Ricordati di amare (parte due)

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Capitolo tredici

Ricordati di amare (parte due)

Ricordati di amare, Edith.

Perché senza amore non c'è vita e lei lo sapeva bene. Lo sapeva bene anche Henry, in realtà, e questo era il motivo se, quel giorno, le aveva sussurrato simili parole.

Ricordati di amare.

Stupido, lui, stupido come sempre, che si preoccupava per lei persino quando aveva finito la sua scorta di vita, che le afferrava la mano, che le carezzava le braccia, che le baciava la fronte, anche mentre il cancro lo divorava da dentro, riempendolo con la sua massa gigantesca, tremenda, dappertutto. E Henry che non aveva più neanche capelli, sogni o speranze davanti a sé, si era preoccupato unicamente delle lacrime che lei non era riuscita a mostrargli il loro ultimo giorno insieme, perché entrambi sapevano che ormai non mancava molto. Non manca mai molto quando c'è da dire addio a una persona, non ci si prepara mai prima a congedarsi da qualcuno, ci si aspetta sempre di avere un altro domani con cui salutarlo di nuovo e un domani ancora e un altro ancora. Una serie infinita di domani che poi scompare, inevitabilmente, con l'arrivo dell'oggi.

Ricordati di amare.

Le dita di Henry si erano mosse sulle sue, l'avevano carezzata come una bambina, come aveva fatto il giorno in cui era andato a prenderla a casa sua, quando suo padre aveva deciso di non poter più avere una figlia e lo aveva chiamato per dirgli "prendila, portala via, io non ce la faccio".

Ricordati di amare.

Lei aveva amato, aveva amato profondamente. Aveva amato Henry, l'uomo che l'aveva cresciuta, aveva amato il suo sguardo così simile al suo, i suoi occhi ingrigiti e quel volto che sembrava sabbia modellata dal vento, pieno di dune increspate e di solchi profondi sulla superficie spigolosa, nati dalle dita birichine di bambini che prendevano il sole e amavano disegnare ghirigori insensati sulla pelle della spiaggia.

Aveva amato, con gioia e con ardore. Aveva amato fino a non sentire più niente, col cuore pieno di buchi a forma di persone. Il buco della mamma, poi il buco del papà, dopo ancora il buco di Henry e infine quello di lui. Lei se li portava addosso, quei vuoti, li rattoppava con le lacrime nate insieme a loro, in un'eterna preghiera devota alle persone che li avevano creati.

Ricordati di amare.

Edith amava, oh, se amava. Lei amava e diventava fuoco, si trasformava in fiamme roventi che accaloravano tutti coloro che avevano circondato il suo falò per riscaldarsi – senza mai accorgersi di esser troppo vicini a quelle lingue infiammate, senza mai notare il rumore degli schioppetti che li avevano raggiunti. E allora bruciavano la pelle, quei pizzicori, scorticavano la carne, e loro diventavano i ceppi di legno che nutrivano la bocca infuocata, per poi trasformarsi in cenere spenta.

Il falò, così, rinasceva come la bara di quelle vite consumate.

La pioggia arrivava l'istante successivo, ogni maledetta volta. Scrosciava dal cielo e la spegneva per sempre, trasformando la cenere in una pozza di fango. Cantava il funerale delle persone che la donna aveva usurato con le sue fiamme erompenti, sussurrava una sola melodia, un'unica canzone: una vita per una vita, Edith Morrison.

Il processo allora si apriva, perché ogni omicidio deve ricevere giustizia. Vestita con la toga da giudice stava la pioggia e dietro, sul bancone dell'accusato, lei, Edith, ancora macchiata dalle prove del reato e coi polsi legati dalle manette del rimpianto.

Come si dichiara l'imputato?

Colpevole, vostro onore, colpevole d'amore.

La sentenza finale arrivava, a quel punto, sempre, continuamente. Non c'era modo di evitarla dal tribunale della vita. Sopravvivrai ogni volta e ogni volta morirai, portati addosso tutte le loro bare, incidi i loro nomi dentro il cuore pulsante e ricorda che ogni tuo battito è nato grazie alla loro morte, ricorda che ogni respiro è ciò che gli hai sottratto.

La pioggia prega in autunnoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora