Cinquantaquattro

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Il suono del mio cellulare mi risvegliò dal mio stato di trance. Raccolsi quella pochissima dignità che mi era rimasta in corpo e tornai nella camera da letto sentendo su di me il sorrisetto malvagio di Michele.
Perché dovevo per forza avere a che fare con lui? Era cattivo e manipolatore e l'ottanta per cento delle volte non lo capivo nemmeno, se non il novanta.

Sospirai e mi piegai sul letto per raccogliere il cellulare mentre mi ritiravo nel bagno.
Sentivo un groppo in gola famigliare che mi limitava il normale respiro.
Mi chiusi dentro il bagno pulito e mi sedetti sulla tazza del water guardando il mio riflesso nello specchio sopra al lavandino.
Inclinai leggermente la testa studiando il mio viso. Non ero nulla di che, quello ero certo, ma meritavo comunque qualcosa che fosse di più delle prese in giro e delle manipolazioni di un egocentrico ventitreenne che se la faceva con una donna sposata.

Presi il cellulare e mi passai una mano fra i capelli scuri.
Mi ero dimenticata di Andreas o del messaggio ma quando vidi il suo nome sul display del mio cellulare la memoria di quello che forse era stato il mio ragazzo tornò alla mente, sfiorando il mio cervello bacato con i ricordi.
Ci eravamo lasciati bene, io per lui avevo provato qualcosa di maggiore rispetto ad una sola infatuazione ma tutto sembrava star evaporando grazie alla distanza e al suo silenzio che non faceva altro che infastidirmi e portare lui sulle mie palle metaforiche.

Aspettavo che mi dicessi che fossi a farti una bella vacanzina con Mike, ma dato che non sembra che tu voglia dirmelo ti avviso che me l'ha già detto lui.

"Mike!" Urlai dal bagno. Mi alzai velocemente dal water e aprì la porta lasciando la luce accesa nel bagno mentre con velocità e furia mi dirigevo verso il salotto che avevo appena scoperto.
La porta era ancora aperta e lui era ancora comodamente seduto sul divano con il suo cellulare fra le mani olivastre mentre i capelli gli ricadevano sul volto, come se fosse stato concentrato su qualcosa.
"Mike del cazzo!" Replicai, cambiando un po' la frase per dare più enfasi ai miei pensieri rabbiosi. Lo avrei voluto schiaffeggiare.
Lui alzò il viso. Sembrava sereno, perfino leggermente sollevato: i lineamenti del viso erano distesi e il cipiglio da piccolo bambino fastidioso e viziato se ne era andato dalla sua faccia.
"Perché hai dovuto dirlo tu ad Andreas che venivo qua con te? Perché? Nemmeno ci volevo venire io qui, ora sembra che sia qui a villeggiare con te e la tua testa di cazzo!"
Mi fermai sul ciglio della porta con il cellulare in mano sbloccato sul messaggio e le braccia che gesticolavano furiose mentre i miei capelli stavano diventando simili ad un nido che qualcuno aveva appena calpestato con gli scarponi da lavoro.
"Oh sta tranquilla, il vostro rapporto è finito quando tu sei stata licenziata. Non piangere, piccola."
Alzai le sopracciglia e dischiusi le labbra sbigottita.
Stavo per replicare ma invece di farlo corsi letteralmente in camera, presi un guanciale dal letto e tornai nel salotto. Mi fermai un nano secondo sulla soglia prima di sganciarglielo contro con velocità massimale.
Grugnì perfino per dare più forza al mio attacco e fui quasi sollevata quando il cuscino colpì la sua dannata faccia con un piccolo smack.
"Vaffanculo Mike, io me ne torno a casa" sbottai prima di andare nuovamente in camera prendere la mia valigia ancora fatta e recuperare quelle poche cose che avevo lasciato fuori da essa.

Sentì i suoi passi pesanti avvicinarsi ma feci finta di nulla e raccolsi la mia felpa infilandola sulla t-shirt.
"Dove cazzo vai?" Iniziò lui con voce alta e irosa.
Non aveva il diritto di arrabbiarsi, non lui, ero io quella che doveva rimanere furiosa ed avevo un motivo per farlo, ne avevo dieci di motivi.
"A casa" replicai con tono sommesso chiudendo la zip e continuando ad evitare magistralmente di guardarlo.
"Non vai da nessuna parte" continuò lui cercando di mantenere calmo il suo tono.
Mi voltai ed aprì le braccia, "perché no? Perché?!" Urlai, "cosa ti cambia se ci sono o meno? Saresti più felice senza di me o meno represso." 
"Non vai da nessuna parte" replicò guardandomi e stabilizzando ufficialmente il tono in qualcosa di imponente e fisso.
"Ah no?" Chiesi, rendendo il mio ironico. Presi il trolley e lo trascinai verso la porta con il mio giubbino sopra, "guardami" aggiunsi sorridendogli.
Lui si affrettò e si mise davanti alla porta, si appoggiò ad esso bloccando la mia unica via di uscita.
Mi fermai davanti a lui e lo spinsi di lato non riuscendo a muoverlo di un centimetro. "Sei infantile" commentai con le braccia consorte.
"Io?" Si indicò, "sei tu che te ne stai andando."
Sorrisi amaramente. "Me ne sto andando perché mi stai sulle palle e non voglio più starci qui con te."
Avevo pensato belle cose su di lui, per mezza giornata forse ma velocemente avevo cambiato idea. Era terribile lui e i suoi modi da bulletto represso.
Non avevo idea del perché appena lui mi dicesse una cosa carina io ci cascavo come una dannata pera matura e anche per quello dovevo andarmene, altrimenti la mia testa da ritardata sarebbe stata rivoltata da lui e avrei passato altri mesi a farmi il sangue amaro pensando a lui e alla sua cattiveria. Avrei passato mesi ad odiarlo e a pensare a tutto quello che mi aveva fatto e non avevo più voglia di stare male per lui o per nessuno.
Lui fece un risolino, "perché ti ho fatta litigare con il prezioso Andreas?"
Sospirai e guardai il soffitto bianco. Necessitavo di calma. Calma, xanax e valeriana, il tutto servito in un bicchierino di plastica.
"Per quello e perché sei una dannata testa di minchia" affermai ed abbassai il viso per guardare il suo che sembrava per qualche motivo vittorioso. Era sicuramente mentalmente malato. "Sei cattivo" aggiunsi, "tu giochi con le persone. O forse solo con me, non lo so. Ma non ci voglio più stare qui per stare dietro ai tuoi cambi d'umore e alla tua cattiveria. Voglio solo tornare a casa, scordarmi di te e dormire. Poi cercherò un lavoro di merda e andrò avanti con la mia vita come ho sempre fatto, senza di te o Andreas."

Mi dispiaceva dirlo ma Andreas non mi era mancato quanto mi aspettavo. Mi aveva solo infastidito la sua sparizione e il suo svanire lentamente quando mi diceva ancora che fosse davvero troppo impegnato con il programma. Ero sinceramente felice per lui, ma a quanto pare mi interessava di più quando mi rendevo conto che anche io interessavo a lui.
Ero tornata a casa e mi era mancato, così tanto da stare male ma il dolore era durato così poco che non me ne ricordavo nemmeno più.
Mi dava fastidio che Mike avesse dato una mano alla "rottura" con Andreas ma più che altro perché non capivo cosa centrasse lui nella mia vita, non aveva il diritto di intromettersi.

"Ti ho fatto un favore, Andreas è un cazzone. Ti sei liberata di un peso" rispose, sembrava serio e il risolino se ne era scomparso. "E non puoi andartene ora, ho trovato mia madre. Cioè Gennaro, ma l'ho trovato e ho bisogno di te."
Arricciai il naso e aggrottai la fronte. "Sono felice per te davvero, ma tu non hai bisogno di me" affermai guardandolo. Era così. Lui aveva bisogno di me solo per alleviare la sua noia e prendermi in giro, ma non era una reale necessità. Era più un diletto.
Mike annuì, scompigliando leggermente i suoi capelli arruffati. "Ne ho bisogno" sospirò.
Lo disse così piano che pensai di essermelo immaginato.
"No" continuai, "vuoi solo prenderti gioco di me e io non ho più voglia di star dietro alla tua mente malata" pronunciai.
Feci un passo in avanti e lo spinsi ancora, sorprendendomi di me stessa per la riuscita del mio obiettivo: spostarlo.
Si spostò di lato ed io feci per uscire ma fui costretta contro la porta e la sua mano avvolta intorno al mio polso mi voltò facendo sbattere la schiena contro il legno massiccio.

"Che problemi hai?!" Alzai la voce; ero stanca dei suoi giochetti e avevano perso di senso ormai da ore.
Mi strinse leggermente il polso e si piazzò davanti a me. "Ti ho detto che ho bisogno che tu stia qui" affermò avvicinando al suo viso al mio. Il suo respiro si infranse sul mio volto mentre parlava.
Sbuffai. "Non ne hai bisogno, Mike. Non prendermi in giro."
Scosse ancora la testa, "ascoltami, cazzo, te lo sto dicendo" rispose, il tono si era affievolito ed era diventato come un respiro, "ho bisogno di te."
Sorrisi nervosamente. "Ti prego di smetterla" quasi lo pregai.
Per qualche motivo il mio cervello continuava a pensare a lui ed io ci stavo male, fisicamente, ad essere trattata in quel modo, perché io a quanto pare ci tenevo mentre per lui era solo un gioco. Era tutto un giocare con i sentimenti degli altri per egoismo, faceva tutto per se stesso, nemmeno ci aveva pensato a come sarei stata io.
"No, Noemi. Te lo sto dicendo per una ragione. Ho bisogno di te, stai qui con me."
Abbassai il viso e guardai in basso verso i miei piedi con le scarpe e i suoi nei calzini bianchi.
La sua fronte si poggiò sulla mia. "Stai qui" ripeté ancora.

Buongiornissimo!
Non so se è la prima volta che pubblico a quest'ora ma mi sento come se lo fosse.
Il capitolo è cortino ma l'ho voluto finire così e poi mentre lo scrivevo ascoltavo "Stand By Me" di Ben E. King, quindi sono praticamente stata influenzata dalla canzone.

Lunedì prossimo ri-inizio a lavorare e non so come sentirmi al riguardo. Ammetto che ci sono giorni di noia in cui preferirei altamente essere a lavoro che in vacanza ma sono pronta ad alzarmi ogni mattina presto? Non credo.

Detto ciò vi auguro tante belle cose e una buona giornata.
♥️🌹

The bird has flown awayDove le storie prendono vita. Scoprilo ora