Capitolo 62

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Il rumore dannatamente fastidioso che emise il cellulare, quando erano solo le quattro e venti del mattino e noi eravamo riusciti ad addormentarci solo poco più di mezz'ora prima, mi fece grugnire come un maiale infastidito.
-Apagala, por favor- si lamentò coprendo la sua testa con il cuscino mentre io contivuavo a lasciare che questa suonasse senza avere la ben che minima forza fisica di afferrare il suo cellulare, dall'altro lato del letto.
Mi guardò scocciato e alla cieca prese il cellulare pigiando sullo schermo e la stanza ripiombò nel silenzio più totale.
Ero in uno stato di dormi veglia mentre Paulo sembrava aver ripreso il sonno alla stessa velocità della luce.
Mi girai su un fianco e portai la mia mano sotto il volto ,come ero solita fare prima di addormentarmi definitivamente ma, proprio quando il terpore del sonno si impossessava del mio corpo, un barlume di ricordo del volo per la Spagna e della nazionale Argentina,mi fece spalancare gli occhi.
Mi tirai su a sedere immediatamente e cercai di abituare la mia vista al buio della camera, mi voltai nella sua parte del letto e dormiva con la bocca semi aperta mentre le sue ciglia giacevano composte sul suo viso.
Dalla sua bocca fuoruscivano piccoli sbuffi sonori dovuti probabilmente alla posizione,non proprio comoda, che aveva assunto il suo corpo prima di crollare nel sonno.
Se lo avessi svegliato mi avrebbe preso a pugni ma, se non lo avessi fatto forse sarebbe stato anche peggio.
Mi chinai sul suo volto e provai una tattica meno pericolosa; gli baciai il viso e le labbra cercando di disturbare il suo sonno ma evidentemente era cosi stanco che non le percepi nemmeno. Decisi che forse altri dieci minuti potevo concederglieli, soprattutto perché lo attendevano due voli e lunghe ore su un aereo, nonostante fossi sicura che dovesse viaggiare con molti comfort e non stretto tra due seggiolini con l'aria condizionata sparata a palla come se fosse la pricipessa frozen in persona a regolarne le temperature.
Mi alzai dal letto e scesi in cucina per preparargli la sua tazza di mate; il borsone e la valigia erano ferme all'ingresso e non dovevo dimenticare di ricordargli quella specie di borsettina nera che si portava ovunque.
Salii le scale evitando di gettarmi addosso l'acqua bollente del suo "infuso" e quando arrivai in camera poggiandolo sul marmo del comodino, tirai un sospiro di sollievo.
Era bello e tenero e mi sarei odiata per averlo svegliato ma, dovevo proprio farlo.
-pau- scossi il braccio un paio di volte e si lamentò
-è suonata la sveglia- gli accarezzai il volto e tirai via le coperte dal suo corpo.
Mi sentivo come mia mamma quando mi svegliava la mattina per andare a scuola ed io provavo un odio profondo nei suoi confronti.
Sembrava una mangiatrice di cuccioli, ai miei occhi.
-solo un otro pochito- sussurrò e lo trovai estremamente adorabile.
-non puoi- gli baciai le labbra e apri gli occhi.
-rapiscimi e chiedi il riscatto, non voglio andare- risi delle assurdità che disse ma alla fine sbadigliando si alzò .
-qui ce la tua tazza di mate, vado a stemperarti l'acqua della doccia- mi alzai dal letto osservandolo mentre ancora addormentato portava la sua bocca sulla cannuccia della sua tazza.
Lo amo cosi tanto che persino voldermot, in questo momento,mi sarebbe sembrato adorabile.
Il rumore dell'acqua che si abbatteva sulla porcellana del piano doccia mi aveva cullata a tal punto che ero finita con l'addormentarmi seduta sulla tavolozza chiusa del water.
-hei- mi svegliò dolcemente.
-va a letto- mi disse ma scossi negativamente la testa.
Volevo potergli dare un bacio prima che partisse per una settimana e non lo vedessi per tutti quei giorni.
Entrò nella doccia e osservai la sua immagine sfocata dal vetro annebbiato dal vapore.
Ebbi le giuste forze per mettermi in piedi a spazzolarmi i denti, impiegandoci qualche minuto in più del solito.
Gonzalo sarebbe passato a prenderlo da casa mia e  forse sarebbe stato carino fargli trovare la colazione pronta ma, alle sei quale essere umano aveva le energie per poter aprire la bocca e masticare qualcosa?
Scesi le scale per il piano di sotto e quando rividi quella valigia, quasi mi venne il magone...nemmeno stesse per partire in guerra.
Con un cucchiaino mescolavo il tea che mi ero preparata ma senza avere la vera intenzione di berlo, quasi sicuramente lo avevo fatto solo per impiegare i minuti,nell'attesa che Paulo scendesse.
-eccomi- lo guardai sorridendo, aveva due occhiaie terribili e mi sentii in colpa per averlo trattenuto sveglio ma, una settimana in questo preciso istante mi sembrava un anno intero.
-hai preso il beauty dal bagno?- annui e si sedette sulla sedia accanto alla mia, allacciandosi al polso il suo adoratissimo orologio.
Era un orogolio elegante e sapeva bene che non si abbinava decisamente con il suo abbigliamento sportivo ma, probabilmente doveva essere un regalo a cui si era particolarmente affezionato.
Apri un'applicazione sul suo cellulare e controllò che suo fratello avesse fatto il ceck-in per entrambi i voli.
-quante ore di scalo farete?- guardò nello schermo alla ricerca dell'informazione e quando la trovò non fu esattamente contento.
-tre ore- annunciò scocciato.
Effettivamente stare chiusi tre ore dentro un aeroporto non pensavo dovesse essere la migliore delle esperienze nella vita.
-menomale che sarete in due- almeno si sarebbero fatti compagnia a vicenda.
Non capivo perché la nazionale avesse deciso di acquistare un biglietto aereo con scalo quando ci sarebbero stato i voli diretti da Milano.
-due? Saremo in undici- aggrottai le sopracciglia confusa.
- io, il pipa, Cristian,Lucas e Federico arriviamo con lo stesso aereo, poi aspettiamo Ángel che arriva da Parigi e Nicolas con Sergio che vengono da Londra; Leo e Gabi ci aspettano già lì- ora capivo il perché della sosta a Madrid, in questo modo sarebbero arrivati tutti insieme a Buenos Aires e avrebbero ottimizzato i tempi.
-tanto meglio, sicuro che qualcosa ve la inventerete- probabilmente sarebbero crollati sui sedili della sala d'attesa.
Il rumore del citofono ci fece sobbalzare, il volto di Gonzalo venne illuminato dalla lampadina del videocitofono e fece un bel dito medio in direzione della camera, forse infastidito dalla luce accecante.
Gli apri il portone e Paulo si alzò dalla sedia sgranchendosi le gambe ancora intorpidite.
-ti mando un messaggio quando arrivo a Madrid?- annui e mi avvicinai per baciarlo come si deve, prima che avrei dovuto aprire la porta a Gonzalo.
-fa buon viaggio e riposati, ti amo- glielo dissi sulle labbra sorridendogli.
-ti amo anche io- tiro su la levetta di ferro della sua valigia, l'etichetta di pelle nera era orditamente sistemata sulla valigia e su di essa spiccavano le sue iniziali in stampatello, incise con un bel color bianco.
-buenos dias- ci salutò Gonzalo mettendo piede dentro il salotto mentre Paulo lo salutava con accenno del capo e si portava un paio di occhiali da sole ,dalle lenti scure, sul volto.
-fatto le ore piccole?- di mattina Paulo non era di molte parole, andava più a versi e sperava che il mondo riuscisse a capire cosa intendeva dire.
-non riuscivamo a prendere sonno e ci siamo messi a parlare- spiegai velocemente ma Gonzalo mi sorrise furbo anche se non commentò nulla.
-fallo dormire sull'aereo altrimenti gli spuntano le rughe- Paulo si voltò nella mia direzione mentre pigiava sul tasto per l'ascensore e con il dito medio della stessa mano mi fece il gestaccio.
-a tua sorella- mi disse e sia io che Gonzalo sorridemmo.
-andiamo princesa, che appena torni dovrai essere bello fresco per la tua super sfilata milanese- li lasciai alle loro chiacchiere mentre entrambi entravano dentro l'ascensore e le porte si chiudevano.
Era ancora troppo presto per decretare l'inizio della mia giornata e oltretutto non avevo dormito quasi per niente e per quello che mi aspettava in ufficio necessitavo di qualche ora si sonno.
Non mi sprecai nemmeno a raggiungere il piano di sopra ma, semplicemente, mi raggomitolai sul divano e mi coprii con la coperta che vi giaceva sopra.
Prima che mi addormentassi puntai la sveglia sul televisore e la misi per le sette in punto; a mente mi feci un rapido calcolo delle ore che mi rimanevano ed erano due ore e dieci.
Sempre meglio che niente.

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