Capitolo diciotto
L'ingiustizia del perdono
Sua nonna gli aveva insegnato a perdonare.
A non coltivare il seme della rabbia che gli avevano piantato nello stomaco quando neanche se n'era accorto, a stare attento a lasciarlo seccare, affinché non germogliasse dentro il suo corpo e lo invadesse come un parassita.
Patricia sapeva che quel seme era pericoloso, che se fosse mai stato annaffiato, avrebbe preso possesso di lui e gli avrebbe impedito di amare come lei, invece, sperava facesse.
Perciò aveva sempre accudito Timmy stando attenta a individuare ogni sua increspatura sul viso, ogni ruga d'espressione che gli calcava la fronte quando l'aggrottava nell'udire parole che gli marchiavano la pelle.
Perdonala, TimTim, gli diceva sempre, inginocchiandosi davanti a lui quando lo vedeva trattenere le lacrime di frustrazione, d'ira, che gli bruciavano gli occhi fino a renderlo cieco. Perdonala, ti prego, perdonala.
Lui aveva imparato a farlo, più per vedere il sorriso sgualcire le guance di sua nonna che per desiderio vero e proprio. Aveva imparato a lasciare andare quegli sguardi che lo inseguivano anche quando la loro proprietaria non gli era affianco, a far cadere per terra i sassi d'aria raccolti dai suoi pugni.
Aveva vissuto così per tutta la sua vita e solo in questo modo era sopravvissuto a sussurri più febbrili di una malattia, a schiocchi di lingua che battevano sul palato quando sbagliava qualcosa: un piatto da lavare, una stanza da risistemare o una semplice fotografia posizionata male.
C'erano, tuttavia, dei giorni in cui ogni sua convinzione crollava e si sfaldava miseramente, rompendosi in cielo e schiantandosi per terra senza esitazione.
Giorni in cui rimpiangeva i momenti passati a sottostare a quegli sguardi, a ricambiare gli sbuffi disgustati con sorrisi appena accennati, a resistere e sopportare il giudizio di quegli occhi che sapevano trovare l'errore anche quando non c'era.
Allora lui sentiva persino il frammento del ricordo di sua nonna rompersi e venir divorato dalla falsità di quell'insegnamento che gli aveva inculcato. L'ingiustizia del perdono lo aveva reso una fragile creatura di sorrisi, perché per perdonare aveva dovuto imparare ad amare e per amare aveva dimenticato persino come odiare.
E ora quell'amara lezione gli veniva sbattuta in faccia da un semplice, unico e atroce messaggio.
Ventotto marzo – 14:00.
Due parole e un orario. Solo quello. Due parole e un orario che erano bastati a farlo sentire più impotente di quanto già fosse.
Il telefono sigillato fra le sue mani iniziò a tremare e d'improvviso non riuscì più a vedere la schermata di quel messaggio.
STAI LEGGENDO
La pioggia prega in autunno
Chick-LitQuando piove il mondo si spegne, i colori si sfaldano, i contorni scompaiono. Quando piove c'è solo dolore, morte, rancore, ed Edith lo sa bene. Quel pianto del cielo le ha portato via tutto, ogni cosa: amori, amicizie, speranze e lui, colui che non...