Le luci al neon della camerata erano accese, bianchissime in quel silenzio innaturale.
I sei letti a castello erano in perfetto ordine, le pesanti coperte bianche ben tirate sui materassi sottili. Non c'erano effetti personali che rendessero più accogliente quel luogo, nessun indizio sul fatto che fosse abitato da dodici ragazze; l'attaccamento agli oggetti, di qualsiasi natura e funzione, era scoraggiato.Sdraiata sul letto di Cami, la guardavo dormire; la sua fronte era lucida per il sudore, la pelle arrossata per la febbre. Presto l'avrebbero portata nel Punto Salute del nostro livello, e riuscire a vederla sarebbe stato più difficile.
«Dovresti essere a lezione», mormorò a occhi chiusi.«Lo so», risposi, scostandole una ciocca di capelli dalle ciglia.
Lei sospirò, piano. Troppo debole per rimbrottarmi sull'importanza dello studio, si strinse maggiormente a me, cercando il mio calore, premendo la guancia sulla mia spalla.«Sei una sciocca», bisbigliò contro la mia divisa, «vale la pena essere punita per un po' di febbre? Carlton ti farà passare l'intero pomeriggio al livello tre.»
Posai le labbra sulla sua tempia troppo calda, posandovi un bacio.
«Sai quanto adoro sterilizzare gabbie di galline», replicai con un ghigno, «certamente più di essere costretta a vedere gli assurdi baffetti di Carlton.»La sentii ridere sommessamente.
«Parli così», commentò poi, più seria, «ma se fai troppe sciocchezze, potrebbero decidere di escluderti dalla missione. Ormai non manca molto.»Sorrisi, un'espressione sorniona che mi sarebbe valsa una gomitata ben piantata sulle coste, se solo avesse avuto gli occhi aperti per accorgersene.
«Gabriel si è esposto per me. Sono la sua migliore allieva, ricordi?», risposi, con una punta di baldanza, «Non mi lasceranno qui solo perché ho saltato un paio di lezioni.»Lei m'inflisse un pizzicotto sul fianco, facendomi ridere.
«Arrogante», borbottò, fingendosi irritata.Rimanemmo per un po' in silenzio, ascoltando i nostri respiri, il ronzio lieve delle lampade, i passi attutiti oltre la porta d'acciaio.
«Lo sai che dovresti lasciarmi andare», mormorò, dopo qualche minuto.M'irrigidii.
«E tu sai che non lo farò», replicai a mezza voce.Cercai le sue dita fra le coperte, fredde, dure. Le strinsi forte fra le mie.
«L'amore che provi per lui cambierà te. Cambierà tutto», rispose, il tono più basso, rauco.«Non cambierà niente», ribattei, mentre una rabbia sottile dissipava definitivamente quel momento di quiete, «sono solo ombra e macerie, ricordi?»
Lei aprì gli occhi e si sollevò un poco; le sue iridi azzurre, un tempo così vivide, erano smorte e opache.
«Finché quella collana resterà al tuo collo, non sarai altro», bisbigliò, «ma gettala nel Tamigi, e lui non lo saprà mai.»Aprii gli occhi con un sussulto, uno spasmo involontario dovuto alla sensazione di cadere nel vuoto.
Mi sfregai gli occhi, il cuore che faticava a riassestarsi su un ritmo più regolare. Dovevo essermi addormentata per qualche ora, perché la luce del giorno si era fatta più morbida, più clemente.
Era uno di quei giorni indecisi, dove l'azzurro del cielo si faceva largo fra nuvole iridescenti, e una pioggia sottile rigava in silenzio il vetro della finestra.Mi raddrizzai, indolenzita per la posizione innaturale che avevo mantenuto nel sonno. Sul pavimento, attorno a me, c'erano gli spartiti per violino che avevo ammirato fino ad assopirmi, affascinata dai simboli eleganti e incomprensibili in cui la musica si contraeva per essere contenuta nella carta.
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Dies Sanguinis
Vampire[ • Conclusa e in revisione • ] Anno 2204. Quando il Sole è diventato velenoso, gli esseri umani hanno cercato una soluzione nell'ingegneria genetica, mutando il DNA di alcuni soggetti per sopravvivere. La mutazione ha però dato vita a una nuova raz...