Piove, piove, la gatta non si muove

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Capitolo tre

Piove, piove, la gatta non si muove 

C'erano dei momenti in cui si chiedeva che senso avesse tutto quello

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C'erano dei momenti in cui si chiedeva che senso avesse tutto quello.

Se lo domandava spesso, fra il battito di un respiro e lo sbattere spaventato delle ciglia, mentre l'insensatezza della sua vita le masticava il cuore, vomitandolo ai suoi piedi come sputo sporco. Si domandava perché ogni volta continuasse a inginocchiarsi per riprenderlo e rimetterselo al petto, costringendolo a entrare in quella scatola di ossa dentro cui lui si sentiva imprigionato e dentro cui lei stessa a volte desiderava non averlo.

In quei folli attimi di delirio, dove anche la più piccola certezza veniva sfaldata dalle folate del dolore, Edith non riusciva nemmeno a trovare la consolazione del pianto. I suoi occhi erano asciutti, pozzi prosciugati dalla siccità della sua anima. Le gorgoglianti lacrime con cui un tempo aveva riempito il gigantesco pezzo mancante nel suo petto ora non c'erano più, svanite proprio come tutte le altre emozioni che, una volta, le avevano permesso di dire di esser veramente felice.

Lui era l'unica persona che le fosse rimasta, l'unico che avrebbe voluto al proprio fianco. Lui era tutto, per Edith: il suo cuore, i suoi polmoni, il suo fegato, il suo cervello. Era per lui che la donna respirava, per lui che camminava, per lui che si costringeva a strisciare in avanti, sempre in avanti, tentando di non rinchiudersi in una tomba.

Non poteva esserci più nessun altro, nella sua vita, se non lui. Edith sapeva ormai che la maledizione non l'avrebbe mai lasciata andare. L'avrebbe sempre inseguita, alitato il sorriso contro il suo collo, ghignato per il suo dolore; l'avrebbe aspettata dall'altra parte del mondo, in attesa che la ragazza cadesse di nuovo in errore arrivando ad amare ancora.

Quel solo pensiero bastò per far risalire la bile nella gola. La donna si fermò nel bel mezzo del marciapiede, le gambe tremanti e il respiro incastrato fra i polmoni e la bocca. La mano che stringeva l'ombrello iniziò a tremare con rabbia.

Si guardò attorno, ma di nuovo tutto ciò che vide fu la pioggia che la umiliava e il nero del mondo che la circondava. Attorno a lei solo case di periferia che mai avrebbero ricordato il suo nome, alla sua destra un parco giochi abbandonato, dal prato verde rovinato dal tempo e l'altalena arrugginita che veniva spinta dal vento. Nel vederla, Edith crollò.

Lo fece piano, inesorabilmente, con gli occhi spalancati nel tentativo di imprimersi nella mente quell'immagine che tanto la faceva soffrire quanto la faceva star bene. Si aggrappò con la mano libera alla staccionata in legno che separava il marciapiede dal parco, fissò quell'altalena ancora.

Cenere andò a depositarsi nei suoi polmoni mentre Edith, disperata, tentava di tornare a respirare. Il bruciore degli occhi non le impedì di ferirsi con la visione di quel parco giochi che lei conosceva fin troppo bene. Le unghie della sua mano intagliarono mezze lune sulla superficie legnosa della staccionata, mentre la ragazza ricordava quegli istanti felici dove aveva sognato tante, troppe cose.

La pioggia prega in autunnoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora