Il topolino e l'elefante

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Dobbiamo perdonare le persone che crediamo si siano comportate male con noinon perché se lo meritino,ma perché amiamo tanto noi stessida non voler continuarea pagare per quelle ingiustizie

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Dobbiamo perdonare le persone che 
crediamo si siano comportate male con noinon perché se lo meritino,ma perché amiamo tanto noi stessida non voler continuarea pagare per quelle ingiustizie.

(Miguel Ruiz)

Era sempre stato il topolino, Timothy.

Piccolo, fragile, ingenuo.

Era sempre stato il topolino davanti all'elefante.

Per quanto provasse a non farsi vedere, per quanto tentasse di celarsi nei nugoli d'ombre, tra i ricami delle tenebre, l'elefante lo trovava sempre: imponente, gigante, inesorabile. E da topo che era, Timothy diventava semplice uomo primitivo, e da elefante che era, Audrey diventava divinità capace di riempire le vene del cielo di fulmini, se adirata.

Ma con l'innocenza di cui era fatto, Timothy si ritrovava comunque a guardarla, a venerarla, a pregarla di poter ricevere la sua benedizione e grazia, perché le cicatrici smettessero di gridare e l'alba asciugasse le cicatrici lasciate dai fulmini con le sue tinte.

La temeva e la bramava, delicatamente provava ad avvicinarsi all'elefante, solo per venir schiacciato ogni volta sotto la sua ombra.

Cosa temi di più, Timothy?

Se qualcuno gli avesse mai posto quella domanda, lui non avrebbe avuto esitazioni a rispondere. Audrey. I suoi occhi. Il modo in cui potevano soffocarlo nella cinghia delle pupille disgustate, il sorriso intrecciato con cui umiliava ogni suo difetto, gli sghignazzi che gli regalava ad ogni errore, con cui evidenziava le sue imperfezioni. Perché Timothy era un semplice topolino, un semplice uomo primitivo, e di fronte all'elefante, di fronte alla Dea, non poteva che risultare semplice carne e sbagli. Si era sacrificato per lei, aveva rinunciato a tutto il suo orgoglio, e come uno sciocco aveva bruciato tutti i suoi desideri, solo per poter diventare il suo diletto, il suo suddito.

Cosa brami di più, Timothy? 

Per anni, la risposta che avrebbe dato a quest'altra domanda sarebbe stata la stessa. Audrey. I suoi occhi. Bramava una madre, Timothy, un abbraccio e una carezza. Era semplice, lui, una creatura dai bisogni primordiali. Non desiderava fama, sagacia, denaro; voleva soltanto che la donna che lo aveva messo al mondo si voltasse verso di lui e gli dedicasse un sorriso d'amore, nulla di più. Per troppo tempo aveva pregato che un giorno Audrey lo avrebbe semplicemente guardato per chiamarlo "figlio".

Perché un uomo primitivo teme la suo Dea, ma continua comunque a venerarla. L'uomo primitivo si inginocchia al suo cospetto, tremante, speranzoso di poterla, un giorno, finalmente conoscere e comprendere.

Ma era giudizio ciò che riceveva, invece, una condanna seppellita nell'inchiostro dei suoi occhi, tremiti e colpevolezze che gli si incastravano tra un respiro e l'altro. Audrey lo guardava e Timothy non diventava mai suo figlio, ritornava ad essere uno stupido topolino schiacciato dalla zampa dell'elefante.

La pioggia prega in autunnoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora