Tre

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Per quanto potesse essere bello e avere quell'alone di mistero e scontrosità che mi attraeva, il suo essere perennemente odioso, mi infastidiva, mi creava un terribile formicolio di irritazione per tutto il corpo.

"La nostra stanza fa...come dire" alzai lo sguardo verso il cielo, in cerca di aiuto. Come potevo dire in modo carino che il nostro alloggio faceva cagare? Letteralmente lo faceva, se avessi fatto i miei bisogni nella stanza sarebbero stati solo un'aggiunta a quello che c'era già, come un completamento dell'opera. "Mh..." continuai grattandomi la fronte, "sto cercando le parole giuste" affermai, sinceramente, ad alta voce. "Schifo...?" quasi domandai, prima di auto maledirmi per le parole maleducate appena pronunciate. Odiavo essere scortese in alcuni casi ma non sapevo che altre parole usare per descrivere lo stato di pietà in cui eravamo finite, il mio vocabolario era piuttosto limitato e ristretto.

Lui arricciò il naso leggermente a patata e con piccole collinette visto dal fronte. Le labbra dalla forma perfetta, si esposero leggermente all'infuori in una smorfia di incredulità. "Che?" pronunciò. Per la primissima volta sembrava esterrefatto invece che infastidito. Ero sorpresa e il formicolio sparì per un attimo, giusto il tempo di farlo riprendere perché poi tornò alla carica con il suo solito essere: "se sei abituata all'Hilton, vai. Guarda la porta è lì" indicò con il dito ossuto la porta a vetro, il suo viso fu ricoperto da un'espressione di assoluta indifferenza e menefreghismo. Lo avrei volentieri schiaffeggiato seppur ero contro la violenza.

"Senti, mister simpatia" mi uscì involontariamente dalla bocca, e quando me ne accorsi era troppo tardi per far rientrare le parole nella mia bocca, ormai erano già disperse nell'aria, "sui nostri materassi c'è una macchia, o pozzanghera non lo so, di piscio. L'armadio con l'anta rotta posso anche sopportarla ma il piscio no. Poi non c'è il bagno, quindi io come mi laverei, con il mio sputo? Per la pipì ho già risolto, posso farla sopra il materasso."

"Wooooh!" Sentì dire dall'Anita in modo divertito. Mi voltai verso di lei che rideva e le diedi una gomitata mentre mi univo anche io nelle risa.

Mi sistemai nel mio maglioncino nero mentre sentì il ragazzo parlare: "l'educazione, cara, imparala" mi ammonì, "comunque vi è stata data la camera che deve essere ristrutturata. Ve ne do un'altra."

Non riuscì a dire nient'altro, stetti lì a fissarlo mentre si girava, prendeva una delle pochi chiavi rimaste e la lasciava sul bancone mentre mi guardava annoiato. Gli occhi grandi sembravano quasi all'ingiù, come una bocca triste.

"Quando avete finito di spostarvi, portatemi le chiavi" enunciò, "se l'avete già e volete darmela, datemela."

Inglobai le labbra nella bocca per evitare di ridergli gentilmente in faccia e abbassai lo sguardo per concentrarmi sul piccolo vaso colorato di fiori verso la fine del bancone. "Io te la darei." Mi voltai verso l'Anita che si passava la lingua sui denti come se non avesse appena detto una boiata/verità assoluta. Non ce la feci, scoppiai a ridere, poggiando la mano sul bancone. "Che cogliona" pronunciai fra le risate. Sembravo una foca con il singhiozzo.

Lei rise insieme a me e il tutto si tramutò in un suono poco gradevole all'udito e quasi stonato, per quanto una risata potesse esserlo.

"Finito?" chiese lui, quando iniziammo solamente a respirare affannosamente. Lei prese la chiave dal bancone e iniziò ad andarsene. Guardai il suo corpo allontanarsi da me e assottigliai gli occhi chiedendomi perché stesse scappando. Voltai il viso verso il ragazzo che poggiato stanco al bancone mi guardava di traverso e feci spallucce prima di dire: "allora ciao eh" e sparire anche io, per inseguire la mia amica. Quando la raggiunsi e la tirai giocosamente per la felpa grigia, mi ricordai delle chiavi, mi girai e feci una breve corsetta per tornare dal mio migliore amico che mi sopportava benissimo. Appena mi vide si lasciò scappare un piccolo suono di intolleranza. Poggiai le chiavi sul bancone: "sono quelle vecchie, della stanza con la pipì" informai.

La nuova stanza era al quarto piano, nonché ultimo dell'edificio. La 17B. Numero fortunato, ovviamente, perché per noi solo cose belle. Arrivate al piano, ci si ripresentò lo stesso sfondo arancio e il tappetto colorato, percorremmo il corridoio fino a metà stanza, e ci voltammo verso la sinistra per trovare la porta del nostro nuovo alloggio. "Pronta?" mi chiese l'Anita mentre piano infilava le chiavi nella toppa. Io annuì ed inspirai potentemente tutta l'aria contenuta in quel piano. L'aprì e io chiusi gli occhi, per aprirli qualche secondo dopo. Questa volta ciò che si mostrava ai miei occhi era diverso. Muri ovviamente colorati ma invece che essere arancioni erano di un rosa pallido, della tinta pastello, due letti singoli con coperte bordeaux, due comodini in legno scuro, coperti da due centrini, un grosso armadio bianco elegantemente rifinito all'esterno, una sedia bianca al lato dell'esterno forse messa lì a caso, un mini frigo e un tavolino basso. Lasciai il mio trolley e la mia borsa al lato della porta per poter correre come furia cavallo del west verso il mio letto. In aria feci un saltello per finire con il sedere sul materasso e tastare in prima persona la comodità. Ci sprofondai poco, il che voleva significare che era comodo ma non sfondato. Perfetto.

"Dobbiamo andare a mangiare, mi sa" pronunciò l'Anita mentre apriva l'armadio e controllava la grandezza. Alzai il viso, notando solo in quel momento, che c'era un orologio tondo affisso al muro, esattamente sopra la porta del bagno, al lato dei nostri letti. Mi alzai velocemente dal letto, facendo una breve ma assennata corsetta verso il bagno, per vedere quello che avrebbe o meno compromesso la mia vacanza.

Aprì la porta bianca e un asettico e sobrio bagno mi si presentò davanti. Una doccia con il box in vetro che pareva perfettamente pulita, un water bianco che all'occhio pareva splendere, un lavandino bianco, il vetro sopra di esso, un cestino in metallo al lato del water. Annui a me stessa, andava più che bene. Avrei, poi, ovviamente, controllato la pulizia del locale ma soddisfaceva il mio occhio.

Scendemmo nella sala da pranzo vestite come lo eravamo, distrutte come eravamo e con le stesse acconciature spettinate per volere del destino. I miei occhi segnati dalle occhiaie violacee mi odiavano perché continuavo a tenere le palpebre aperte e sentivo la loro pesantezza, così come quella del corpo che mi portavo appresso.

La sala da pranzo era piuttosto grande ed ampia, dai toni caldi e rossicci, dati anche dalle forti luci. Lampadari pretenziosi erano appesi al soffitto alto, il parquet ai nostri piedi era lucido, le sedie erano imbottite e coperte da tessuti rossi, i tavoli imbanditi con tovaglie sulle sfumature del rosso. Sembravamo finiti nella camera proibita di Christian Grey.

Notai con l'occhio la tavolata della nostra intera classe in cui c'era anche l'intruso, Alessio, che faceva parte dell'altra quinta del tecnico accompagnata dal professore di educazione fisica. Un uomo esile e magrolino ma che correva come Usain Bolt alle olimpiadi.

"Uè uè" proclamai sedendomi in uno dei due posti liberi che gli altri ci lasciarono liberi. Un capotavola era ovviamente Alberto e dall'altro lato c'era la Martina, una nostra compagna di classe che io non sopportavo. Praticamente sopportavo tre persone. Vicino ad Alberto c'era Andrea e all'altro lato Alessio e vicino a loro i posti vacanti a noi destinati.

"Dove siete finite con la nuova stanza?" chiese Andrea, avvicinandosi a me. Mi voltai verso di lui. "Come sai che abbiamo cambiato stanza?"

"Stalking" affermò lui, "ero venuto a chiamarvi con gli altri ma abbiamo incontrato quel ragazzo simpatico che ci ha detto che l'avete cambiata per problemi interni alla stanza."

L'ironia riguardo al ragazzo della reception si poteva proprio toccare con mano per quanto era presente nella sua voce bassa. Presi la forchetta in mano e ci giocherellai, "siamo nella 17B, perché l'altra aveva del piscio sul materasso e oltre al materasso c'era solo un armadio. Quindi di base era spoglia."

"Ti lamenti ancora?" Mi voltai, cercando di ruotare la testa come i gufi. Dietro di noi c'era il ragazzo che ancora coperto dalla giacca di pelle nere portava con sé bottiglie d'acqua. Ne appoggiò una, con poca delicatezza vicino ai nostri piatti.

Mi scappò una risatina. Passavo dall'essere infastidita dalla sua presenza ad amarlo follemente. Ora mi stava solamente simpatico, mi sembrava un personaggio, uno di quello delle serie tv, volutamente costruiti in un certo modo ma che per qualche motivo, oltre alla corazza da menefreghisti e saputelli, ti risultavano simpatici. Lui lo era, mi sembrava lo fosse.

"Mangi con noi?" Replicai di risposta.

The bird has flown awayDove le storie prendono vita. Scoprilo ora