Quaranta

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Forse ero completamente andata. Forse la sola vicinanza di Andreas stava permettendo ai miei neuroni di sciogliersi, ma anche la razionalità era dalla parte del cuore, perché il suo discorso stava in piedi ed io ero stata convinta e non avevo nemmeno l'idea di poterci rimanere fregata.

Mi abbracciò, allacciando le sue mani sopra al mio fondoschiena da sotto il mio bomber aperto, mentre io ero ancora inginocchiata davanti a lui e su quella spugna morbida. Poggiai la testa sul suo petto. Quella relazione non era nemmeno iniziata ed era già complicata; i presupposti facevano quindi oggettivamente schifo eppure continuavo a crederci, e non avevo mai creduto in molto altro.
"Sei un termos" mi disse scherzando. Io risi divertita. La mia temperatura corporea passava dal essere bollente a ghiacciata, non c'era una via di mezzo.
"Se hai freddo andiamo dentro" pronunciai.
"No sto bene" rispose, iniziando a passare una mano su e giù per la mia schiena, lasciandomi dei brividi per la spina dorsale. "Secondo te perché l'ha fatto?" Chiesi alzando il viso verso il suo. Sembrò capire da subito, "sarà ubriaca?" La sua era più una domanda che un'affermazione. "Perché proprio te?" Continuai. Non riuscivo a capire, ad arrivare ad una soluzione dell'enigma.
"Sono il più bello del locale" rispose ovvio facendomi ridere.
"Non lo vado a mettere in dubbio" replicai divertita, "ma ci sono delle regole non scritte."
"Ti conviene parlarle...magari è solo totalmente andata e non sa più chi è, magari ce l'ha con te per chissà quale motivo che l'ubriachezza gli ha fatto ritornare a galla, magari è un periodo un po' così."
Annuì tornando con il viso voltato di lato contro il suo petto. Non riuscivo ad avercela nemmeno con lei, perché non sembrava lei. Solo che non riuscivo nemmeno ad andarle a parlare, siccome pareva non volesse farlo.
"Andiamo nei divanetti dentro?" Chiesi, "le ginocchia iniziano a soffrire."
Lui si distaccò, privandomi della mia fonte di calore.
Tornammo dentro e ci sedemmo su uno dei divanetti morbidi, color crema. "Che ti ha detto Mike?" Chiese mentre si sedeva e mi tirava a sé, per finire incastrata fra il suo braccio, l'ascella e il petto.
"Mi ha circa chiesto scusa per quello che mi ha detto durante questo mese."
Posò una mano sulla mia coscia sinistra. "E com'è che ora fa il buon samaritano?"
Feci spallucce, "non ne ho la minima idea. Non che per me cambi qualcosa" affermai, "mi doveva un sacco di spiegazioni a Cardiff e mi deve delle scuse" aggiunsi, "però non me ne frega più una minchia. Basta solo che la smetta di tirarmi delle frecciatine."
"Dove sei stata in gita?" Domandò. Gli avevo spiegato qualcosina. Il bacio con Mike e la mia gita della maturità, dove proprio lo avevo incontrato all'hotel paradiso.
Io annuì, "in pratica sua madre conosce la mia e lui per sapere come stava la propria ha dovuto contattare la mia." Iniziò con la mano a disegnare cerchi immaginari con il polpastrello sul tessuto dei miei pantaloni neri, mentre mi chiedeva "ma non ha rapporti con la madre?"
Mi godetti in silenzio il suo tocco per qualche secondo prima di rispondergli: "mi sono fatta spiegare un po' da mia madre" risposi, "in pratica sua madre, quella biologica, è una tossica. I suoi sono divorziati da quando era piccolo e lui verso i quindici anni è dovuto andare da suo padre. Aveva contatti con la madre ma in un paio di anni li perse, prima di perderli però conobbe mia madre, che non riuscì a contattare fino a quando io non gli diedi il numero a Cardiff. Da lì si sentono spesso perché mia mamma frequenta ancora la sua. Pare sia guarita e tutto." Feci un velocissimo riassunto di una storia di almeno cinque anni, che anche a me fu spiegata in quel modo, in quanto mia madre mi diceva che non voleva dilungarsi troppo sulla spiegazione per non parlare di una famiglia che stava vivendo dei drammi. Se si fosse dilungata, diceva lei, che avrebbe sicuramente detto del suo, dando dei giudizi che naturalmente, per natura umana uscivano, e quindi preferiva limitarsi.
"E non può lei contattare il figlio?"
Mi voltai di lato, per finire con la coscia sulla gamba di Andreas, la testa vicino alla sua ascella e il mio braccio stretto al suo stomaco, lui velocemente iniziò nuovamente a disegnare qualche ghirigoro con i polpastrelli, sulla parte alta della coscia.
"Non ho ben capito la cosa, ma credo che il padre abbia intrapreso delle vie legali. Lei non potrebbe contattarlo in nessun modo o vederlo, perché da quanto so lui da piccolo è stato male" spiegai, "cioè" aggiunsi notando di essermi spiegata con i piedi, "è stato male perché aveva quasi preso qualcosa della madre, forse una pasticca o qualcosa del genere."
"Ma potrebbe chiamarlo da un telefono di una qualche cabina" suggerì lui. Di fatti aveva ragione, sembrava così semplice e nemmeno io avevo capito perché non gli era stato più possibile contattarlo. C'erano così tanti e nascosti modi per farlo.
"Magari ogni mossa che fa è spiata" dissi.
"Mi dispiace per Mike" sospirò lui, "e per quello che è successo con la madre ma non spiega il vostro rapporto."
Alzai il viso, "devo per forza dirti che è successo?" Mi lamentai. Lui annuì, "per forza" sottolineò.
Sbuffai, "una volta, prima di andare via da Cardiff, ci stavamo baciando e quando eravamo sul punto di spogliarci, o meglio lui mi aveva tolto la maglia, si è alzato e se n'è andato. E poi ha chiamato mia madre."
"Che cazzo?" Chiese lui fra il confuso e il divertito. Detta così, da esterna, avrebbe fatto ridere anche a me, ma vivere quella scena fu "leggermente" più imbarazzante e umiliante.
"E oh, i mesi dopo ha continuato a chiamare mia madre senza nemmeno scrivermi mai un messaggio con delle scuse" aggiunsi.
"Lui ti agganciata?" Chiese. Sembrava stupito. Io non rimasi stupita quel giorno, ero stupita dal fatto che uno come lui volesse concludere qualcosa con me, perciò rimasi doppiamente ferita da quel suo sguardo e da quella sua fuga dal mio corpo.
"Ma perciò sei venuta ad Amici quel giorno? Eri ancora presa?"
Scossi vigorosamente la testa, alzandola leggermente per guardarlo, "no no no no, non ero presa, ero solo ferita. Volevo vendicarmi. Fra l'altro l'idea era venuta dall'Anita e dagli altri."
Lui infilò la mano sotto la giacca che ancora avevo addosso per stringermi il fianco, "oltre al suo essere uno schifo di persona ed oggettivamente stupido, è stato un bene" rispose, "hai avuto l'onore di incontrarmi."
Risi, "pensa tu che onore hai avuto a conoscere me" scherzai.
"Lo so" sorrise, ero lì lì per la via dello svenimento grazie a quel suo sorriso ampio.
Mi stavo dilungando su di lui per arrivare a baciarlo ma lui affermò un: "potrai scrivere un libro su di noi, Moccia" ed evitai di farlo, preferendo invece dargli una manata sul cavallo del jeans, per farlo soffrire.
"La brucio quella cosa".

The bird has flown awayDove le storie prendono vita. Scoprilo ora