Otto

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Non riuscì a chiamarla. Squillava, squillava e nessuno mai rispondeva. Sbuffai leggermente, riponendo il telefono al suo posto. Decisi di andare a parlare direttamente con lui, avrei cercato di non far uscire dalle mie labbra nessuna parola irriverente o scontrosa, essendo che mia madre non rispondeva e non avrei potuto avere risposte da lei, avrei prima parlato con lui e poi confrontato la sua versione con quella di mia mamma, decidendo infine se dargli o meno il suo numero.

Mi posizionai davanti al bancone della reception. Lui nemmeno alzò lo sguardo ma notando la presenza ombrosa sbiascicò un infastidito: "che c'è?"

"Possiamo parlare?" domandai. Lui sembrò riconoscere la voce e alzò il viso, mostrandomi uno sguardo che trafiggeva il mio, furioso. Doveva davvero odiarmi anche con il suo midollo spinale. "Vai a chiedere in cucina a che ora si pranza, io non lo so" affermò scocciato. Mi venne da ridere ma mi trattenni ricordando il discorso di Andrea e il suo commento finale.

Scossi la testa, nascondendo un sorriso divertito, "no no" commentai, "mi riferisco al discorso di stamattina" aggiunsi per spiegarmi. Poggiai le mani sul bancone, avvicinandomi il più possibile con il corpo al bancone. "Voglio solo sapere cosa vuoi da mia madre" enunciai. Lui roteò gli occhi al cielo, "sei asfissiante."

"Ehi!" esclamai, rendendo più acuta la voce, "è mia madre" mi difesi e difesi lei di conseguenza. Non poteva e non doveva succederle nulla di male, per mano di chiunque. Lui annuì, "io te lo dico e tu mi prometti una cosa."

Annuì io, di rimando. "Vai" lo sfidai, annuendo nuovamente, ma più rigorosamente. I capelli neri a caschetto svolazzarono tutti, arruffandosi. Li sputacchiai fuori dalla bocca, quelli che si infilarono fra le labbra. Tossicchiai mentre le mani cercavano di liberarmi dai fili della ragnatela in cui ero finita. Sentì una risata leggera e delle mani ossute e ruvide si poggiarono flebilmente sulle mie guance, mentre i polpastrelli mi liberavano dai capelli finiti in volto. Gli sorrisi leggermente, e lo ringraziai mentre lui mi mostrava le sua labbra rosee increspate in una curva divertita. Misi i capelli dietro le orecchie e continuai a sorridergli come stregata, lui lo faceva ed io di rimando. Era quasi inquietante il nostro scambiarci gesti gentili e quella complicità estranea alla nostra conoscenza, però non mi disturbava, anzi mi piaceva.

"Mike" la voce di una donna disturbò il momento pacifico e la magia si interruppe, velocemente tornammo negli stessi schemi di sempre e sia io che lui ci riprendemmo la maschera caduta e la indossammo. Ci voltammo allo stesso momento per vedere Sheyla fissa in piedi, in una posizione di disagio, vicino alla fine del bancone. "Dimmi" replicò lui, fui sorpresa dal sentire una voce più rilassata e quasi felice, e velocemente provai un senso strano, un groppo in gola e mi sentì subito quella di troppo. Mi grattai la spalla, sotto la felpa blu e sparì salutando piano entrambi. Non ricevetti nessun saluto di ritorno.

Stavo per prendere le scale, quando una piccola mandria casinista uscì dall'ascensore intonando un: "FRATELLI D'ITALIA, L'ITALIA SE DESTA". La mano sul cuore e lo sguardo fiero. Corsi verso di loro, saltellando e posizionandomi al loro lato, aggiungendomi al loro coro di nazionalisti fieri.

Entrammo nella sala da pranzo come se stessimo per varcare la soglia di San Siro, i cori goliardici ci accompagnarono nella nostra entrata musicale e di gran impatto. Le persone già sedute si voltarono verso di noi e noi facemmo un piccolo inchino al nostro amato pubblico, che tanto ci dava e donava.

Ci sedemmo al solito tavolo della nostra classe e casualmente finì, come stamattina al fianco dell'Anita, che era a fianco di Andrea, capotavola, vicino al quale c'era Alessio, Rosa, Silvia, Alberto. Eravamo i primi della nostra classe, forse la fama e la smania di compiere atti platonici ci aveva fatto riunire prima rispetto agli altri. Era anche vero che i periodi in cui stavamo distanti erano piuttosto limitati, se fosse stato possibile avremmo fatto una camerata per passare ogni minuto insieme, evitando quelli che concernevano l'igiene personale e i servizi.

Ero abituata a stare con loro, con l'Anita, Alberto ed Andrea. Non avevo nulla contro Alessio ma non lo conoscevo, pareva simpatico ogni tanto, così come una qualche battutina, perfino di Silvia, mi poteva far ridere, ma non riuscivo a sbilanciarmi con lui, né in positivo né in negativo.

"Toto scommesse" enunciò Andrea con voce da presentatore di serie b, "che mangiamo?"

"Se continuano con l'andazzo di ieri, pizza" affermò decisa Rosa, la sua vocetta femminile faceva venire brividi sensuali perfino a me, che ero completamente etero. Oggettivamente era una bellissima ragazza, alta, snella e graziosa con i suoi lunghi capelli biondi e mossi leggermente, il viso a cuore e le labbra fine. Probabilmente non mi piaceva molto perché era la migliore amica di Silvia ed essendo una così intima con lei, non riuscivo a credere fosse una bella persona, oltre alla sua bella facciata delicata, doveva esserci un piccolo ariete del diavolo.

"Macedonia" sparò Alberto. "Secondo me centra la carne" pronunciò l'Anita. Io annuì, "credo anche io. Però magari ci sorprendono con del pudding."

Vidi Andrea fare una faccia schifata al solo pensiero di mangiarlo. La sua dieta mediterranea gli piaceva e non l'avrebbe mai cambiata, era fedele ad essa e soddisfatto grazie a lei.

Alzai gli occhi, notando con la coda dell'occhio dei gesti provenire dalla porta principale. Mike era davanti alla porta spalancata e pareva stesse gesticolando qualcosa di incomprensibile, diretto, straordinariamente, a me. Aggrottai le sopracciglia e mi indicai con l'indice, lo vidi annuire e continuare a costruire una sorta di scena teatrale con le sue mani. Interdetta e confusa, gli feci capire che per me era un linguaggio alieno e quindi si avvicinò al tavolo. Venne dietro la mia sedia sotto gli sguardi confusi e maliziosi degli altri. Io mi voltai per metà con tutto il corpo, finendo con la schiena non più sorretta da qualcosa. Lui si abbassò, finendo per bisbigliarmi qualcosa all'orecchio: "abbiamo una discussione in sospeso" mi ricordò, "ne possiamo parlare sta sera?"

Il respiro caldo si infrangeva contro la pelle accaldata del mio collo. Seppur per vedere i colori continuava a volerci il decoder, il tempo era fresco, un tempo perfettamente primaverile e in linea con il mese di marzo. Avevamo girovagato per tutto il giorno, io coperta dalla canotta, felpa e bomber. "Va bene" pronunciai io, con voce più alta rispetto alla sua, che pareva quasi un fischio, ma pur sempre intima. Mi mostrò un viso senz'espressione, prima di andarsene.

Gli altri mi guardarono, come se si aspettavano da me qualcosa. "Oh" pronunciai, "che ficcanaso che abbiamo qui" cantilenai, tornando con la posizione di partenza. "Dicci, dicci, dicci" parlò Anita, battendo le mani eccitata. I suoi occhi verdi mi scannerizzarono cercando un sentimento trasparire sul mio volto, ma nulla, quindi parlai: "mi ha chiesto se stasera possiamo parlare, perché vuole il numero di mia madre, gli ho chiesto il perché ma siamo stati interrotti dalla sua amante."

Le risate divertite degli altri si fecero sentire per qualche minuto, prima che Andrea pronunciò quelli che erano stati anche i miei dubbi: "vuole farsi la Teresa?" Mi coprì la bocca con la mano, "mi è venuto anche a me quel dubbio e me ne sono uscita con una battuta infelice riguardo quello..." abbassai la voce, "che abbiamo visto ieri notte. Lui se n'è andato."

"Forse doveva farsi una sega per calmare l'eccitazione del pensiero" suggerì Alberto. Dischiusi la bocca, facendo finta di vomitare per quella frase assurda e bruttissima. "Non dirlo mai più" intimai, disgustata e tremando nella mia felpa. "E a che ora e dove?" continuò Anita. Feci spallucce, "non so. Caso mai dopo cena, vado a cercarlo io."

"Allora quando usciamo stasera ci racconti tutto" suggerì lei contenta. Chissà perché lo era così tanto, io ero un misto fra lo spaventata e il vogliosa di vedere lui. "A proposito, a che ora stasera?" si intromise Silvia, allungando il collo verso la nostra direzione. Andrea tirò fuori il cellulare, "sono ora le sette e un quarto. Direi verso le nove, otto e mezza, giusto il tempo di prepararci poi andiamo ad esplorare come Dora."

"Hambuger" affermai, "e vinceeee l'Anitaaaa" cercai di fare una voce da telecronista, che mi riuscì parzialmente, dato che alla seconda "a" mi si incrinò la voce, e si abbassò. "Raga" pronunciai, la voce ancora bassa e il raschietto in gola, "mi sa che ho urlato troppo." Più parlavo e più si abbassava la voce, rendendola solamente un sussurrio.

The bird has flown awayDove le storie prendono vita. Scoprilo ora