Conoscere il tuo nome (parte uno)

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Capitolo sedici 

Conoscere il tuo nome (parte uno)

Conoscere il tuo nome (parte uno)

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A svegliarla fu l'urlo del cielo.

Le si incastrò nelle orecchie come un'ape, le ronzò nella testa, ridestandola dal sonno tormentato dentro cui aveva giaciuto da quando Amelia se n'era andata, dopo essersi rifugiata nel suo atelier per non dover più avere a che fare col bambinello introverso.

Bastò quel rumore, solo quel rumore, e Edith riuscì a sentire lo stesso fulmine che stava spaccando il cielo romperle il cuore, sgretolarglielo senza alcuna esitazione. Il suono di quell'esplosione riecheggiò fra le pareti del suo atelier insieme al respiro trattenuto con cui riempì i suoi polmoni, affogandoli.

Il pavimento sopra cui si era assopita era freddo e sporco, macchie di vernice e cenere spenta la salutarono non appena sollevò faticosamente le palpebre. Si rialzò da terra, nascosta dalle ombre del laboratorio, con l'oscurità che avvolgeva i profili celati dei quadri appesi ai muri e del legno rovinato del cavalletto, sotto cui si era appisolata.

Sollevarsi fu doloroso, i muscoli le dolevano ovunque, la pelle sembrava incollata al freddo accogliente del parquet. Quasi udì le sue lacerazioni, mentre si sollevava col busto per rimettersi in piedi.

Un altro tuono riecheggiò nella stanza, accompagnato, stavolta, dal sibilo della pioggia. Le gocce caddero, si schiantarono contro la finestra chiusa della camera, sulla parete sinistra, e Edith improvvisamente ebbe l'impulso di nascondersi, di rifugiarsi in uno di quei quadri e venire intrappolata nelle loro tele intricate.

L'incontro con Amelia non le aveva fatto bene.

Per lei era sempre un tormento, incontrare quella strega. Se Edith fosse stata una bambina assetata, allora Amelia sarebbe stata a sua volta la fonte d'acqua più pura. Fonte d'amore, ecco chi era quella megera. Fonte di carezze, di sospiri, di baci sulla fronte. E lei, stupida, stupida donna, non desiderava altro che averli di nuovo a sé, sentirli ancora una volta bagnarle la pelle tremante delle mani, calmare la carne vibrante delle labbra.

Si accese sbrigativamente una sigaretta, trovando il pacchetto dentro la tasca destra dei pantaloni. L'odore del tabacco bruciato le investì i polmoni, aiutandola a contenere i brividi che le tratteggiavano le spalle, rendendole fragili sotto il tormento della pioggia al di fuori della finestra.

Odiava davvero, quella pioggia.

Da che ne aveva memoria, ogni giorno che aveva reputato il peggiore della sua vita (per poi esser successivamente spodestato da un altro giorno e un altro ancora) era sempre stato caratterizzato da due elementi fondamentali: l'abbandono e la pioggia. Gocce che cadevano e saluti che non si sarebbero mai più potuti ripetere. Il pianto che lei non riusciva ad avere e i volti che non avrebbe mai più scorto davanti a sé.

La pioggia prega in autunnoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora