Fratelli

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Quando si risvegliò, di Edith non c'era più alcuna traccia.

Vide solo la sua stessa ombra aggrinzita tra le pieghe del letto, e il contorno netto della sveglia sul comodino, che ticchettava incessante lo scorrere sporco del tempo.

All'inizio neanche riuscì a capire cos'era successo.

Aveva i pensieri dispersi in coltre nebulose, e il respiro giaceva incastrato in gola, premendo nella carne pur di non uscire. Ebbro di una stanchezza che flaccidamente gli si incollava alle ossa, si ritrovò a credere di essere ancora disperso dentro la sua testa, aggrovigliato alla treccia dei sogni.

Ad accogliere il suo risveglio fu il silenzio della camera, i primi rossori del pomeriggio che giocavano a coltivare colori caldi sul legno stanco del suo armadio a parete; Timothy faticò persino a ritagliare le sagome di quel suo mondo tanto speciale, smarrito com'era nel ginepraio della sua stessa sonnolenza.

Quando si sollevò dal letto, le ossa della sua schiena scricchiolarono come ferite, e gli occhi si rifiutarono di permettergli di veder bene ciò che lo stava circondando. Si massaggiò la curva del collo, sentendo i muscoli sotto i polpastrelli cedere sollevati a quella carezza, e quando riposò la mano sul materasso, percepì qualcosa di ruvido incastrarsi tra le dita.

Ancora infettato da quello strano sogno, chinò il capo e scoprì sul palmo il foglio bianco che era stato abbandonato. Lo prese e lo avvicinò, sempre più confuso, e a stento riuscì a leggere la tremenda grafia che ne aveva rovinato il biancore:

Devo dare da mangiare a Michelangelo.

Dovette rileggere più volte perché le parole incise nella carta assumessero significato nella sua testa. Le lettere sfumavano come acquarelli nell'acqua, perdendo chiarore e nitidezza, e Timothy non riuscì a incastrarle in nessuna delle immagini che avevano tempestato il suo sogno.

Continuò a leggere, si sforzò di farlo. Tornò a inseguire con gli occhi quelle parole che si mescolavano senza senso dentro la sua testa, e lentamente si sollevò dal letto. Si sentiva... strano, in quel momento, le emozioni sembravano essersi appannate: le percepiva, ma non riusciva a individuarle. 

Quella sensazione di smarrimento, tuttavia, gli venne violentemente strappata, quando il suo piede inciampò su un asciugamano lasciato per terra. La caduta fu tremenda, scivolò per terra e fu solo per grazia divina se evitò di sbattere la faccia contro il parquet: le ginocchia attutirono la caduta, stramazzando per il colpo che le scosse e che mutò i pensieri in spilli.

Per un attimo, non poté far nulla.

Rimase immobile per terra, a fissare l'asciugamano colpevole.

Cosa ci faceva quell'asciugamano in camera sua?

Lo afferrò, sempre più perplesso, e constatò con costernazione che era ancora umido. Il tessuto soffice era pregno d'acqua, scivolava tra le sue dita, imporporandole del profumo del suo shampoo. Quando lo aveva usati? Non ricordava di essersi fatto la doccia da così poco-

La pioggia prega in autunnoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora