Cimitero di lacrime

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L'inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n'è uno, è quello che è già qui, l'inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l'inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.

Italo Calvino - Le città invisibili

Era stato il suo più grande errore.

Di quelli che mai dimenticherai, che restano tatuati al di sotto della pelle e dei muscoli, contratti nelle occlusioni di un respiro e l'altro, per germogliare e pizzicare i pensieri come una rosa di lische.

In un vortice di timori e paure quell'errore si era solidificato fra le sue mani, nella strettura di due linee rosse su un test di gravidanza.

Ed Edith aveva capito, allora, lo aveva capito come si capisce di essere giunti al mondo, con le mani impiastricciate e gli occhi chiusi, e un grido ancora acerbo a bucarti le labbra.

Nel tugurio immobile della sua eterna insoddisfazione, era stato piantato il primo seme della completezza: un germoglio che aveva prosciugato ogni tormento e condanna e che era lì per sbocciarle nel ventre e foderare tutti i suoi vuoti grazie ai propri boccioli.

Era stato il sospiro della primavera a donarle quello sbaglio, e durante l'orchestra delle cicale innamorate gli occhi di Edith, per la prima volta da tempo immemore, avevano fatto piovere ruscelli di lacrime con cui, finalmente, porre fine all'aradità della sua anima.

Anche le stelle avevano taciuto davanti al brivido di un simile miracolo, e nemmeno il buio di un cielo privo di luna era stato in grado di sporcare l'innocenza del suo pianto.

Edith era scivolata a terra, ginocchia flesse sul pavimento duro e spalle contratte dal terrore.

Ma nella catartica paura di quell'epifania, erano stati i suoi occhi ad ammorbidire i profili di un mondo che finora era sempre stato troppo ruvido per lei, troppo contorto.

Aveva stretto a sé la prova del suo reato e aveva giurato, in silenzio. Una promessa che era stata inguaiata nell'incarto di una ragnatela di stelle.

Giuro che ti amerò. Giuro che ti amerò per tutta la vita.

Aveva pianto, Edith, quel giorno.

Aveva pianto perché per la prima volta, il pellegrinaggio della sua insoddisfazione era finito.

Ti amerò, ti amerò per tutta la vita.

Come sempre aveva dimenticato la sua triste verità: il suo amore non era un soffio impalpabile, non medicava né abbelliva.

Edith amava e bruciava, non esisteva sollievo che potesse confinare l'ardità della sua maledizione - l'amore di Edith era cancro, epidemia, accresceva per torturare nuove cellule, diventava più grande a ogni morso, e più amava, più uccideva, più amava, più logorava i tessuti degli altri, li sfilacciava e rompeva.

Non c'era cura, nessuna medicina.

Tu porti solo morte con te.

Avrebbe dovuto saperlo, avrebbe dovuto comprenderlo da subito.

La morte non mente, la morte non piange.

La morte divora e lascia alle sue spalle un cimitero di lacrime.

La morte divora e lascia alle sue spalle un cimitero di lacrime

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