'idea di quanto raro fosse per lui abbandonarsi al sonno.
Non c'era alcuna innocenza nei suoi bei tratti, nessuna pace ad attenderlo nelle profondità della sua mente.

Avevo osservato la fronte pallida e corrugata, le ciglia nere e frementi, il respiro incostante.
E, finalmente, avevo compreso.

Gareth non voleva dormire.
La sua insonnia era volontaria; qualsiasi cosa lo torturasse, notte dopo notte, finiva per raggiungerlo quando era troppo sfinito per combattere ancora.

Gli avevo accarezzato i capelli umidi, pregando che potesse offrirgli un po' di conforto; i suoi occhi rossi però si erano spalancati immediatamente, vigili e imbevuti dell'angoscia che gli divorava i sogni.

Mi aveva toccato il volto senza vedermi davvero.
Perdonami, aveva sussurrato.

Una supplica soffiata sulle mie labbra, ma rivolta a qualcun altro.

Lo avevo abbracciato soffocando il dolore, forte, fingendomi Elise o chiunque fosse il destinatario di quel rimpianto, accogliendo fra le braccia quei segreti che non aveva voluto consegnarmi.
Non ero più riuscita a riprendere sonno.

Osservai ancora l'immagine riflessa allo specchio, soffermandomi sul mio volto tirato, su quel morso osceno, sugli occhi lucidi di un sentimento ormai radicato nel profondo.
E poi la perla, bianca e terribile, che riposava quieta sul mio sterno.

Dies SanguinisDove le storie prendono vita. Scoprilo ora