Venticinque

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Potevo pensare a tutto ma non a quello. Quelle come me, quelle mediamente carine, non vengono abbordate o baciate da quelli come Andreas. Forse in un universo parallelo sì ma non in quello dove vivevo io, dove mi ero accorta di quanto le cose non andavano mai nel verso in cui volevo che andassero.
Però era da due giorni almeno che le cose stavano andando come io desideravo andassero; ero a Roma da sola a lavorare per la regina.

Ma poi a me cosa me ne fregava se poi sarebbe andato tutto a rotoli e il karma voleva colpirmi per le mie botte di culo, Andreas voleva avvicinarsi a me. Il che voleva dire baciarmi o fare altre cose e avrei accettato entrambe, prima una che l'altra oppure insieme. Ero pur sempre una ragazza multitasking.

"Mi avvicino anche io" replicai convinta di quello che stavo dicendo ma anche del fatto che probabilmente era solo un sogno. Impossibile che fosse stato così facile piacere, anche solo per una notte, ad uno come Andreas, pensavo andasse con le aspiranti modelle o veline; perché quelli come lui solitamente facevano così.

Lui mi sorrise flebilmente.
Aveva fatto un passo verso di me e io sentivo di doverlo fare verso di lui. E poi, ero fin troppo impaziente per poter aspettare.
Subito dopo aver parlato, sciolsi la presa sulle mie gambe e dentro al mio pigiama da bambina, gattonai fino al suo posto. Lui divaricò le gambe lasciandomi entrare. Mi sporsi verso di lui e gli lasciai prima di ogni cosa un casto bacio a stampo che durò un millesimo di un secondo.
Il contatto con le sue labbra morbide e le sue mani sulle mie guance mi diedero la spinta di avvicinarmi nuovamente per approfondire il bacio.
Giusto il tempo di toccare le sue labbra con le mie, entrambe leggermente dischiuse, che la porta si aprì e fece entrare nella stanza silenziosa delle risate leggere.
Sospirammo entrambi e mi distaccai mentre entrarono due persone.

"Noemi?" Sentì il mio nome essere pronunciato da una, ahimè, voce famigliare e roteando gli occhi mi voltai, ancora fra le gambe di Andreas. Sulle ginocchia, eretta, vidi il ragazzo con gli occhi blu e Mike.
Una doppietta.
"Bene" affermai voltandomi di nuovo verso Andreas, "si è fatto tardi".
Mi alzai dal divano, "grazie di tutto" dissi diretta verso il ragazzo seduto che sembrava ancora scocciato da quell'interruzione.
Prima di andarmene però era mio dovere porgere delle scuse per i modi verso Riccardo, il ragazzo dagli occhi blu accesi.
Notai che i due, a differenza dell'incontro di prima sull'androne delle scale, non erano ubriachi.
"Ciao" iniziai, "mi dispiace per quello che ti ho detto. So che non mi conosci e magari non te ne fotte una bega, ma devo chiederti scusa per come ti ho detto quelle cose. Solitamente sono leggermente più sopportabile" mi scusai e mi auto difesi.
"Okay" disse lui, arricciando il naso dritto. Pensavo che avrebbe detto qualcosa in più, ma mi accontentai. Almeno non mi aveva offesa, seppur sapevo anche io che poteva e io, dal canto suo, probabilmente lo avrei fatto.
"Buonanotte!" Esclamai ricevendo le risposte di Andreas e Riccardo mentre sentì dei passi seguirmi fino alla strada verso la porta.
"Noemi, dobbiamo parlare."
Guardai il mio obiettivo: la porta, e aprì la bocca in una smorfia infastidita.
Mi girai per confrontarlo.
Non era cambiato molto.
"Sei dimagrita" continuò lui.
Arricciai il naso chiedendomi cosa centrasse. Seppur faceva sempre piacere sentirselo dire mi infastidiva che notasse certe cose, insomma, non capivo nemmeno come dato che non riguardavano mia madre.
"Che vuoi?" Chiesi scocciata, stringendo i pugni al lato del mio corpo come a mantenere la rabbia al loro interno.
"Dobbiamo parlare. Sabato hai parlato solo te." Era visibilmente infastidito anche lui ma mi interessava poco e poi era mezzanotte inoltrata e io dovevo lavorare il giorno dopo e solamente l'idea di poter stare con Andreas mi aveva tenuta sveglia.
"E vorrei mantenere le cose così" replicai, "ti ringrazio perché mi hai fatto trovare lavoro, però dato che non ho più voglia di vederti spero che non succederà mai più. Buonanotte anche a te" conclusi voltandomi e andando verso la porta.
Ero convinta che con la mia uscita plateale e drammatica sarei riuscita ad arrivare fino alla mia camera illesa, ma qualche passo dopo sentì la porta sbattere e la voce di Mike dire ad alta voce: "facile così eh? Ma io ti seguo!"
Molto stalker.
Continuai a camminare fino a quando non fui strattonata da lui. Subito tolsi la mia spalla dalla sua mano. "Sei stupido?" Chiesi retorica.
"Mi hai trattato da stronzo davanti all'Italia e ora davanti agli altri e non riesci a reggere una discussione, eh?" Urlò.
Le vene del collo divennero visibili e la sua postura più gobba mentre gesticolava e dava adito alla sua ira.
"Ma sei pazzo?" Chiesi calma, di rimando. "Non ti ricordi un cazzo?" Domandai, alzando la voce anche io, rendendola però più acuta.
"Ancora con la storia di Cardiff?!" Era visibilmente scocciato. Non credeva che tutto potesse partire da una cosa del genere. Mentre lui si sentiva in pace con se stesso e il mondo, io per mesi mi ero sentita una stupida.
"Ma vaffanculo Mike" pronunciai, prima di correre giù dalle scale. Se avessi dovuto aspettare l'ascensore ci sarebbe voluto altro tempo, e volevo solo togliermi dalla sua visuale, altrimenti lo avrei schiaffeggiato.
Per me non era una cosa da nulla. Lasciando stare i miei stessi problemi con il mio fisico, il suo rifiuto mi aveva condizionato per mesi e reso la mia visione di me stessa peggiore.
Non è così semplice andare oltre le cose e dimenticarsene.
Continuavo a rivedere il nostro bacio, lui che mi toglieva la maglietta per poi fingere di doversi fermare lì; come se schifato non potesse andare avanti. Infine usciva dalla camera lasciandomi in reggiseno per poter chiamare mia madre.
Imbarazzante. Meschino.

The bird has flown awayDove le storie prendono vita. Scoprilo ora