Sulla stessa barca

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Ogni tanto suggerirò l'ascolto di qualche brano musicale che mi ha particolarmente ispirata nella scrittura del capitolo.
Il brano di oggi è molto particolare, ma sembra riflettere al meglio i pensieri dei due protagonisti e gli spettri del passato che tornano a tormentarli.

I can see them running towards me
All the time they steal my dreams
The ghosts of past and sorrow

They shout, they carry on
They whisper on my sorrow
They shout all night long

Neverending Nights


AFTER ALL

CAPITOLO 4 - SULLA STESSA BARCA


La corsa di Vegeta si arrestò di fronte alla finestra scorrevole del suo appartamento, socchiusa come l'aveva lasciata; Kakaroth non si era permesso di toccarla. La aprì quanto bastasse per entrare nel loft ancora illuminato, ma non vide nessuno. Che l'idiota fosse andato via? Che avesse già cambiato idea? Si guardò intorno, camminando a passi lenti sul parquet in legno grigio.
«Kakaroth?»
Aprì la porta socchiusa del bagno sperando di non beccarlo intento a lavarsi o in altre situazioni sconvenienti, ma non trovò nessuno. «Kakaroth?!» lo chiamò più forte e si avviò verso la porta di camera sua, convinto oramai che quell'imbecille se la fosse data a gambe. Così tipico! Fece per afferrare la maniglia della porta quando, di scatto, questa si aprì mostrando a Vegeta qualcosa che non avrebbe facilmente perdonato.
«Ah, sei già tornato?» domandò Goku, in un sorriso a trentadue denti.
«Si può sapere cosa stavi facendo in... aspetta!» 
Sua Maestà squadrò l'idiota impalato di fronte a lui, impettito nel suo nuovo outfit che aveva un nonsoché di famigliare. Goku non era solito indossare dei vestiti che non fossero tute da combattimento, eppure sembrava sentirsi a suo agio con quei pantaloni neri, la canottiera grigia piuttosto aderente e la giacca nera informale con il colletto. Vegeta rabbrividì, poi parlò con tono pericolosamente calmo. «Quelli sono i miei vestiti».
«Sì, ecco, avevo quella casacca addosso da chissà quanto tempo, effettivamente era tutta rotta e sporca, così l'ho buttata. Come sto?» chiese Goku, volteggiando su se stesso come se fosse in passerella. «Forse sono un po' cortini questi pantaloni, visto che sono su tua misura, però sono molto comodi!»
«NON TI HO DATO IL PERMESSO DI PRENDERLI!» esplose Vegeta.
Non solo quello squinternato gli aveva occupato la casa: aveva preso i suoi abiti e gli aveva fatto inoltre notare quanto i suoi pantaloni fossero troppo corti per le sue dannate gambe lunghe. Non avrebbe potuto passarla liscia, nossignore. Ma era troppo, troppo stanco per far fronte ai suoi occhi compassionevoli.
«Suvvia, non volevo sporcarti il divano con quella tuta sporca. Posso tenerli?»
E i suoi atteggiamenti da completo paraculo. 
«Tsk. Oramai hai buttato i tuoi, di certo non voglio vederti andare in giro nudo!» gracchiò Vegeta, stanco.
«Lo prendo come un sì! Grazie Vegeta!»

Sua Maestà sbuffò, arrendevole, quando il suono del citofono lo fece sobbalzare. Chissà poi come mai, visto che non aveva un bel niente da nascondere. Se qualcuno avesse scoperto del ritorno di Kakaroth sarebbero stati unicamente affari del diretto interessato, lui si era solo trovato in mezzo alla situazione.
«E adesso chi diavolo è?!» Fulminò l'improvvisato ospite e si avviò a passi circospetti alla porta d'ingresso. 
«Ho fatto come mi hai detto tu: ho ordinato le pizze!» dichiarò Goku, gioviale.
 «Beh, almeno una cosa giusta l'hai fatta!»
Tuttavia, quando aprì la porta di casa, Vegeta ebbe la confutazione servita su un piatto d'argento. O meglio, in una scatola di cartone. Venti. Venti scatole di cartone.
Il fattorino delle pizze, sudato e con evidente affanno, sorreggeva una pila ciondolante più alta di lui di pizze d'asporto.
«Kakaroth. Dimmi che non sono tutte per noi due» sussurrò Vegeta a pugni stretti. Non poteva credere ai suoi occhi.
«Che c'è? Non vanno bene? Io ho una fame da lupi!» rispose Goku, innocente. Scansò con il braccio il padrone di casa e prese con una mano sola i venti cartoni, porgendo allo sconvolto fattorino la carta.
Il malcapitato portò a termine il pagamento senza scollare loro gli occhi di dosso, poi restituì la carta.
«Levati dai piedi» soffiò infine Vegeta, sbattendogli la porta in faccia. Cercò di immagazzinare più pazienza possibile, prima di voltarsi verso l'idiota. «Kakaroth...» disse, con tono pericolosamente piatto. «Te lo giuro su tutti gli Dei, io ti faccio del male».
«E dai, non dirmi che adesso mangi come un essere umano!» lo incalzò Goku.

Saltellò fino al tavolo e ci lasciò cadere con un tonfo la pila infinita di pizze. Con impazienza avvolse sugli avambracci le maniche della giacchetta nera rubata a Vegeta e si sedette. Aveva una fame da lupi, e nel posto in cui era stato per quindici anni la pizza aveva potuto solo sognarla.
Vegeta sbuffò e si sedette su una delle sedie bianche, il più possibile distante dal suo ospite. In effetti quelle pizze avevano un odore niente male ed era già qualche ora che il suo stomaco richiedeva attenzioni. Quel dannato imbecille aveva ragione: non gli sarebbe bastata certo una sola porzione per sfamarsi del tutto, anche se negli ultimi anni aveva imparato a non esagerare con il cibo, a costo di non saziarsi mai completamente. Non che avesse perso il suo solito appetito - di certo non sarebbe stato possibile - ma la voglia di uscire a fare la spesa tutti i giorni e cucinare per un esercito non era mai troppa. Le uniche volte che si era concesso di banchettare senza tregua era stato durante le cene al ristorante e i pranzi di famiglia da Chichi e, ricordandola, Vegeta avvertì una leggera stretta al cuore. Non gli era mai andata così a genio, quella donna isterica, ma da quando Goku se ne era andato e i suoi figli erano diventati grandi e indipendenti, lei si era data una gran calmata. Vegeta aveva imparato a sopportarla e, nel suo piccolo, persino ad apprezzarla. Di certo non era stato felice quando era venuto a conoscenza della sua morte e, seppur con molto contegno, aveva provato un gran senso di dispiacere al suo funerale, quel pomeriggio.

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