Divorarti (parte due)

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Henry le raccontava spesso del giorno in cui aveva incontrato Amelia.

Le aveva detto che era successo in una notte in cui la luna aveva pianto assieme alle stelle, all'alba di un sorriso che gli aveva arpionato le labbra quando per la prima volta l'aveva scorta.

Per lui l'amore era sempre stata l'arte.

Erano i colori a renderlo schiavo di un sentimento così disarmante e al tempo stesso così allietante da renderlo ignaro di chi lo circondava; ci era nato, diceva, con quell'amore, lo aveva ricevuto da Dio come regalo per la sua nascita e gli era stato instillato fra le venature del cuore come un seme pronto a sbocciare.

E quel seme era sbocciato, sì, era cresciuto insieme a lui e si era trasformato in un bouquet di fiori sgargianti che gli avevano riempito il petto, e a nutrirlo e annaffiarlo erano state le tele piangenti dei quadri che scorgeva nelle pagine ingrigite dei fogli di giornali o nei libri rubati da qualche biblioteca.

A diciassette anni, poi, aveva deciso di sposarsi con l'arte, di renderla la sua eterna moglie e di morire per essa, se fosse stato necessario. Perché nei colori Henry scorgeva la mutevole vita di quel mondo corrotto, il disincanto dei sorrisi e la meraviglia conservata nello sfumarsi di un contorno.

L'arte lo amava e lui amava ella, e il loro fu un matrimonio rapido e da tutti oramai immaginato, celebrato in seguito con una luna di miele che sarebbe durata per quasi dieci anni, nel luogo che Henry definiva sempre la terra natia della sua adorata sposa: l'Italia.

Si era trasferito in quello Stato così, senza troppe cerimonie, in mano solo un bagaglio colmo di sogni e speranze e sulle labbra il sorriso che si ricamava ogni volta che a baciarlo era la sua moglie perfetta. Aveva iniziato il suo percorso d'artista in questo modo, Henry, senza alcun sostegno alle spalle, in un paese sconosciuto, dalla lingua sconosciuta, dai mille colori e i mille volti, narrati in un milione di modi diversi, ma dalla stessa voce e dallo stesso amore.

Aveva trascorso in Italia dieci anni, spostandosi in decine e decine di paesi e città, sia conosciuti che sconosciuti, per apprendere più dettagli possibili sulla vita della donna con cui era convolato a nozze; Ravenna, Siracusa, Assisi, Venezia, Firenze, Bologna, Milano e tante, tante altre.

Era sopravvissuto a quella vita fatta di stenti solo grazie alla sua totale incapacità di detestarsi per il suo amore, nonostante questo gli procurasse parecchie volte periodi di carestia e d'assenza di cibo. Era andato avanti sfruttando il suo talento a non arrendersi mai, lavorando come artista di strada e vendendo i suoi dipinti; si offriva spesso di fare ritratti ai passanti e ai turisti, e quando le sue tasche iniziavano a piangere vuote, passava le notti sotto ponti arrugginiti o nelle case di quelle poche persone disposte a condividere con lui un magro pasto e un tetto.

Di giorno in giorno, arrivava a conoscere sempre più sfumature della sua amata, e quell'amore che non finiva mai di sbocciare diventava sempre più grande insieme alle sue doti d'artista. Passavano gli anni e Henry sapeva dar nuove forme alle sue emozioni, nuovi volumi ai suoi sogni, e la prospettiva da nemica gli diventò amica, la matita venne presto accompagnata dal pennello e più tardi sostituita completamente da esso.

Fu così che iniziò a farsi un piccolo nome; pian piano, di città in città, di paese in paese, lasciando piccole tracce di sé al suo passaggio, come molliche di pane abbandonate per sbaglio. Si parlava di lui come di un'artista nomade, capace di trasformare i volti delle persone in finestre da cui scorgere l'abisso di un'emozione, ma a Henry tutto ciò non era mai interessato. La fama non lo rendeva vorace, perché il sangue e il sudore che versava sulle sue tele era unicamente dovuto al matrimonio che ogni giorno festeggiava con sé stesso e il suo pennello.

Arrivò infine alla città che si era lasciato per ultimo - allo stesso modo con cui si lascia la ciliegia sulla torta, per poter concludere quel pasto con un ultimo, delizioso sfizio - Roma, col desiderio vorace di poter scorgere la volta della Cappella Sistina, il ciclo di affreschi di Michelangelo Buonarroti, da sempre stato il suo più grande sogno, quando una volta, da bambino, ne aveva scorto le opere su un libro di testo.

La pioggia prega in autunnoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora