"Com'è che la conosce?" Domandai un minuto e mezzo dopo di silenzio, in cui cercai di fare mente locale e accorgermi che, fortunatamente, non voleva farsi mia madre. Un sospiro di sollievo si liberò dal mio corpo.
"So che si sono conosciute per caso all'ospedale."
Annuì, "e perché vuoi il numero di mia madre?" Continuai con il mio interrogatorio, alzando un sopracciglio per entrare meglio nella mia parte da Signora In Giallo.
"Ho dei casini con la mia" spiegò vagamente. Era chiaro che non volesse spiegarmi ma non potevo dargli il numero di mia madre solo su fiducia dal momento in cui nemmeno lo conoscevo, magari era uno di quei truffatori telefonici.
"Non posso dartelo così" enunciai, "non ti conosco, magari mi stai dicendo una stronzata, magari vuoi solo farti mia madre" e quando lo pronunciai e mi accorsi quello che dissi, sentì il tintinnio delle porte dell'ascensore aprirsi, come un simbolo tangibile della mia stupidità.
Velocemente una mano mi diede una pacca leggera sulla spalla, alzai gli occhi per guardare il viso di Mike contrito e in un secondo sparì senza dire nulla.
"Hai fatto amicizia con Adidas?" Andrea si piazzò davanti a me, mentre sentì ancora l'ombra della mano di Alberto sulla mia spalla, mentre Alessio gli stava al fianco e seguiva i passi del ragazzo che stava fuggendo.
"Penso mi odi" affermai ad alta voce, sicura delle mie parole.
"Ti odiano tutti" mi assicurò Andrea."Centro culturale!" Urlò felice Matteo - un nostro compagno -, mentre osservavamo questo edificio costruito con materiali ecosostenibili, da quanto ci era stato detto.
Era una sorta di cupola che pareva caderci addosso, essendo più bassa e ripida sul davanti.
Una insegna di probabile legno copriva tutta la facciata superiore, sopra di essa c'erano incise delle parole di cui non riuscivo a trovare un senso logico: "crev gwir in these stones fel gw ydr horizons of wr nais awen sing."
"Chiaro" commentò Alberto, mentre con la testa alta sembrava mimare le parole affisse sopra la nostra testa.
"Cristalline" aggiunse Anita. "Limpido" continuò Andrea.
"...comprensibile?" Quasi domandai agli altri cercando un nuovo aggettivo. Loro si voltarono verso di me, Alberto abbassò gli occhiali da vista per donarmi un'occhiata scura divertita.
"Io ho capito" affermai poco dopo, "in queste rocce, la crew degli orizzonti di Nais Awen canta."
"Che canta?" Chiese divertita l'Anita. "È una crew" rispose Andrea per me con una tale semplicità che voleva far capire che la risposta era oggettiva, "fanno trap. Sono la zona 4 gang gallese."
Lo spinsi leggermente mentre ridevo insieme a lui."In realtà" ci ammoni la Giovanrdi con la sua voce da generale avvicinandosi a noi e creando un cerchio di studenti intorno a sé, "l'incisione deriva dalla tradizione comunemente vista nell'architettura romana."
"Significa: in queste rocce, Horizons canta, creando verità come il vetro dalla fornace dell'ispirazione."
Alzai le braccia leggermente, tenendole aperte come Alberto la stessa mattina. "Quanto avevo ragione" mi auto osannai e mostrai la mia intelligenza alla mia classe da quindici, compreso Matteo il per sempre eccitato ragazzo riguardo alle visite storiche, e l'altra classe da trenta. "Mi duole venirti contro" rispose Andrea, "ma tu parlavi di una crew di un certo Nais."
"Il significato c'era" commentai convinta, sotto lo sguardo degli altri ragazzi e dei professori probabilmente troppo stanchi per farci tacere. "Magari questo cantava trap del medioevo. Forse la trap del medioevo, soprattutto negli anni della povertà, era ancora più dark della dark polo gang."
"Cosa cantavano?" domandò retorico Alberto con un sorriso sghembo dipinto sul viso ovale, per poi continuare da solo con: "Sick Nais, sick Nais, dark crew, gang bang, triplo gallese su ogni roccia" rappò, gesticolando in modo disordinato e confuso. Mi piegai dal ridere, feci perno sulle ginocchia e mi ressi con le mani sopra di esse per far uscire meglio la risata sguaiata e catartica. Al solo ricordo delle movenze e della voce resa volutamente più bassa e scura.
"Neri! Bartolini!" ci richiamò la Giovanardi con voce grossa. Non riuscì a smettere di dire, seppur avessi voluto ritrovare una certa compostezza dell'essere, ma in mente ritornavo le parole, il suo tono, il suo balletto scoordinato e tornavo a ridere più forte. Piansi, le gocce finirono sull'asfalto grigio, dopo che mi tolsi gli occhiali da vista tondi per farle scendere e sgorgare meglio. Mi uscirono alcuni suoni strani nella risata e quando me ne resi conto e Alberto mi prese giocosamente in giro e la risata diveniva sempre più strascicata.
Tornammo in hotel verso le sette meno venti. La mattina fu dedicata alla visita del museo gallese che ospitava teatro, balletti, opere e concerti, fu piuttosto veloce perché i professori persero del tempo a riprenderci, sgridarci e maledirci continuamente, ed in più non potevamo sostare molto, seppur la location era quella di un teatro suggestivo e circolare con poltrone rosse e infissi oro. Mangiammo nei bar del centro con mezz'ora di completa autonomia nella quale potemmo visitare i piccoli bar, il gift shop in cui comprai un souvenir: una placca in miniatura dell'incisione in gallese affissa sul museo. Nel pomeriggio, invece, andammo nel museo nazionale, una struttura imponente e marmorea, culminata da una cupola. Superammo le colonne disposte due a due, ed entrammo nel museo che ospitava collezioni archeologiche, botaniche, geologiche, zoologiche e d'arte figurativa e applicata. Rimanemmo chiusi dentro quella struttura imponente dalla fine dell'ora del pranzo, fino alle 17:00, suo orario di chiusura. Lo amai follemente, oltre per il fatto che l'entrata era gratis e la ritenevo una cosa corretta e giusta, essendo che tutti dovevamo essere in grado di apprezzare l'intero patrimonio che l'edificio costudiva, l'arte proposta era così variata ed estesa che sarei potuta tornarci ogni giorno per tutta la settimana, trovando sempre qualcosa di nuovo. Ci concentrammo sulla mostra esposta temporaneamente, una mostra su fiori e uccelli visti dalla cultura cinese. I dipinti erano a sfondo opaco e i soggetti sempre graziosi, la mano non aveva mai calcato sui soggetti colorati e delicati. I soggetti avevano sempre dei significati simbolici e venivano dipinti tramite stili diversi per raffigurare le diverse personalità degli artisti. Lo stile era innovativo, rispetto a quello tradizionale del quindicesimo secolo, era uno stile a mani libere dove oltre l'opera disegnata vi era anche un collegamento con la poesia e le parole.
Mi ero innamorata.
"A che ora è pronto?" chiese Andrea mentre sorpassava la hall con passi veloci, finendo faccia a faccia con Mike che distratto stava guardando qualcosa sul computer di lavoro. Alzò gli occhi nocciola un secondo per vedere chi gli stesse parlando e li abbassò subito dopo, annoiato. "Quando i cibi saranno cotti, vedrai che sarà pronto" rispose sarcastico non donandogli nemmeno uno sguardo, fin troppo concentrato e stufo di noi scolari impertinenti.
"Sai" iniziò Andrea, appoggiando gli avambracci sul mogano, "solitamente i cibi hanno un tempo di cottura" spiegò lentamente come se stesse parlando con un bambino.
"Sai" ripeté Mike, alzando finalmente il viso, "se non vedi delle padelle nella mia mano vuole dire che io non sto cucinando." Abbassò di nuovo lo sguardo, "vai a chiedere in cucina se ti danno del pane se sei così affamato" aggiunse.
"Cortese" rispose il mio amico, prima di dire sarcasticamente: "lascerò orribili recensioni su di te, su Trip Advisor."
Scossi la testa ridendo e mi avvicinai a lui insieme agli altri, compresi anche quelli che stamattina erano spariti e come ci era solito fare ci spostammo in branco verso l'ascensore.
Ricordai poco prima di varcare la soglia delle porte di dover parlare con mia madre, quindi mi scusai con gli altri e feci una leggera corsetta verso il telefono fisso della hall.

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The bird has flown away
Roman pour AdolescentsIn una gita scolatica a Cardiff, Noemi, incontrerà Mike Bird, aspirante cantante. Intraprenderà con lui una sorta di amicizia che finirà ufficialmente il giorno del suo ritorno in Italia. Si porterà dietro, per mesi, l'umiliazione della conoscenz...