Trentadue

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Se non avessi appena fatto quel discorso, lo avrei baciato per fargli capire che a lui ci tenevo, ma così sottolineavo solo la mia voglia di avvicinarmi a lui fisicamente, e lui voleva anche altro.
Da quand'è che anche gli uomini erano così sentimentali e improntati verso la sensibilità?
Non sapevo nemmeno cosa fare o dire per smentire la sua tesi, perché ogni cosa che stavo per dire ricordai era collegata al fattore fisico, e non volevo tirarlo fuori proprio per mostrargli il contrario.
Sospirai, cercando di prendere tempo.
Qualsiasi cosa, dì qualsiasi cosa, mi dissi.
"Mi comporto uguale perché sono sempre io" volevo darmi una manata sulla fronte - che razza di scusa -, "ma...ma, che ti dico?" Gli chiesi, chiedendo l'aiuto a lui. Stava diventando imbarazzante quel discorso. Io che mi aggrappavo agli specchi e cercavo di salire sulla cima.
Lui alzò le mani, "vedi?"
Mi morsi l'interno guancia cercando in quei tre secondi prima che disse qualcosa, di dirgli qualcosa di sensato che gli potesse far capire la mia posizione ma facevo schifo a spiegarmi quando si trattava di sentimenti. Che poi, dopo due settimane, che si aspettava?
Cose normali, di conoscenze normale, la mia mente mi ricordò.
"Aspetta" pronunciai alzando la mano per fermarlo, avendo paura che se ne volesse andare, "non so che dirti perché non so davvero cosa dire" stavo peggiorando la situazione. Potevo stare zitta ma perché mai quando potevo affogare nella merda invece di risollevarmi?
"Va bene, tranquilla" pronunciò lui, prendendo i suoi vestiti, "posso cambiarmi qui o preferisci che vada?" Domandò gentile.
Annuì sorridendogli leggermente, "no no, stai" affermai prima di uscire dal bagno, e sentire la porta chiudersi alle mie spalle.

Si vestì e un paio di minuti dopo era fuori dal bagno, mi diede la buonanotte e se ne uscì. Non provai nemmeno a fermarlo, per paura di peggiorare ancora la situazione.
Mi sedetti sul letto, con le gambe incrociate e la schiena contro il muro.
Forse non gli avevo detto nulla perché aveva ragione lui.
Forse ero ancora inconsciamente arrabbiata con lui e non volevo utilizzare la mia carineria con lui.
Forse non sapevo esprimermi.
Forse facevo schifo io.
Forse.
No, io facevo sicuramente schifo su vari livelli e settori di vita.
Non giustificavo ancora le sue parole nei miei confronti ma avevo capito che erano state dette per la rabbia del momento e mettendomi nei panni degli altri, anche io offendevo spesso senza motivazioni basate, solamente perché io personalmente ero girata.
Io mi ero comportata in quel modo per molto meno, rispetto ad Andreas.
Ovviamente, per natura umana, non riuscivo a dimenticarmi subito di certe sue frasi non mi davano più molto fastidio.
Volevo dare la colpa a lui, dirgli che se ero finita a non blaterare era stato perché prima mi dava della troia e poi si comportava gentilmente con me, confondendomi le idee.
Ma era ovvio che fosse colpa mia, però ero brava a incolpare gli altri per ingannare me stessa e vivere meglio con la mia persona, giusto per sopportare meglio la vita.

Cercai di psicoanalizzarmi e trovare qualcosa da dirgli. Così da fare come nei film, correre in camera sua, fare un monologo d'effetto per vivere, infine, felice e contenta, con lui.
Non trovai nulla. Nemmeno un perché.
Stilai una lista.
Andai nella hall per chiedere carta e penna e poi tornare in camera mia a mettere su un foglio il flusso dei miei pensieri.

1) è bello.

2) è bellissimo.

3) gli addominali >>>>>

4) lui.

5) CHE FISICO HA.

6) secondo me è stato scolpito da un blocco di marmo.

7) GANG GANG GANG.

8) Gli occhi diventano piccolini quando sorridono.  E brillano. Come piccole stelline.

The bird has flown awayDove le storie prendono vita. Scoprilo ora