Capitolo 96

6.6K 207 48
                                    

Lo guardai, come se potesse spezzarsi tra le mie mani e mi chiesi se ,nell'eventuale ipotesi, io fossi stata capace a raccogliere i suoi pezzi sparsi in questa stanza, che se prima mi era vagamente apparsa spaziosa adesso invece sembrava contenere a malapena noi due e tutte quelle enormi paure che non avevamo mai auto il coraggio di ammettere ad alta voce.
C'era stato del silenzio, quasi obbligatorio, dopo che ebbi finito di confessare come mi ero sentita per tutto il tempo della mia malattia e lui era stato li a guardarmi in silenzio ma con gli occhi che parlavno al suo posto mentre finalmente sembrava che mi fossi allontanata via da una stanza, quella stanza, definitivamente.
Era stato per me impossibile non ricordarne il colore delle pareti, la vista fuori da quella finestra in acciaio alla destra di quel letto apparentemente enorme per il mio corpo accucciato in posizione fatale nel vago ricordo di quella parte della mia vita dove ero al sicuro dal mondo, ricordavo quelle sedie di plastica blue e quel tavolinetto da colazione sempre pieno di girasoli.
Mi ero circondata di girasoli perche guardarli mi faceva sentire bene e felice, perche averli li accanto a me, faceva apparire tutto molto meno triste e poi, mi piaceva che metaforicamente rappresentassero ciò che più amavo al mondo: il sole, ed Oscar Wilde.
-non devi per forza- provai a convincerlo che non doveva essere un obbligo quello di doversi liberare anche lui da ciò che lo faceva stare cosi male.
Ho sempre creduto che nella vita ci fosse un perché a tutto, magari anche difficile da capire e da farselo piacere ma, c'era sempre un perché.
No, io quella equazione matematica non l'avevo mica trovata però:avevo trovato Mat prima e allora forse era giusto così.
Perché io avrei saputo tener duro davanti a questa enorme difficoltà, perché avevo accanto i miei genitori che non si sarebbero lasciati prendere totalmente dallo sconforto.
Perché avevo nonno Mario che veniva ogni giorno a leggermi la gazzetta dello sport e nonna Greta mi aveva fatto le calze di lana per quando sentivo troppo freddo.
Era stata questa la spiegazione che mi ero data, credendo che magari se fosse capitato ad un'altra qualsiasi ragazza della mia stessa età, in un altro piccolo posto della terra, magari lei non sarebbe stata qui a raccontarlo.
E cosi, così ho creduto che anche il destino a volte fosse obbligato a fare una scelta e forse io, ero stata la scelta con il male minore.
Annui, mi baciò le dita e poi si mise di spalle, forse perché nemmeno con se stesso era stato sincero come invece mi sembrava che stesse per diventare.
Rispettai i suoi spazi ed i suoi silenzi, appoggiai la mia schiena alla sua e poi allungai la mano cercando la sua che trovai e strinsi, lasciandola ferma tra i nostri fianchi.
Chiusi gli occhi, immaginando che anche lui dall'altro lato lo stesse facendo e mi dissi: "sei così forte Gwen?"
Forse per me non lo sarei stata cosi tanto ma per Paulo, sarei scesa all'inferno.
Me contro tutti quei demoni.
-quella mattina ho chimato mia mamma, dovevo prendere l'autobus delle dieci per Laguna ma, avevamo fatto tardi agli allenamenti la sera prima  e cosi non ero riuscito a tirarmi giù da letto in tempo per essere puntuale- mi immaginai Paulo molto più giovane, con i capelli lunghi che gli ricadevano sul viso giovane.
Lo immaginavo, con il volto ancora impiastricciato dal sonno, il forte accento argentino che purtroppo parlando la lingua italiana ormai da anni ed anni, un po' si era perso, non sparendo fortunatamente mai del tutto.
-mi ha risposto al secondo squillo ed era contenta la sua voce. Pensavo che fosse successo qualcosa di buono a casa e adesso però...anche questo è tornato al suo posto. L'hai detto anche tu che prima di morire ci si sente dannatamente bene Gwen, e nessuno di noi lo sapeva, io non lo sapevo...ma- un singhiozzo lo colse all'improvviso e mi tremò il cuore.
Forse, non era difficile raccogliere i cocci, quanto vederli sgretolare per terra.
Vederli rompersi piano piano e cadere in picchiata, lasciandolo con solo quello che ancora gli era rimasto e che lo rendeva la persona di cui mi ero follemente ed irrimediabilmente innamorata.
Quel bambino che stringeva i sogni, che andava a caccia delle stelle e che aveva quel verde negli occhi capace di ispirare i migliori poeti, scrittori e pittori.
-l'avrei voluto sapere, perché cosi almeno non avrei perso pure la corriera di mezzogiorno, ma, il pallone è sempre stato una tentazione ed io sono tornato a giocare su quel dannato campetto, ancora senza pensare a nient'altro- c'era rabbia e rancore verso se stesso e purtroppo questo sapevo che non sarebbe mai potuto cambiare.
Non potevo portarlo indietro nel tempo per cambiare almeno questo aspetto di quella giornata, non potevo affatto e sapevo quanto difficile potesse essere stato per lui convivere con questo senso di colpa.
Un senso di colpa, che potrebbe apparire vano ed irrisorio se ignari non vedeste quanto dolore misto a rabbia potesse scatenare, questo dettaglio.
Una corsa di un autobus.
-com'è che dite voi? Mettere tempo al tempo, no?! e cosi ho fatto- strinsi la presa sulle sue dita e guardai quell'anello.
Era lui che doveva darmi la forza e la capacità di poter rimettere tutto al proprio posto.
Più lo immaginavo e più mi chiedevo quanto anche lui, da qualsiasi altra parte dell'universo si trovasse,  stesse soffrendo.
Un genitore non vorrebbe mai vedere i propri figli soffrire e Paulo stava soffrendo, chissà da quando, o chissà se questo dolore si fosse solo nascosto come polvere sotto i tappeti e mai realmente si era acquietato .
-sono arrivato a casa, avevo ancora la tuta addosso perché ero riuscito a prendere la corrispondenza al volo, bussando con i pugni sulla bussola del autobus. Il borsone pesava dannatamente tanto sulla mia spalla. C'avevo dentro tutti i vestiti di quindici giorni e il libro di matematica di cui mi ero ripromesso che avrei fatto qualche esercizio ma...no, non ne avevo aperto neppure una pagina- sorrisi tra quelle silenziose lacrime che mi scorrevano sul volto.
-pesava cosi tanto e mi era sbattuto sulla schiena per la forte pesantezza durante la corsa che mi ero fatto dallo stadio alla fermata dell'autobus.  Avevo troppa adrenalina nel corpo e per questo non riuscivo a dormire su quel sedile e in più faceva terribilmente freddo e la stufa del bus non funzionava- come faceva a ricordarsi tutti questi dettagli?
Immaginavo avesse rivissuto quella giornata cosi tante volte nella sua vita da esserne praticamente ossessionato al punto da potersi considerare il regista di un film.
-c'era un camion che trasportava qualcosa, ricordo solo che la sua targa era PED O21 ed era rosso con il telo verde a farne da tetto- lo immaginai immediatamente.
-pioveva tanto e la corriera ci mise dodici minuti in più ad arrivare a Laguna Larga. Quando scesi quegli scalini, praticamente corsi sul marciapiedi fino a casa.
Ero bagnato dalla testa ai piedi e la tuta nera ce l'avevo appiccicata addosso come se fosse incollata al mio corpo- correre sotto la pioggia non doveva proprio essere il massimo ma, ce lo vedevo a fare una cosa simile.
Con quel grosso borsone ad appesantirgli la corsa ma non riuscendo in nessun modo a ritardarla.
-mi è sempre piaciuto ritornare a casa. Mio padre mi aspettava sempre sulla sedia di legno in salotto. La spostava dal tavolo della cucina e si sedeva con la pancia rivolta verso la spalliera e mi aspettava lì. Aprivo la porta e lui mi guardava sorridendo aspettando che lo andassi a salutare e poi mi domandava del calcio- immaginai che questo fosse un bel ricordo.
-teneva la televisione sempre su un Telegiornale, ne vedeva tantissimi durante l'arco di una giornata, anche se avessero le stesse notizie da dire ma mi diceva sempre che bisognava sempre ascoltare diverse campane per ritenersi informato- accarezzai il dorso della sua mano e mi voltai verso di lui.
Non potevo vederne il volto ma vedevo il suo irregolare modo di respirare.
Prendeva grandi boccate di ossigeno, manifestando perfettamente quanto difficile fosse per lui parlare di suo padre.
Un ricordo che non avrebbe mai voluto dimenticare e forse, condividerlo doveva sembrargli come se stesse in parte lasciando che si creasse una distanza tra se e quella che sarebbe per sempre stata la persona più importante della sua vita.
-ho tirato fuori le chiavi dalla tasca del borsone e mi sono cadute per terra e cosi, Mariano mi è venuto ad aprire. Lui non era felice come me e mi guardò come se fosse sbagliato. Non lo sapevo Gwen.- lo strinsi al mio corpo.
Volevo potergli dire che non doveva farsene una colpa e che era normale che non lo sapesse.
A quindici anni la morte non la capisci.
-ho pensato che fosse arrabbiato con me perche ero tornato a casa tardi e non gli ho detto niente. Sono entrato dentro e mia mamma mi ha visto grondante di acqua e mi ha indicato le scale di sopra con il dito- anche mia mamma lo faceva quando combinavo una delle mie.
-stavo salendo ma mio padre era seduto sul letto in cucina e mi ha sorriso facendomi chiamare da mia madre ed io sono andato verso di lui.Ho posato il borsone vicino al tavolo e mi ha guardato storto rimproverandomi silenziosamente perché non voleva mai che le cose si trovassero tra i piedi, le vedeva come trappole- aspettai in silenzio lungo tutta la pausa che fece per riprendersi, consapevole che da li in poi sarebbe venuta la parte più dura.
-mi ha voluto accanto a lui, cosi mi sono seduto sulla sedia spostando quel piccolo cuscino che mia nonna ci aveva cucito sopra per stare più comodi e mi ero chinato verso di lui. Mi ha stretto la spalla e mi ha guardato contento e mi sono sentito fortunato.
Papà mi ha sempre voluto bene, Gustavo e Mariano dicevano sempre che ero il più viziato ma non ho mai creduto che fosse cosi. Solo, ero il più piccolo e loro sapevano badarsi da soli- effettivamente Gustavo e Paulo si toglievano parecchi anni di differenza.
-Mi ha detto: "Paulo, ricordati dell'Argentina e non cambiarla con nessun altro posto, è qui casa tua e l'hai promesso, devi prenderti cura della mamma". Aveva la voce energica e pensai che finalmente mi stesse vedendo per il ragazzo che stavo diventando. Adesso me lo chiedo perché quelle parole quel giorno non mi avevano suggerito niente, perché mi erano sembrate cosi giuste- perché eri solo un giovane ragazzo e perché tuo padre ti stava preparando alla realtà che saresti dovuto crescere uomo da solo.
Non riuscii a non piangere difronte a questa consapevolezza e così mi unii al suo dolore, caricandomelo sulle spalle perché sapevo che fosse appena e definitivamente diventato anche il mio.
-non gli ho mai guardato gli occhi, e se l'ho fatto quando ero piccolo, beh... non me lo ricordo.
Non glieli ho mai guardati e vorrei invece tornare indietro anche solo per guardarglieli di sfuggita una mezza volta. Avevo sentito mamma parlare con Romina e aveva detto che mio padre iniziava ad avere gli occhi gialli e mi faceva paura perché credevo che se li avessi visti poi avrei provato qualcosa di strano nei confronti di mio padre. L'avrei visto diverso da me e non mi sarebbe più piaciuto- io credevo addirittura che a quel punto neppure Adolfo gli avrebbe permesso di guardarli.
-l'unica cosa che sono riuscito a dirgli è stato: "Papà, la prossima partita la gioco dal primo minuto", ricordo che ha riso brevemente come faceva lui e poi mi ha dato il suo orologio- lo guardai immediatamente.
Ecco perché non se ne separava mai.
-mi sembrò che mi stesse facendo un regalo perché gli avevo detto che avrei giocato da titolare- si girò permettendomi di guardargli il volto.
Le mie mani ne accarezzarono i contorni e si soffermarono su quegli occhi che mi sembrarono nuovamente quelli di un bambino.
Rimasi colpita nel vedere per la prima volta Paulo in questo modo, come se si fosse spogliato si un'armatura d'acciaio che lucidava sempre da  quando l'aveva indossata per poter andare avanti.
-l'ho indossato e sono andato in salotto a farlo vedere a Mariano. Mi ha detto che me l'avrebbe preso di nascosto e stavamo litigando per questo ma poi mi mamma mi ha chiamato per andare a lavarmi e quando sono uscito dalla doccia mi sono addormentato sul letto dopo che mi ero asciugato i capelli- allora era per questo che non se li asciugava più?
Perche aveva paura di addormentarsi?
Fu una domanda che mi colpi particolarmente.
Sembrava che nulla di quello che per me era stato un'abitudine casuale alla fine invece avesse un motivo.
-mi ha svegliato Gustavo scuotendomi sul letto e mi ha detto: "papà è morto"- scoppiò a piangere al punto che credetti che se non avesse trovato la forza di smettere di farlo, avrei dovuto chiamare un dottore perche non sembrava un pianto naturale ma sembrava l'inizio della fine.
-sono scappato da quel letto e sono arrivato in cucina correndo. Non ci credevo...stava bene e ho guardato quell'orologio. Erano le sette della sera ed io mi ero addormentato Gwen.
Ero a casa a dormire mentre mio padre mi stava lasciando- fece terribilmente male ascoltare quelle parole.
-avevo dormito mentre mio padre avrebbe parlato per l'ultima volta e mi sono chiesto cosa avrei voluto dirgli che non ero stato in grado di dire per tempo. Gli avrei detto che mi sarebbero mancate le sue ginocchia su cui mi sedevo da bambino, mi sarebbe mancata la sedia di legno in mezzo al salotto, il telecomando sul divano e la tv accessa sul telegiornale. Che ero ancora piccolo per abituarmi all'idea che non avrei avuto più un papà- feci ciò che più naturale mi sembrò.
Poggiargli la mano sul cuore e baciargli la fronte, come se avessi tra le mani quel bambino indifeso e timido, pronto a nascondersi dietro le gambe di suo padre.
-sarei cresciuto come se niente di buono nella mia vita sarebbe potuto accadere.
Come cresci bene se non hai più un padre?
Cosi pensai che non era vero che ero io il preferito di mio padre perche altrimenti sarebbe rimasto e mi avrebbe cresciuto come aveva fatto con i miei fratelli- sembrava come se stessi ingoiando acido, per il forte male che faceva.
-ho pensato che non aveva più senso giocare a calcio, che sarei stato quello che mi toccava essere. Un ragazzo senza padre.
Come se mio padre avesse scelto il mio destino e cosi ho smesso di fare tutte le cose. Non andavo a scuola ne a calcio, non ho parlato per settimane intere perché non avevo nulla di buono da dire- come poteva mai succedere una cosa cosi?
Mi sembrò come se qualcuno avesse appena strappato un pezzo di un disegno con una bella casa sopra.
Una di quelle con l'albero e l'altalena, con la canna fumaria per il camino e le finestre con i davanzali pieni di fiori.
-è stato Mariano a portarmi nuovamente a Cordoba e mi ci ha lasciato dicendomi che lo dovevo a mio padre perche aveva fatto enormi sacrifici per mandarmi in quella scuola calcio, cosi mi sono detto che sarei dovuto diventare qualcuno a qualunque costo- prese un lungo sospiro
-sei diventato più di qualcuno. Sei diventato meglio di chiunque altro e nessuna rete, coppa o mondiale varrà mai tutti i sacrifici che hai dovuto fare per rimanere in piedi- parlai spezzando il suo discorso e gli baciai le labbra come a suggellare quello che ci eravamo detti.
-sono rimasto li su quel campo fino a sentire dolore alle gambe per la troppa fatica. Volevo che fossi il migliore e seppure mio padre mi avesse detto di rimanere in Argentina, sapevo che dovevo allontanarmi da lì per diventare un ottimo giocatore- fu il verbo allontanarmi che mi fece riflettere.
Chiunque altro avrebbe potuto dire che gli serviva andare via da li, ma andare via ed allontanarsi erano due concetti completamente diversi.
Lui non era andato via, si era solo allontanato per raggiungere il suo sogno e riportarlo indietro.
Paulo sapeva che doveva tornare lì, dove tutto era iniziato e cosi, me ne resi conto anche io.
-mio padre giocava a calcio quando era ragazzo, però credo che non avesse capito che i tempo erano cambiati.
A Cordoba non ho mai creduto di essermi fatto degli amici, perche nessuno di noi voleva rimanere lì; sono stato il pibe della pencion per due anni e non era un nomignolo cosi a caso, volevano farmi sentire diverso solo che, avevo un sogno da realizzare e non mi è mai importato veramente- gli sorrisi intenerita dal fatto che tutte le versioni di Paulo mi lasciavano sempre come se fossi un palloncino che stesse spiccando il volo.
Felice.
-tuo padre non ti ha mai lasciato veramente e sono convinta che quell'orologio te lo abbia dato per diversi motivi.
Perché per due persone che sono legate per davvero, non sarà capace nemmeno il tempo a dividerle; te lo ha dato perché tu possa sempre portarlo con te e perché ti accorgessi che oltre quei novanta minuti, il mondo continua comunque ad andare avanti e che bisogna saper trovare un equilibrio tra il calcio e la tua vita- sembrò come se qualcuno mi avesse suggerito quelle parole.
-non lo puoi controllare il tempo ne gli eventi della vita però puoi rimediare agli errori perché non hai solo i novanta minuti a disposizione Paulo, hai tutta una vita- gli asciugai le ultime lacrime e mi tirai su a sedere, afferrandogli la mano e facendolo alzare.
Dovevamo ripartire da li, più forti di prima.
Sciacquai il mio viso e con cura anche il suo, dopo gli baciai le labbra non una ne due ne tre ma ben quattro volte.
Leggeri tocchi che gli fecero ritornare un sorriso, seppure lieve.
-andiamo- aprii la porta di quella stanza.
Ero certa che si fossero chiesti che cosa diamine fosse capitato e magari non li avremmo neppure più trovati giù ma mi importò poco.
-qual è il posto in cui ti sei sentito più solo?- gli chiesi di punto in bianco, mentre eravamo chiusi in quell'ascensore.
-se ci penso, è insieme a tutti gli altri...lontano da te- mi sembrò meglio di una eclatante dichiarazione d'amore.
Allacciai le mie bracciai al suo collo lasciando che mi baciasse mentre il mio cuore esplodeva di gioia.
-il tuo?- mi chiese sussurrandolo ad un centimetro delle mie labbra.
-quando ti allontani da me e non ti sento attorno, vicino, accanto...dentro di me. Mi sento sempre come se mi mancasse qualcosa e poi scopro sempre che mi manchi tu, anche quando sto facendo qualcosa che mi renderà felice- poggiai la mia fronte sul suo petto nascondendo l'imbarazzo che stavo provando.
Mai ero stata cosi sincera nel dirgli una cosa simile.
-sei quei grammi di Felicità che cercavo da sempre- rise, cosi meravigliosamente che sembrò una melodia.
Gli guardai nuovamente quegli occhi verdi e pensai che si, la vita mi stava restituendo forse più di quello che mi aveva tolto.

Fino Alla FineDove le storie prendono vita. Scoprilo ora