La storia che gli raccontò avrebbe potuto sembrare una fiaba, all'inizio.
Una favola della buona notte, bisbigliata alle anime spezzate tra le trame di un cielo privo di stelle, per donar loro la speranza di ricucirsi con lo spago del sogno.
Ma fu quando giunse alla verità, al nucleo nascosto tra le pagine incantate, che Timmy scoprì che quella storia era tutto fuorché una fiaba.
E che non cuciva, né lasciava sperare nei miracoli, al contrario sfaldava ancor più i lembi già stracciati dell'anima, li strappava fino a far colare da essi sangue a lacrime.
La storia che gli raccontò quel giorno, sotto la luce soffusa di una lampadina, in una caffetteria qualsiasi di una qualsiasi città, s'imbrigliò sin dall'inizio nella vita di un uomo.
Un uomo che un tempo era stato un bambino, e prima ancora un neonato.
Una creatura di silenzi e di angosce, destinata sin dal suo primo respiro a non avere nessuno.
La storia dell'uomo più solo del mondo, così gli disse.
Gli disse, quel giorno, con occhi melanconici, che il protagonista di quella storia non aveva mai saputo chi fosse suo padre. Era nato da una donna che nessuno potrebbe mai definire madre, una donna che non aveva mai badato a suo figlio, troppo presa a vivere e divertirsi con gli altri per ricordarsi di crescerlo.
Non lo aveva mai amato, aggiunse, né lui aveva mai amato lei. Vivevano insieme solo per obbligo, ma era come se non fossero neanche parenti. La donna lo lasciava solo in casa per giorni, a volte persino settimane, non badava a lui, stentava a ricordare persino il suo nome. E il ragazzo, benché sulla carta risultasse suo figlio, si era sempre sentito un orfano, nel nucleo nell'anima.
Gli raccontò di come crebbe, e come assieme a lui crebbe anche la sua solitudine. Gigante sulle sue spalle, divoratrice di sogni, sempre lì, a nutrirsi della morte che gli gocciolava agli angoli di un finto sorriso, a leccare i tagli che la sua vita senza legami creava.
Ed era così che sarebbe andato avanti a lungo, talmente solo da non sapere nemmeno perché stesse lì. Il ragazzo, semplicemente, respirava per dovere, viveva per dovere, ma dentro di lui celava un cuore di tenebre, nugoli neri che pulsavano un sangue corrotto, sentimenti in brace all'odio di vivere in quel mondo.
In molte occasioni, gli spiegò, aveva creduto di avere ghiaccio al posto dei sentimenti. Non provava nulla, non sentiva nulla, pellegrino d'emozioni.
La febbre di un'agonia per cui non c'era fine; solo il ragazzo e il suo sguardo privo d'amore, il suo corpo un detrito abbandonato sulla spiaggia del mare, senza che mai qualcuno si preoccupasse di raccoglierlo per aiutarlo a splendere. Lasciato da solo, a marcire in un modo invisibile ad occhio umano, ma ben sentito dal suo cuore.
Così sentito da far credere al ragazzo che morire forse non era che un sogno raggiungibile in punta di dita, ad occhi chiusi, l'unico rimedio al supplizio di esistere per un mondo che non aveva mai avuto bisogno di lui.
E persino la notte pareva brillare, in confronto all'oscurità dentro cui il ragazzo viveva da tutta una vita. Il buio ce lo aveva dentro, talmente solido e concreto che aveva creduto scorresse nelle sue vene al posto del sangue, e persino respirare sapeva d'incubo.
Gli disse che quel ragazzo non aveva mai avuto nessuno, per quasi tutta la sua vita.
Cresciuto solo per dovere, senza un vero motivo, una muffa sulla parete che nessuno si era mai preoccupato di eliminare. Gli anni passavano nella tossicità di quell'esistenza, tra veleni e paure che si moltiplicavano assieme ai suoi giorni insensati e ai legami perduti, tra gli occhi di una madre che non sapevano scorgerlo e i sorrisi di chi si divertiva a umiliarlo per ciò che era e ciò che non era.
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La pioggia prega in autunno
ChickLitQuando piove il mondo si spegne, i colori si sfaldano, i contorni scompaiono. Quando piove c'è solo dolore, morte, rancore, ed Edith lo sa bene. Quel pianto del cielo le ha portato via tutto, ogni cosa: amori, amicizie, speranze e lui, colui che non...