Diciannove

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Sei mesi.

Erano passati sei mesi da quando ero tornata da Cardiff e avevo ri-iniziato a condurre la mia vita quotidiana, che era ovviamente variata nei mesi. Mi ero diplomata, commissione stronza con il professore di italiano esterno che pareva il topo Prof del cartone Mignolo e Prof, 84/100, ero fiera di me, ma con un punto in più avrei potuto provare a prendere la borsa di studio dell'Avis, da cui donavo da maggio, dopo il nostro incontro a scuola.

Il 6 luglio, era definitivamente finita la scuola superiore ed era iniziata la vera vita, e mi ero resa conto di quanto i miei problemi adolescenziali erano solo bazzecole e risate confronto a tutto il fallimento che sentivo pesare su di me, dopo quel mercoledì. Non mi voleva nessuno come lavoratrice, l'Anita si era dovuta trasferire a Bologna per l'università, gli altri erano sempre occupati fra università, corsi e vite nel mezzo, mentre io non facevo altro che rotolare nelle mie lamentele. Feci colloqui, non ebbi mai risposte, inviavo curriculum e ugualmente mai nessuno ebbe l'accorgimento di rispondermi, pure per dirmi che non ero il profilo che stavano ricercando, ne diedi molti a mano ed a settembre trovai lavoro tramite il sindaco del paese in cui vivevo: pulire l'ospedale. Tecnicamente ci voleva esperienza per fare quel tipo di lavoro ma lui mi raccomandò come una persona sveglia, decisa e determinata. Tutte ottime qualità per trovare la forza di pulire un bagno pubblico.

Nel mio completo da donna delle pulizie tornai a casa con la schiena a pezzi. Non ebbi nemmeno la voglia di togliermi quel pantalone blu e quella camicetta dello stesso colore. Dovetti per forza cambiarmi le ciabatte, altrimenti se l'avessi sporcate le avrei dovuto ricomprare. Nella mia coda bassa, il mio sudore, i miei sbadigli, riuscì a raggiungere la porta di casa, dove un Birillo felice mi accolse scodinzolando e saltandomi addosso. Mi abbassai leggermente per accarezzare il suo pelo ramata e sorridergli prima di incitarlo a venire con me in camera mia, così potevo stendermi sul letto e pensare ai modi in cui avrei dormito pesantemente.

Mi gettai sul letto, togliendomi le scarpe con l'aiuto dei piedi. Birillo ci saltò sopra, posizionandosi al mio fianco e trovando un posto dove infilare il musino. Chiusi gli occhi per ben ventuno secondi prima che sentì vibrare il mio cellulare nella tasca dei pantaloni da lavoro.

Lo tirai fuori con gli occhi chiusi, me lo piazzai davanti al viso e aprì gli occhi. Anita.

Vai subito su Real Time. SUBITO.

Accesi il wifi, sbadigliando, andai sul contatto dell'Anita e inviai una nota vocale, per proseguire sulla via dell'ozio e della pigrizia: "non puoi solo dirmi che c'è? sono sul letto, con che forza mi alzo?"

La vidi online e aspettai con le braccia divaricate e gli occhi chiusi una risposta mentre tentava di dormire. Mi addormentai.

Tre ore dopo il mondo sembrava girare più lentamente, mi alzai facendo perno sui gomiti, cercando di non disturbare Birillo che dormiva, e con la coda dell'occhio controllai l'ora: 20:32. Perfetto, pensai, potevo mangiare e poi rimettermi a dormire. Seppur avevo bisogno di una lavata, preferivo dormire e andare a lavoro puzzolente, rispetto a togliere delle ore al mio sonno della bellezza. Anche se per far funzionare questa cosa del diventare più belle avevo bisogno di due anni, forse tre, di letargo e dieta assoluta.

Presi il cellulare ricordandomi dell'Anita e mentre scendevo le scale di finto marmo, aprì la chat.

C'E' MIKE. MIKE BIRD. L'UCCELLO.

E' AD AMICI.

DAI CAZZO NOE, METTI SU REAL TIME.

ZIOVACAAAA.

Dai, l'aveva presa bene. Mi poggiai allo scorrimano, rileggendo varie volte quello che mi aveva scritto. Mike Bird era il Mike di Cardiff, quello che scoprì chiamarsi Bird di cognome durante la sua performance al night. Non avevo mai capito perché aveva nome e cognome straniero quando in realtà era italiano, ma non glielo avevo mai nemmeno chiesto. Quante cose non avevo chiarito con lui, a partire dalla nostra quasi scopata finale, di domenica. Non mi aveva mai più scritto o chiamato, io il suo numero nemmeno l'avevo - altrimenti lo avrei probabilmente fatto per mettermi ancora un po' la dignità sotto ai piedi - ma lui l'aveva e non aveva nemmeno provato una volta a contattarmi. Ci ero rimasta male proprio perché ero quasi finita a letto con lui e se lo fossi finita probabilmente sarei tornata a Cardiff qualche mese dopo a schiaffeggiarlo per non avermi mai riscritto, mai. Con mia madre invece si sentiva, li avevo sorpresi qualche volta parlare al telefono, lei era di suo una persona cordiale e gentile, ma nel silenzio totale della casa, potevo sentire la sua voce dolce e carina, tratti del carattere che non gli appartenevano.

Ringraziai ogni santo per essermi addormentata, perché se non l'avessi fatto probabilmente avrei messo su Real Time, lo avrei visto e avrei avuto la voglia di spaccare la tv. Meglio così per la mia televisione. Non pensai nemmeno al fatto che in quel momento poteva essere felice perché era ad Amici e aveva realizzato il suo sogno, pensavo solo al mio rancore nei suoi confronti e poco mi importava della sua felicità.

Scesi in sala da pranzo vedendo mia madre e mio fratello mangiare. Gli sorrisi flebilmente ancora assonnata e con passi sbilenchi arrivai al mio posto. Stranamente avevo poca fame. La testa rossa di mia madre si alzò dal piatto per guardarmi con gli occhi smeraldo  - ovviamente sia io che mio fratello avevamo dovuto prendere da nostro padre occhi e capelli, non da nostra madre - e dirmi: "Anita ha chiamato varie volte. Questo weekend torna qui, voleva avvisarti ma non ti ha trovato al cellulare." Io annuì, sorridendo. Era da un paio di settimane che non ci vedevamo e mi mancava, mi mancava tantissimo. Non eravamo più il gruppo di prima e quella sensazione di seconda famiglia sempre riunita non l'avevamo più e io la rimpiangevo sempre, forse anche perché ero l'unica che non ero andata avanti.

"Birillo?" chiese mio fratello mentre si tagliava un pezzo di braciola. Mangiava quanto me, entrambi eravamo fans e culturisti del cibo spazzatura e del cibo in generale, eppure lui non prendeva un etto rimaneva magro e allenato, mentre io dovevo mangiare, poi smettere di farlo e ridurre ogni quantità, per poi tornare a mangiare dato che non avevo la testa per togliermi dall'idea del comfort food.

"Dorme nella mia stanza, appena scende gli do io da mangiare" parlai più a me stessa, ricordandomi ad alta voce che non aveva ancora mangiato e quindi dovevo preparargli la ciotola.

Il telefono fissò suono ancora e sbuffando mi alzai per andarlo a prendere e rispondere. "Teresa ciao, sono ancora io volevo chiederti se appena si sveglia l'orso potresti dirle una cosa" sentì la voce lieve dell'Anita e presto risposi: "l'orso si è svegliato, che c'è?" domandai ridendo, sentì una risatina dall'altra parte seguita da un "finalmente!" pronunciato con voce acuta, tanto che dovetti spostare la cornetta dal mio udito.

"Devo chiederti una roba" disse. Sempre improvvisamente più seria e mi spaventai ma la lasciai continuare senza intromettermi e dire una parola. "ti va di fare un mini viaggio? Ne stavamo parlando anche con gli altri. Siamo tutti occupati per una cosa e per l'altra e non riusciamo mai a vederci."

Sorrisi in modo ampio, come un ebete. "Ma certo!" esclamai anche io, eccitata e felice. "Dimmi solo quando!"

Bella.
Ecco, questo non fa parte dei capitoli più fanfiction. Questo è più un fast forward per capire che è successo dopo, perché ci voleva.

Sto guardando Domenica Rewind e che bella che è la moglie di Rocco Siffredi, e sto riflettendo se seguire o meno su Instagram un ragazzo. I problemi della vita.

Buona domenica a tutte. 🌹

The bird has flown awayDove le storie prendono vita. Scoprilo ora