Macchia (2/2)

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Quando riaprì gli occhi, e notò ancora una volta il vuoto al suo fianco, quell'assenza gli implose nelle viscere, contraendo la paura tra un battito e l'altro. L'alba zampillava dalla finestra schiusa, nutrendosi dell'ansia di Timothy, e fu con la sua luce che lui riuscì a liberarsi della sonnolenza.

Si sollevò di scatto, inciampando su sé stesso. «Edith?» E la cercò, la voce che strisciava sotto la lingua, in una preghiera silenziosa, sperando che il peggio fosse passato, che l'abisso dell'incubo non si fosse fatto ancor più profondo.

«Edith?»

Controllò la camera da letto, ma nemmeno lì la trovo, e il respiro, da impazzito divenne aceto, bruciò la sua gola ad ogni boccata. I pensieri si strizzarono nel cervello, paure come melma, in cui il ragazzo sentiva di star sprofondando; gli impantanavano i respiri, i singhiozzi che gli scuotevano le spalle mentre scendeva frettolosamente le scale. 

Non riusciva più a sentire il cuore pulsare, i capillari bruciavano di un terrore talmente profondo da sibilare al posto del sangue.

«Edith?»

Si fermò sull'ultimo gradino, e tornò a respirare.

Era lì.

Era ancora lì.

In soggiorno, a fumarsi una stupida sigaretta.

In soggiorno, a fumarsi una stupida sigaretta, mentre Michelangelo si strusciava contro i suoi piedi nudi, per convincerla a carezzarla.

Ed era lei.

Non era più la macchia.

Era lei. Lo capì subito, quando la vide negli occhi. Non c'era più ebbrezza, in essi, né miraggi, erano i soliti occhi di sempre: grigi ed aguzzi, feroci, quasi spietati, contaminati ogni volta dalla siccità delle proprie speranze.

Gli stessi occhi che aveva incontrato mentre facevano l'amore, la stessa nebbia che lo aveva incantato dal primo giorno in cui si era smarrito in essa. La stessa donna. La stessa ragazza per cui aveva concesso ogni fibra del proprio amore.

Era Edith.

Timothy sentì tutto il respiro riempirgli i polmoni in un solo istante, e l'apnea delle ultime ore, vissuta nell'ascoltarla cantare al bambino, si sciolse; fu uno dei respiri più belli e buoni che avesse mai assaggiato, quello che gli gonfiò il petto quando finalmente realizzò di averla avuta indietro.

Ma si fermò, un attimo prima dal chiamarla di nuovo.

Lei non si era mossa.

Fumava avidamente, la punta della sigaretta sdrucciolava fuscelli di fumo che le celavano in parte il viso, brillando tra le oscurità sensibili della stanza, e lo sguardo di Edith si smarriva nelle scritte che incideva nell'aria, con parole grige ed inquinate.

Era lei.

La sua bellissima Edith.

Era tornata.

Con tutta la sua rabbia e le sue spine, con quella furia che le strideva fra le ciglia, e il passato e le fauci da cui si faceva sbranare. Ciocche scarlatte le colorivano il volto pallido, la sagoma sottile sorgeva dall'unione di silenzio e oscurità, e persino le ombre sembravano temere l'idea di colpirla, di decorarle il fisico contratto, perché a stento le tratteggiavano i contorni.

Michelangelo si aggrappava alle sue gambe con le zampette, i suoi versi preoccupati saturavano l'aria, e nell'udirli le sopracciglia di Edith si inspessirono, ricadendo sulle ciglia in graffi tremanti.

Drappi di fumo scivolarono dalle sue labbra schiuse, armonizzandosi con l'aria che li intesseva e ricuciva a sé stessa.

«Ti ho fatto male, non è così?»

La pioggia prega in autunnoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora