Pezzo di te (parte due)

620 68 132
                                    

Arrivò in casa ancora particolarmente trafelato da quanto gli era stato detto da Amelia. Come al solito, trovò la porta della villa aperta. Per l'ennesima volta, Edith si era dimenticata di chiudere a chiave.

«Edith?»

A rispondere al suo sussurro, fu solo il vagito del gattino che lo salutò dall'atrio d'ingresso. Il cucciolo aveva iniziato a crescere, nel corso di quelle due settimane, al punto che ora sapeva muoversi con molta più agilità rispetto a prima e si divertiva a nascondersi in luoghi bizzarri come la cesta dei panni sporchi, il lavandino o persino la credenza, nelle ripetute occasioni in cui Edith si dimenticava di chiuderla.

«Buon giorno» lo salutò Timmy, trovando conforto nel modo in cui l'animale gli si strusciò addosso, fra le gambe. «Ti hanno dato da mangiare?»

«Si può sapere perché gli parli in quel modo? Hai lo stesso tono di voce dei tizi che offrono le caramelle ai bambini per poi rapirli.»

Quella voce ruppe il silenzio di quel momento, il tenero attimo che si era incastrato fra le palpebre di Timmy mentre si lasciava coccolare dal gattino. La proprietaria di simili parole aveva una sigaretta fra le labbra e il corpo spiaggiato sul divano.

I raggi del sole filtravano dalle vetrate delle pareti, cadevano sul corpo appassito della donna e le bagnava la carne pallida fino a rendere le lentiggini sparse su tutto il suo viso stelle incadescenti.

Ed era bella, lei, così assopita in quel mare di cuscini, come una sirena arenatasi su uno scoglio, pronta ad incantare qualsiasi marinaio con la sua voce e il suo viso, coi suoi occhi che sembravano cenere spenta, capace di infettare, di avvelenarti in un battito di ciglia.

«Buon giorno, Edith» la salutò Timmy, sforzandosi di non riflettere su quell'immagine che gli si era dipinta davanti.

«Buon giorno un cazzo, ho il ciclo.»

Buon giorno anche a te, raffinatezza, è stato bello incontrarti anche se per pochi istanti, sussurrò Timmy alla sua mente, piangendo lacrime metaforiche per la volgarità con cui stava avendo a che fare tre volte alla settimana.

«Sei andato di nuovo a fare la spesa?» gli domandò lei a quel punto, affacciandosi dal divano per guardarlo mentre poggiava le buste sull'isola della cucina. «Che cazzo? Pandino, pensi che il mio stomaco sia quello di una balena?» Si accese sbrigativamente una sigaretta, prima di riprendere a lanciargli fulmini e saette con gli occhi. «Giusto perché tu lo sappia, l'unico modo con cui potresti mai rendermi felice è regalandomi un pacchetto di Marlboro rosse.»

«Quelle sigarette finiranno per ammazzarti.»

«Cavolo, lo spero proprio, altrimenti avrei sprecato tre anni della mia vita e del mio conto in banca per niente.»

«Fumare uccide chi ti sta intorno» replicò di nuovo Timmy.

«Peccato, con te non sta funzionando molto.»

«Non sei per niente gentile.»

«Hai ragione, mammina, e ora cosa farai? Mi manderai a letto senza cena? Non verrai a rimboccarmi le coperte?»

Lui scoccò la lingua, piccato da quell'irruenza nella voce della donna. C'era da dire che, quando voleva, Edith sapeva essere ironica a modo suo. D'altro canto, lei era fatta di spine, di quelle che bucano il respiro solo a guardarle, come un'ape che vorresti scrutare da vicino per ammirarne la bellezza, ma da cui sei terrorizzato perché sai che, avvicinandoti, la indurrai a pungerti.

«Hai qualche preferenza per il pranzo?» le domandò a quel punto.

«Me lo chiedi ogni volta e ogni volta la risposta sarà sempre la stessa: cucina quel che cazzo ti pare, a me è indifferente.»

La pioggia prega in autunnoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora