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"Uè uè" Alberto entrò nella sala da pranzo con le braccia spalancate e un'aria da furbo che lo contraddistingueva, insieme a quella sua aria da sveglione che portava sempre con sé.
"Raga io non ci credo" continuò Anita mentre metteva nel piatto un pezzo della crostata alle prugne che presi anche io. Lo aveva ripetuto almeno quattro volte e tutte con la stessa intensità e certezza: lei non ci credeva e non voleva crederci.
"Giuro, cazzo" affermò Andrea mentre si versava del caffè in una tazza da latte.
Alzai la mano, "giuro anche io". Se non l'avessi visto non ci avrei creduto eppure quella volta le nostre parole coincidevano alla realtà dei fatti.
"Parlate della copulata?" Chiese Alberto intromettendosi nel discorso mentre si infilava in mezzo fra Andrea e L'Anita per raggiungere un croissant ancora caldo. Lo guardai, aggrottando la fronte: "gli occhiali da sole sono dovuti a questo bellissimo tempo soleggiato?" Chiesi guardando fuori dalla vetrata posta proprio davanti al tavolo imbandito con il buffet della colazione. Il tempo era oggettivamente uguale, in ogni sfumatura grigiastra a quello di ieri.
Lui se li tolse mezzo secondo per farmi vedere ciò che celavano: due occhi resi come fessure dalla stanchezza, circondati da aloni scuri e infossati. "Ne avresti bisogno anche tu" consigliò lui mentre se li infilava nuovamente.
Cercai di osservarmi nel riflesso del vetro, e vidi solo la parvenza di quello che vidi quella mattina nello specchio del mio bagno mentre mi lavavo i denti. Capelli in stile criniera di leone sotto effetto di LSD, occhi infossati e cerchiati, viso sconvolto e cera colorita come sempre.
Feci spallucce. Mi ero messa il mascara quindi ero sicuramente presentabile.

"Just do it" affermò Anita dopo aver sorseggiato un sorso del suo the al latte. Ero seduta al suo fianco e cercai di seguire la traiettoria del suo sguardo e vidi la sagoma di Mike raccogliere qualche piatto, impilarlo e portarlo in cucina.
Lo seguì con lo sguardo fino a quando non scomparì e subito dopo tornò per raccogliere i piatti sporchi di coloro che avevano già finito di fare colazione.
"Just do it proprio" pronunciò Andrea, con un sorriso fisso sul suo viso, quel sorrisetto stupido che misto alla sua voce rendeva perfettamente l'immagine di quello che era lui, era come una rappresentazione visiva. Ci mettemmo a ridere proprio nel momento in cui lui passò al nostro fianco e ci lanciò un'occhiata poco confortevole.
"Lui fa sicuramente" continuò Alberto, cercando di mantenere un aplomb serio ma scoppiò velocemente a ridere per la sua stessa battuta sulla linea di quello di cui stavamo parlando da quella stessa mattina.
"Però vorrei mettere dei puntini sulle i" commentò la mia amica mentre poggiava sulla tovaglia bianca la sua tazza color avorio, "lui si fa la vecchia e schifa me?" era allibita.
Io annui, "non si sa come ma il suo pene era nella sua vagina."
Sentì una presenza e voltandomi vidi Mike sparecchiare nel tavolo completamente libero, dietro al nostro. I piatti fermi nella mano e il viso leggermente alzato per guardare noi, il cipiglio sempre presente e una sorta di punto di domanda che si poteva vedere benissimo appeso sulla sua fronte.
"Mi sa che ha capito" sussurrai voltandomi verso gli amici. Strinsi i denti e feci un'espressione imbarazzata, mentre vidi Andrea, davanti a me, abbassare la testa per ridere in segreto.
Sentì il rumore delle stoviglie e già potevo immaginarmelo camminare fino al nostro tavolo, fermarsi ed iniziare a pronunciare il proprio odio nei nostri confronti, invece ci sorpassò con passo deciso e sparì dalla mia visuale. Si smaterializzò. Rimasi qualche secondo a fissare il punto in cui la sparì: oltre alla porta d'entrata spalancata, in un corridoio che voltava a destra verso gli sgabuzzini.
Se fossi stata in un film, mi sarei alzata, lo avrei inseguito, lui mi avrebbe baciata - perché sì - e ci sarebbe stato un chiarimento romantico e pieno di scuse e ammissioni di colpe. La verità dei fatti era però diversa: io non lo conoscevo quindi che lo seguivo a fare e non c'era nemmeno nulla su cui scusarsi, forse gli scappava solo la cacca ed era andato nel bagno di servizio.
Voltai il viso, tornando con l'attenzione ai miei amici, vidi i loro visi cordiali e sorridenti e naturalmente mi unì a loro.
"Ma gli altri?" Chiesi, guardando il nostro tavolo vuoto, "oltre al fatto che siamo rimasti solo noi della nostra classe, come mai oggi non si sono viste la Silvia o la Rosa e Alessio? Non che mi dispiaccia per le prime due."
Mi voltai girandomi e vedendo qualche sporadico viso e qualche gruppetto sparso a macchia di leopardo.
"Loro hanno fatto colazione almeno mezz'ora fa" mi informò l'Anita con la bocca piena di un tortino al cioccolato.
Non stavamo semplicemente mangiando, stavamo riempiendo il nostro stomaco di cibi e bevande gratis e per questo motivo dovevamo mangiare fino a stare male, perché era tutto gratis. Tutto.

"Secondo me anche oggi il piano della giornata sarà a cazzo di cane" Andrea parlò appoggiandosi con la schiena alla porta dell'ascensore. Alberto annuì, "sicuramente, anche ieri abbiamo dimezzato" commentò guardando un punto fisso ed indeterminato oltre la spalla dell'Anita, di fronte a lui.
"Spero però che ci lascino visitare la città, almeno gli ultimi giorni" continuai io il discorso, guardando i nostri piedi sul pavimento blu dell'ascensore.
I colori in quell'hotel erano sgargianti.
"Già da stasera dovremmo avere qualche ora di libertà" parlò Anita.
"Che facciamo?" Chiese Alberto, riferendosi a quella sera mentre si aggiustava il collo del maglione beige. Lo guardai, alzando di poco il viso. Era molto più alto di me, o di tutti noi. Mentre io ero un metro e sessantotto, l'Anita era un metro e sessantacinque, mentre Andrea uno e ottantotto. Alberto invece era un gigante visto dalla mia prospettiva: un metro e novantacinque, il fisico da giocatore di basket e il corpo dall'aria perennemente svogliata.
"Possiamo fare un giro un po' a caso e vedere che offre Cardiff" propose Andrea. Annuimmo tutti, un po' soprappensiero e ancora stanchi mentre le porte si aprirono e i due ragazzi uscirono lanciandoci un veloce saluto.

Arrivammo al nostro piano, uscendo svogliatamente e trascinandoci fino alla porta della nostra camera.
Alzai il viso per guardare la porta e mi bloccai sul posto e sulla tappezzeria quando vidi al lato di essa Mike che si aggiustava il ciuffo sul lato destro.
Continuai a camminare ma ad ogni passo sentì un tonfo nel petto. Non mi piaceva discutere, mi succedeva spesso ma ogni volta, quando la discussione finiva, io ci rimuginavo sopra per giorni portandomi dietro sensi di colpa e una matassa scura di pensieri, di parole, di ricordi.
Sospirai e quando fui poco distante il suo volto perfettamente delineato si voltò verso di me. Cercai di decifrare la sua espressione ma non vidi nulla.
Si distaccò dal muro venendomi incontro. Con la coda dell'occhio vidi Anita voltarsi, fare una faccia interdetta ed entrare nella stanza mimandomi un "grida aiuto se serve". Scossi la testa, nascondendo un risolino, prima di dedicarmi a Mike, fermo davanti a me nella sua felpa bianca.
"Devi darmi il numero di tua madre."
Feci una smorfia, arricciando il naso e le labbra e inarcando le sopracciglia.
"Ma no" replicai io, disgustata. Voleva scoparsi anche lei, questo schifoso. Cercai di sorpassarlo, se il dialogo fosse finito lì, sarei riuscita a non schiaffeggiarlo prepotentemente. Mia madre era una donna single, ormai da diciotto anni e se non aveva trovato un degno uomo che potesse stare al suo fianco, di certo non si sarebbe fatto un ragazzino acido.
Mi fermò, prendendomi la mano e facendomi scivolare indietro. Sarei caduta indietro se non mi avesse sostenuto nella sua presa prepotente. "Fai Borgo di cognome, no?" Scossi la testa, cercando di rimanere in piedi. "Bartolini" pronunciai, "come il corriere."
Sorrisi pensando alla mia ultima frase, era la prima cosa che Andrea mi aveva detto quando ci eravamo conosciuti in prima superiore.
"Ma tua madre?"
Dio. "Ma sei fissato" ribattei.
"Come fa di cognome?" Continuò, sembrava che nemmeno m'ascoltava.
"Lo sai" risposi annoiata, guardando ovunque ma non lui. Tirai leggermente la mano e la sua presa si sciolse velocemente, rilasciando la mia mano diventata sudaticcia per il contratto stretto.
"Bene, allora devi darmi il suo numero."
"Capisci che ti ho appeno detto di no e il mio no rimane un no, sì?"
Sbatté le palpebre, "in realtà no. Si è capito poco."
"Devi solo darmi il numero. Tua madre conosce la mia."
Le mie labbra si dischiusero, volevo dire qualcosa ma me ne dimenticai il momento stesso.

The bird has flown awayDove le storie prendono vita. Scoprilo ora