Capitolo 75

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-Bernardeschi?- urlò il mister chiamando quello che sembrava a tutti gli effetti un appello.
In tutto ciò io mi defilavo piano piano nell'impresa di poter raggiungere il solito piccolo spazio che occupavo da tre giorni; in quel tavolo che nonostante fosse al centro di quella che era chiaramente la zona relax dei calciatori, mi ispirava accoglienza e non mi faceva sentire per niente fuori posto anzi, era ampio al punto da consentirmi la possibilità di appoggiare ogni singola carta come se stessi giocando al mercante in fiera.
-sta male mister- gli rispose Paulo mentre si allacciava gli scarpini, seduto su una sedia di plastica, chino su se stesso.
-mal d'amore- commentò Douglas e risero tutti poi, come anatroccoli dietro a mamma anatroccolo seguirono Max in campo.
-mi vieni a vedere mentre mi alleno?- si piegò al mio fianco avvicinando il suo volto al mio
-mentre sudi e odori di scarpe vecchie? No, grazie. Tengo ancora alle vibrisse del mio naso- risi della sua faccia fintamente shoccata
-vibrisse? Cos'è- gli baciai la punta del naso e gli sorrisi perché mi piaceva il fatto che fosse curioso.
Un bambino sarebbe stato annoiato se messo a confronto con lui; ogni singola cosa che avevo da dirgli lui stava in silenzio, strano per uno come lui, e mi ascoltava apprendendo quante più cose possibili e sforzandosi per riuscirci al meglio.
-certo che si Dybala. Tutto sudato con le goccioline che ti percorrono il corpo tonico- mi leccai le labbra fingendo di immaginare un film erotico
-sei proprio una peste- mi baciò la fronte e poi le labbra rimettendosi in piedi
-va ad allenarti scemo, farò un giro ma solo per vedere quel gran figo di Marione- mi fece un dito medio e io lo afferrai come se fosse un bacio volante.
Sorrisi silenziosamente pensando a quanto cavolo mi piacesse la piega che stava prendendo la mia vita; piena e ricca di tanta felicità come se stessi indossando un pantaloncino di jeans, un paio di stivali texani e un top a coprire lembi della mia pelle abbronzata dal sole californiano.
Su una macchina decappottabile di quelle dei primi anni sessanta, la radio accesa con una bella canzone estiva cubana a perforare le barriere dell'aria mentre il piede premuto sull'acceleratore mi portava sulla US Route 66, costeggiata da terra rossa e cactus , quelli che ultimamente sembravano andare di moda.
Proprio tutto tipico del mio stile selvaggiamente vintage, una chitarra tra le mani e le corde del mio cuore a vibrare di gioventù, spensieratezza e girasoli.
Perché i girasoli, nella mia vita,non potranno mai mancare.
-sogni ad occhi aperti?- mi chiese Dario mentre fece il suo ingresso nel nostro accampamento ed io annui sorridendogli.
Andrea non sapeva ancora della nostra situazione precaria ma fintanto che il lavoro era svolto egregiamente,importava davvero poco dove decidessimo di lavorare.
-estate duemiladiciotto saltami addosso- risi schiacciandogli un occhiolino
L'immagine di Baby k nella testa, mentre i suoi tormentoni estivi sapevo già ci avrebbero rotto come al solito ma alla fine, sapete cosa?
Erano talmente sparati a palla in ogni dove che a settembre finivi sempre per essere nostalgica e ti ripetevi quelle quattro frasi in testa in continuazione nella speranza che materassini, anguria e gelato continuassero a vivere perpetuamente per tutto l'anno.
-lavoriamo va- si sedette di fronte a me e accettò i fogli che gli porsi
-mondiali?- disse emozionato
-fammi vedere cosa sai fare- si arrotolò la camicia fin sopra i gomiti e immediatamente si mise al lavoro.
I mondiali erano un argomento che a quanto pare piacevano a tutti, proprio come me che stavo progettando i prossimi mesi della mia vota in prospettiva alla Russia che mi avrebbe ospitato per un mese intero.
Era un incarico a cui piano piano, giorno dopo giorno mi affezzionavo di più capendo che regalo Andrea Agnelli mi stesse facendo.
Seguire il mondiale come se fossi una di loro,non era per niente simile a quello che mi sarei potuta immaginare e la sola idea di incontrare grandi giocatori e di poter parlare con loro,mi provocava la pelle d'oca.
Molte persone nella vita hanno molti obiettivi, c'è chi sogna di costruire un ospedale in mezzo alle terre africane, chi di andare sulla luna e chi di costruire la macchina per il futuro, chi sogna di diventare principessa o chi sogna di governare l'America; i miei sogni erano sempre stati più modesti, forse per il fatto che il futuro mi ha sempre messo un po di paura.
Volevo un buon posto di lavoro, ai tempi di quando avevo dieci anni diventare maestra alle scuole elementari era il mio più grande obiettivo, e allora mi chiudevo nella mia cameretta di sempre e disegnavo su fogli bianchi e parlavo ai miei alunni fatti di teneri peluche; poi a quindici anni fare la maestra passó in secondo luogo e nel mio caso mi sentivo la figlia illegittima di cannaioli usciti fuori dall'ultimo rave a cui aveva preso parte John Lennon e allora via di maglie con le frange, jeans strappati e frasi fatte cercate di sera su Google,
"Gwen asciuga i piatti e aiuta tua madre" e con questo partivano le solite discussioni da scansafatiche e ti appellavi persino alla tipica scusa dello sfruttamento minorile e dentro di te sai che alla prossima chiamerai al telefono azzurro.
La prossima volta che ovviamente non arriverà mai.
A diciassette anni ti prende la frenesia dei concerti agli stadi, le file lunghissime indossando giubbotti di pelle e parlando di tatuaggi da veri duri, sogni piercing in tutte le parti del corpo e la parola sesso è quasi un predicato verbale.
A diciotto anni arriva la maturità con tanto di Antonello Venditti al seguito e quelle famose bombe delle sei che non hai mai fatto male; arriva la patente e la stupida frase: "ormai sono maggiorenne e faccio quello che cazzo voglio".
Si, a casa tua.
Ormai tutti lo sapevamo ma fingevamo di non ricordarlo, poi inizi a crescere e la maturità quella vera si impossessa di te senza che realmente te ne accorgi e ad un certo punto devi scegliere cosa fare nel futuro perchè adesso non si scherza più.
Arriva l'università con i suoi esami a volte insostenibili, arrivano gli zii con la storia del fidanzatino e alla fine cresci e ti trovi ad avere un futuro davanti da costruire, un futuro che solo ieri quando avevi appena cinque anni ti sembrava così lontano, cosi distante che c'era sempre tempo ma poi di tempo in realtà non ce n'era mai a sufficienza.
"Presidente" apparve sul display del mio cellulare e risposi immediatamente lasciando perdere i miei lunghi monologhi interiori.
Ultimamente sembrava che stessi sempre per prendere la decisione più importante della mia vita o che, tutte le decisioni che stavo prendendo pesavano gravemente su quello che sarebbe stato il mio domani.
-buongiorno- lo salutai cordialmente rispondendogli al telefono
-in che buco ti sei infilata?- mi chiese ridendo
-sto occupando il tavolo della sala relax- lo vidi sbucare dieci secondi dopo e Dario scattò in piedi come una molla.
Sia io e che Agnelli lo guardammo sorridendo ma evitando di commentare, alla fine era giovanissimo e le cose le avrebbe imparate con il tempo.
-con settemila stanze che ci sono, vi piace stare in mezzo a quel branco di scimmioni?- annui sorridendo.
Alla fine stare insieme a loro era piacevole e mi divertivo un casino per la valanga infinita di stupidate che dicevano.
-allora, Dario ti tratta bene questa soldatessa?- lui arrossi
-si, anzi mi trovo benissimo- gli sorrisi più contenta.
Sapevo che talvolta ero proprio un mastino ma, alla fine se le cose andavano quasi sempre bene era proprio perché non lasciavo mai nulla al caso.
-mi raccomando eh, conto sempre su ognuno di voi- lo responsabilizzò facendogli capire che non si scherzava su cose serie come le pratiche su cui mettevamo mano sempre.
-Vieni Gwen, facciamoci un giro- lo segui, piano anche se ormai iniziavo ad avere una certa praticità con le stampelle,mentre mi indicava la strada per uscire da li
-come va con la questione dei bilanci?- continuavo a pensarci perché in parte mi sentivo responsabile
-stiamo controllando i bilanci delle altre aziende dal duemiladieci a due anni fa e tua madre è proprio una donna che non la perdona- risi perché mio padre avrebbe detto la stessa cosa.
Non perdonava niente a nessuno, forse a me perche ero la sua bambina e mi aveva lasciato passare un sacco di cazzate.
- e quel ragazzo? Ma che genio è!- lo guardai confusa
-quel ragazzo che è venuto con te quando hai firmato il contratto- Mat?
-Mattia?- annui immediatamente accendendosi una sigaretta
-proprio lui, è il braccio destro di tua madre e insieme fanno un po paura- certo, quei due erano pericolosi da soli, insieme erano letali.
-Mattia sta lavorando alla causa?- Agnelli annui e svoltò a destra raggiungendo i numerosi campetti dove si stavano allenando gli altri
-si, appena tua madre gli ha detto che era per noi è immediatamente venuto-ridacchiai
-la Juventus a casa nostra è un po un ossessione- in realtà anche di più .
-con Marotta tutto bene?- mi chiese abbassando leggermente la voce per non farsi sentire.
-si, stiamo guardando un po le offerte di mercato delle altre squadre, so che bisognerà fare uno sforzo maggiore ma tutto dipende dal mondiale. L'ho sentito telefonicamente due mattine fa e ci ha dato appuntamento a Madrid per la settimana dopo la fine del campionato italiano- annui soddisfatto mentre io stavo tenendo un segreto abbastanza grande.
-Dybala non guardare la tua fidanzata- lo rimproverò il mister mentre Paulo lo guardava come a dire "ma io non ho fatto nulla".
Sia io che Agnelli ci avvicinammo a bordo campo e Massimiliano fece dietrofront verso di noi, salutandoci con una stretta di mano perché sudava da tutte le parti.
-cosa dicono i miei ragazzi, pronti per la partita contro il Milan?- avremmo dovuto giocare in casa e Bonucci era il motivo principale del perché le acque erano leggermente agitate.
-fanno tutto il loro meglio, a parte Dybala che si sta dando al birdwatching- risi e con me anche il Presidente.
-vorresti biasimarlo? Le belle ragazze sono fatte per essere guardate- Paulo che correva li vicino si arrestò e totalmente a suo agio si avvicinò al presidente abbracciandolo
-si guarda ma non si tocca- gli disse ed io inarcai le sopracciglia facendogli intendere che lui non doveva proprio parlare.
-Dybala, va a giocare a pallone e ricordati che sono nato prima di te- lo burló Andrea mentre lo spinse leggermente invitandolo a tornare in campo a correre.
Rimanemmo lì ancora per qualche altro minuto mentre i miei occhi si bearono dell'atleticità del corpo di Paulo.
Agile e sinuoso nei movimenti,rapido pulito e preciso e sembrava che i suoi piedi fluttuassero per terra.
Era un talento e bisognava guardarlo giocare per rendersi conto che il calcio per lui non era solo una questione di sport, il calcio era un po come il suo porto sicuro, qualcosa in cui sapeva che avrebbe trovato conforto e se stesso.
-è proprio un bravo ragazzo. Sono molto fiero di lui- mi disse il mister mentre evidentemente il mio sguardo indugiò su Paulo più di quello che pensassi.
-anche io- gli risposi non nascondendo ciò che provavo per il bell'argentino.
Non c'era un singolo giorno in cui non avesse la palla ,o pelota come adorava chiamarla lui, tra i piedi e con quella sapeva fare magie.
-deve ancora crescere ma sono sicuro che brillerà nel mondo del calcio. Nessuno alla sua età è stato cosi forte- quella frase mi inorgoglì dentro e se non lo diedi a vedere fu solamente perché ero troppo concentrata a non perdermi nessun muscolo che gli contraeva e rilassava ad ogni singolo scatto da destra verso sinistra.
-sono sicura che qui crescerà bene- ne ero certa a dire la verità.
Non era un mistero che a casa Juve lo adorassero, a partire dai suoi compagni di squadra a tutto lo staff e a finire con la dirigenza.
Aveva il sorriso genuino di uno che gioca a palla per ottenere vittorie, traguardi ma soprattutto per divertirsi e lasciare che gli altri in tribuna si divertissero con lui.
-torno dentro, altrimenti avrò del lavoro da completare a casa- salutai il mister con un bacio sulla guancia e me ne tornai dentro a completare il mio lavoro.
Dario stava ancora sistemando i miei voli, purtroppo conciliare tutte le partite dei mondiali era davvero difficile soprattutto per me che avevo molti ragazzi da seguire.
Benatia con il Marocco, Rodrigo con l'Uruguay, Paulo e Gonzalo con l'Argentina, Sami alla Germania, Mario e Marko con la Croazia, Szczesny alla Polonia, Blaise alla Francia , Juan con la Columbia e per finire Douglas con il Brasile.
Era un lavoro assurdo dover rimanere dietro ad ognuno di loro e riuscire a ritagliarmi dello spazio per andare dietro le quinte di Jtv e seguire la telecronaca di Zuliani e Rossi.
-per gli Hotel come faccio?- mi passò il foglio mostrandomi in quali alberghi avrei potuto alloggiare ma, sapevo perfettamente che Paulo avesse riservato una stanza per me nella residenza sportiva dove si allenava l'Argentina e non mi ero nemmeno sognata di rifiutare perché volevo stargli accanto quando mi era possibile, soprattutto in questa esperienza che lo emozionava parecchio.
-ho una stanza a Bronnitsy- mentre gli spiegai che si, ero una pazza a prendere tre aerei in una sola giornata, guardai l'orologio nell'attesa che Dols si facesse sentire.
Erano quasi mezzogiorno e stentavo a credere che non si fosse ancora svegliata.
-Dols sono Gwen, stai ancora dormendo?- le lasciai un messaggio in segreteria e misi giù la chiamata.
-scusami. Comunque si per la conferenza stampa pre partita contro il Milan siamo io, Allegri e Buffon- lasciai che organizzasse anche questo mentre io mi concentravo sulla champions che avremmo disputato a breve.
Il primo incontro con il Real Madrid l'avremmo giocato in casa e dovevamo dare il meglio,nonostante nel campionato italiano con il Napoli è sempre stata una sfida continua a chi supera chi per afferrare quel primo posto, il nostro possibile settimo primo posto consecutivo.
-Gwen-alzai gli occhi dalle pratiche lavorative e osservai Paulo,ancora grondante di sudore, avvicinarsi.
-si?- gli chiesi sorridendo al suo meraviglioso volto
-io ho appena finito, torno a casa - si chinó su di me e mi baciò lentamente mentre io arrossii perche c'era Dario e le effusioni pubbliche mi piacevano poco.
Fu un bacio veloce che mi fece tossicchiare alla fine mentre guardai velocemente Dario nella speranza che fosse stato abbastanza discreto da non aver alzato lo sguardo.
-non fare rumore quando entri, probabilmente Dolody dorme ancora- annui sorridendo
-menomale che doveva mettersi la sveglia alle nove- ridacchiai anche io perche lo diceva ogni sera e poi puntualmente passava l'intera mattinata a letto a dormire e per pranzo se non la buttavamo giù dal letto lei avrebbe continuato a dormire fino a tarda sera.
Era proprio una dormigliona.
-ti aspetto a casa stasera- annui e lo vidi allontanarsi uscendo via dalla sala relax girando a destra verso gli spogliatoi.
-scusaci- gli dissi mortificata
-è tutto okay. È bello vedere quel pezzo di manzo che ti bacia- quasi soffocai con la mia stessa saliva
-Gwen? Oddio l'acqua- riempì velocemente un bicchiere d'acqua e me lo porse.
Lo bevvi con velocità per riprendermi e lo guardai con le lacrime agli occhi dovuti al piccolo momento di soffocamento dalla quale ero appena sfuggita.
-tutto bene?- mi chiese
-si- gli dissi cercando di capire che cosa realmente mi avesse appena detto.
Non ebbi il coraggio di chiederglielo ma, avrei fatto indagare a Mat che lui sembrava conoscere tutti.
Se fosse stato gay avrei riso come non mai per colpa di Paulo e della sua gelosia maniacale che mi divertiva perche lo faceva incazzare ma a me non solleticava nemmeno anzi, mi piaceva solamente perché Paulo farfugliava frottole su frottole ed io guardavo la sua giugulare che pulsava con ritmo cadenzato ai lati del suo collo rendendolo sexy ai miei occhi.
-cosa vuoi per pranzo?- gli chiesi prima che ritardassi a prendere le ordinazioni al ristorante qui vicino e non avremmo più pranzato.
-pennette al sugo- lo scrissi un un post-it ed io aggiunsi la mia insalata perché mi sentivo ancora appesantita dalla colazione proteica che ero stata costretta a mangiare.
Chiamai velocemente e chiesi che ci venissero consegnate per le due del pomeriggio cosi avremmo avuto ancora una mezz'oretta che mi serviva per salire su a stampare le sistemazioni della squadra milanese.
Non nego che quando lessi Leonardo Bonucci una strana sensazione mi attanagliò lo stomaco; era il nostro Bonny e per me sarebbe rimasto per sempre bianco e nero eppure, non era cosi.
Il suo addio era stato forse addirittura più violento di quello di Gonzalo dal Napoli e di Federico dalla Fiorentina.
L'addio di un calciatore a volte è incompreso, travisato e incattivito da insulti e parole dal sapore amaro della liquirizia.
Ci eravamo dissociati dagli insulti che lo avevano accompagnato da qui a Milanello eppure da Paulo avevo saputo quanto ne avesse sofferto e che gli dispiaceva lasciare la Juventus ma che ormai questa non poteva più essere casa sua.
Non seppi mai di chi fu realmente la colpa ma Allegri sembrava c'entrare qualcosa e avevo storto la bocca perché Bonny era Bonny non da ieri ne dall'altro ieri, Bonny era Bonny bianco nero da sempre.
Mi alzai portandomi dietro l'ipad e mi diressi verso le solite dannate scale per allontanarmi da un posto che forse me lo avrebbe ricordato con maggiore intensità.
Ripensai alle vittorie che ci avevano accompagnato e alle sconfitte che ci avevano legato ancora di più, gli uni stretti agli altri.
Ripensai alla paura ed al panico di una vita che poteva scivolargli dalle mani e alla forza che li aveva saldati tutti insieme, una sola squadra e una sola tifoseria e poi?
Poi tutto mandato in fumo dalla stupidità.
Matteo doveva rimanere fuori dalle stupidi discussioni tra tifosi e calciatori, invece era stato messo al centro e mi faceva ribrezzo pensare che c'erano persone capaci anche solo di pensare una cosa simile.
Solo una parola: VERGOGNA.
A volte era la paura delle persone che mi frenava a progettare il mio futuro; come avrei potuto difendere una piccola creatura da una simile malvagità? Come avrei fatto scudo al viso rotondo di un piccolo bambino che ha fame di vita, una vita che gli si prospetta davanti e tutto è bello e profuma di torta alle mele con lo zucchero a velo.
Non ero capace di difendere me stessa e mi nascondevo dietro a mille scuse quando la verità era che avevo paura, paura che il mondo mi avrebbe divorato e allora di me non sarebbe rimasto nulla se non un piccolo scheletro fatto da qualche osso ancora in grado di reggersi in piedi.
Amare Paulo era stato facile,amare suo figlio lo sarebbe stato il doppio e sapevo che avrei dato tutta la mia vita per quel bambino.
Sapevo che avrei costruito tutte le mie priorità dentro una casa le cui pareti reggevano il tetto solido di una famiglia, io Paulo e tutti i figli che avremmo voluto e che il destino ci avrebbe permesso di avere.
Sebbene Paulo sapesse quanta paura avessi, alla fine nel nostro amore eravamo solo io e lui e non c'erano riserve tra di noi.
Sapeva che volevo costruire il mio domani insieme al suo, intrecciando ancora di più i fili della nostra vita ma, nei miei occhi leggeva la paura, una paura cieca di non saper difendere il nostro bene più prezioso.
E pensavo a Martina e Leonardo, pensavo a come fossero riusciti a salvare se stessi da un periodo cosi buio, eppure erano ancora li tutti e quattro più forti di prima ed io li adoravo sempre di più.
Mi ero sentita in dovere di mandare un biglietto di scuse da parte della società cosi come era stato perfettamente d'accordo il presidente ma, Martina era una mamma e certe cose non le avrebbe mai più dimenticate e non gliene facevo una colpa, se fossi stata una madre anche io avrei dato di matto perdendo le staffe, una per una.
Strinsi le mani in due pugni sentendomi sporca di qualcosa che sapevo non mi appartenesse, cose se una striscia di bianco in mezzo a tutto quel bianco e nero fosse saltata via rovinando un piccolo punto.
Non era cosi che mi ero immaginata la mia squadra con i suoi tifosi.
Non era cosi che mi aspettavo che Bonny sarebbe andato via dalla Juve anzi, a dire la verità,non mi aspettavo che Bonny lasciasse la Juventus.
Ma, soprattutto,non era così che volevo fosse la Juventus, un branco di persone incattivite dalla frustrazione che si accanivano sulla vita di un bambino che non c'entrava assolutamente nulla.
E allora avevo immaginato quel famoso poster appeso al muro della mia vecchia camera con uno angolo strappato, come se fosse stato tolto un pezzo a quel quadro che per me aveva sempre avuto le sembianze della perfezione.
Forse la perfezione non l'avrei trovata da nessuna parte ma, c'era una linea bianca in meno o forse una linea nera in più in quella per me doveva essere solo una questione di rispetto delle regole, delle persone.
Attesi che uscissero tutti i fogli dalla stampante e li afferrai per spillarli ordinatamente.
Indugiai su quello di Leo e l'impulsività che mi aveva sempre contraddistinta mi spinse a chiamarlo.
Probabilmente si sarebbe trovato agli allenamenti e non avrebbe risposto o semplicemente avrebbe trovato le mie chiamate chiedendosi che cosa volessi, anche se poi noi avevamo buoni rapporti proprio perché Paulo, Giorgio, Andrea e Gigi, insieme a Medhi e Miralem continuavano a sentirsi come se non fosse mai andato via e probabilmente in realtà io avrei continuato a vedere il numero diciannove che parcheggiava  al solito posto, facendo lo sbruffone e salutandomi con il suo: " ma che bel di, in chil de Turin"ed io gli avrei risposto sempre che non era "chil" ma "col" e avrebbe riso parlando della solita macchina di santa rosa, uno modo come un altro per ricordarmi che nonostante Torino la sua testa era costantemente a Viterbo.
-pronto Ginevra?- rimasi stupita del fatto che avesse risposto
-hei Leo- lo salutai contenta senza sapere realmente cosa avrei dovuto dirgli
-tutto bene?- gli chiesi
-tutto più che bene, sto andando a prendere i piccoli da scuola- un sorriso spontaneo nacque sulle mie labbra.
-Martina è lì con te?-
-si tesoro sono qui- sentire la sua voce mi piacque parecchio. Era da sempre una ragazza strepitosa, piena di una grinta assurda che aveva stupito tutti quelli che credevano si sarebbe lasciata andare quando invece doveva tenere duro,come aveva fatto.
-Ciao mia bella milanese- rise e parlammo un po delle solite cose che ci si dice quando ci si sente per qualche settimana.
Avevano affittato una bella villetta con tanto di giardino per consentire ai suoi figli la possibilità di giocare in uno spazio aperto, fregandosene delle punture di zanzare tanto poi a quelle ci si sarebbe trovato il solito rimedio di sempre.
Autan, un nome e purtroppo una fregatura perché io continuavo a beccarmi morsi su morsi di quelle bestiole di satana che aleggiavano sulle risaie.
-che si dice sulla Mole?- sicura che la notizia che piovesse non l'avrebbe per niente sconvolta.
A Torino non faceva altro che piovere, dal primo di Gennaio al trentuno di Dicembre , come se la benedetta nuvola di Fantozzi si fosse parcheggiata per sempre sui tetti delle case piemontesi.
-tutto vecchio e niente di nuovo- lei avrebbe potuto raccontarmi qualcosa in più.
Aveva cambiato casa e si era allontanata da Carolina che sapevo fosse la sua migliore amica.
Non le chiesi se sarebbe venuta a Torino per la partita, non ce lo meritavamo perché avevamo lasciato che andassero via dandogli un calcio nel sedere quando, in realtà nessuno sapeva cosa fosse successo.
Forse però, la fascia da capitano aveva fatto male come quelle strisce depilatorie tirate piano piano , quelle per cui giuri che un intervento chirurgico a carne viva avrebbe fatto meno male senza però averlo mai effettivamente provato.
Quando feci ritorno al mio posto, il cibo era stato portato e le foglie verdi dell'insalata mi salutavano contente mentre pensavo che da li a poco mi sarei trasformata in un ruminante.
-ma con quella ti sazierai?- mi chiese dubbioso Dario
-fidati, ho lo stomaco che mi si è riempito di tristezza solo a vederla- lo feci ridere.
Non dovevo fare una dieta, semplicemente dovevo imparare a mangiare sano e a tonificare i miei muscoli o almeno questo era quello che mi aveva detto Paulo il primo giorno in cui avevo rimpianto il momento esatto dove dalla mia bocca fossero uscire le parole: mi alleni tu?
Non feci in tempo a infilzare la forchetta che la suoneria del cellulare mi fece sobbalzare.
"Dols" lessi velocemente mentre il mio dito automaticamente accettò la chiamata.
-ciao piccola donzella?- le dissi contenta mentre un singhiozzo sbattè con violenza nella mia mente.
-Dolody- mi alzai immeditamente dal tavolo ,imprecando dal dolore.
-perche piangi? È successo qualcosa con tuo padre?- sussurrò un no strozzato tra tutte quelle lacrime che immaginavo le stessero rigando il volto.
-è successo qualcosa a Paulo?- quasi sentii il cuore che si fermò.
Pianse più forte e credetti di stare per morire.
-Dolody ti supplico dimmi che sta bene- la pregai
-sta bene, lo odio- sospirai felice che non gli fosse capitato nulla e solo dopo mi chiesi perché fosse arrivata a dire di odiare Paulo.
-Dols sei a casa?- a diciassette anni si fanno un sacco di cazzate ma sparire di casa a Torino con un cognome come il suo mi sapeva di un'enorme cazzata più grave di quella che si sarebbe immaginata .
Torino non era Laguna Larga; con rispetto parlando.
-arrivo- gli dissi impaurita che le potesse succedere qualcosa.
Che diamine aveva fatto Paulo per costringerla alle lacrime?
Afferrai cappotto e borsa con i documenti di Ronaldo della quale sapevo bene non mi sarei mai dovuta separare
-Dario devi accompagnarmi a casa- gli dissi velocemente interrompendo ingiustamente il suo pranzo.
Si ripuli le labbra da sugo e mise tutto dentro la sua borsa per accompagnarmi.
Da quando non potevo guidare andavo e tornavo da lavoro con Agnelli che passava a prendermi e a lasciarmi dato che era sulla mia stessa via.
Per la velocità con cui lo costrinsi a guidare forse si beccò due o tre multe sulla strada e quelle le avrei fatte pagare a Paulo che ci stava facendo correre come dei dannati per qualcosa di cui ignoravo decisamente il motivo.
-buonasera Ginevra, va di fretta?- mi chiese Piero il solito portiere del palazzo San Carlo mentre annui velocemente facendomi dare una mano per velocizzarmi; ormai era una cosa che faceva tutte le volte che arrivavo da Paulo prima che ci fosse anche lui a casa e che quindi non potesse scendere a recuperarmi.
Ci catapultammo dentro l'ascensore e mi lasciò li mentre lo ringraziai sentitamente.
Quando arrivai davanti la porta blindata di casa Dybala, avvertiti le urla da fuori e quasi ebbi paura a scoprire che cosa si nascondesse dentro.
Riacquistai il respiro come se stessi arrivando a casa ignara di tutto e citofonai al campanello cercando di fingere nel miglior modo possibile.
-ah eccoti qua- mi guardò gelido e utilizzò un tono di voce tagliente che nemmeno i migliori coltelli affilati sarebbero stati in grado di affettare l'aria come stava facendo adesso la sua voce
-abbassa la voce che ti sentono dalla piazza e poi, vedi di contenerti perché non stai parlando con tua sorella, chiaro?- se c'era una cosa che odiavo erano le persone che si sentivano potenti.
Mi guardò fulminandomi con lo sguardo, lo stesso che mantenni saldo per molto più tempo di lui.
-che sta succedendo?- chiesi a Dolores che appoggiata allo stipite della porta lanciava saette velenose a Paulo.
-fatti i cazzi tuoi- mi aggredì Paulo prima che sua nipote mi desse un'effettiva risposta.
-ho chiesto a te? Non mi pare- lo ignorai avvicinandomi alla bella Argentina i cui occhi erano iniettati dal sangue per il troppo pianto.
-no ne posso più Gwen- mi abbracciò continuando a piangere sul mio petto e sulla mia spalla mentre le mie braccia la stringevano a se.
-non cresco puttanelle- mi disse mentre mi ribollì il sangue nelle vene.
Giurai che se solo avesse ridetto una roba simile lo avrei preso a schiaffi come mai mi ero sognata di fare.
-Paulo stai dicendo stronzate- lo ammonii confortando la disperazione di sua nipote.
-non sai un cazzo, non puoi impicciarti- mi disse
-invece si, sono io che l'ho chiamata- mi difese Dolores
-e cosa speravi, che mi avrebbe calmato? Non mi importa un cazzo che sia venuta, qui comando io- quasi mi venne voglia di abbaiargli contro solo per farlo incazzare ancora di più.
-tu comandi sempre su tutto- lo accusò
-sei solo una stupida ragazzina viziata- e lui invece? Che cosa era un uomo vissuto?
Ma per piacere!
-io no ne posso più, sono stanca- Si lasciò scivolare sul pavimento e quasi mi spaventai che si stesse sentendo male.
-mio fratello è tuo, mia nonna è tua, il mio cognome è tuo, Torino è tua,Gwen è tua, tutto è tuo- provai del freddo a causa del tono di voce con cui aveva pronunciato le parole .
Guardai Paulo che se ne stette in silenzio forse ferito dalle parole o forse rendendosi conto che la vita che conduceva non aveva dei riscontri solo su di lui ma si ripercuoteva su tutta la sua famiglia.
-io voglio poter avere un altro cognome; non voglio più chiamarmi cosi perche mi sembra sempre di non essere qualcuno. Non sono la tua ombra Paulo, io non sono l'ombra di nessuno- all'improvviso mi sembrò più vecchia di una ventina d'anni, come se quel corpo esile e giovane nascondesse le ferite di una persona che si stava schiacciando senza che nessuno realmente se ne stesse rendendo conto.
-perche sono sempre la nipote di Paulo Dybala? Io sono Dolers e voglio solo essere me stessa senza che ci sia tu nella mia vita- forse la rabbia la stava spingendo a dire cose che non pensava realmente o forse io non mi rendevo conto della vita a cui era costretta senza potersi tirare indietro.
-sei andato via a Torino ma tu sei ovunque e no ne posso più. Non posso uscire con i miei amici perché ho paura che non siano amici veri ma che vogliamo qualcosa da te. Nessuno crede che io studi tutti i pomeriggi perché il mio buon risultato porta sempre il tuo nome.- lessi del senso di colpa nello sguardo spento di Paulo.
Mi sentivo di troppo in un silenzio pieno zeppo di parole non dette.
-io voglio che tu non ci sia mai più nella mia vita- il mio volto scattò velocemente su quello di Dolores mentre la guardai come a volergli dire: "che cazzo dici?".
Il rumore sordo dei passi di Paulo mi sembrò come se una mandria di elefanti mi avesse appena schiacciata al pavimento.
-Paulo- sussurrai mentre non seppi che cavolo fare.
Mi portai una mano sul volto e respirai come se non fossi più riuscita a farlo dopo che Dolores aveva iniziato a parlare.
-va via da qui-




Hola ❤️.
☹️ oggi il mio umore è un po così per via del fatto che la Juventus sta cedendo Higuain.
A parte Gwen nella storia, ma questa cosa è più mia ed è vera.
Adoro Higuain, il suo sorriso,la sua correttezza e il suo gioco...per me è una gran bella botta vederlo passare al Milan, ma non perche è il Milan,non ho nulla contro la squadra, è proprio la questione che vada via dalla Juve che mi fa stare male.
Perdonatemi se sono così giù ma, non vorrei che andasse via perche "andavo fin li per vedere giocare Higuain".
Sorry me, love u ❤️

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