Occhi

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It's time to let it go, go out and start again
But it's not that easy

But I've got high hopes, it takes me back to when we started
High hopes, when you let it go, go out and start again
High hopes, oh, when it all comes to an end
But the world keeps spinning around

High hopes - Kodaline

AFTER ALL

CAPITOLO 13 – OCCHI

Cinque mesi. Cinque mesi di cure, un'operazione, quattro cicli di chemioterapia, uno di radioterapia mirata e la nuova cura sperimentale che era stata in grado di salvare innumerevoli vite. Tutto ciò aveva ridotto all'osso il fisico una volta tonico e prosperoso di Bulma. I suoi capelli azzurri erano caduti, un poco ricresciuti e poi caduti di nuovo ma, nonostante ciò, era sempre una donna bellissima. Ogni mattino si svegliava e, con le poche forze a lei rimaste, si contornava il capo con foulard di colori diversi sempre abbinati al rossetto e al vestito, si disegnava le sopracciglia e usciva da casa per bersi un caffè in centro. Non aveva accettato di farsi ricoverare in ospedale poiché, oltre al fatto che i soldi per le cure a domicilio non mancavano, non aveva alcuna voglia di fronteggiare la morte vista da così vicino. Ogni giorno, nel reparto oncologico, troppe persone - donne, uomini e purtroppo anche bambini - chiudevano per sempre gli occhi e no, Bulma non aveva alcuna intenzione di farsi atterrire da quegli eventi. Le faceva troppo male vedere quei volti, i volti dei loro cari disperati e persi; il solo pensiero che avrebbero potuto essere quelli dei suoi figli e di suo marito le metteva addosso i brividi.
Ma, quel giorno di fine settembre, la morte venne a farle una piccola visita di cortesia sotto forma di medico oncologico.
«Quindi... non ha funzionato?» domandò Bulma dopo aver analizzato il referto dell'ultima TAC. Vegeta, al suo fianco, parve irrigidirsi.
«Temo di no. Mi dispiace, signora Brief» disse il dottore con voce morbida, compassionevole. Il Principe dei Saiyan si imbestialì, prese dalle mani il referto e lo strappò il mille pezzi.
«E ADESSO COSA DIAVOLO DOBBIAMO FARE?!» urlò Vegeta, alzandosi e gettando in aria i cordiandoli di carta.
«Abbiamo tentato tutto il possibile, anche le cure sperimentali. L'unica cosa che resta da fare, ora, è pregare».
«PREGARE!? RAZZA DI IMBECILLE, SI METTA LEI A PREGARE! PREGARE CHE NON LE METTA LE MANI AL COLLO! FUORI DI QUI!» continuò a gridare Vegeta, trattenuto per un braccio dalla moglie la quale, sull'orlo delle lacrime, rimase seduta sulla propria sedia nel vedere il medico uscire dalla stanza, spaventato. Pover'uomo.
Quando finalmente Vegeta si calmò, si inginocchiò di fronte a lei e le mise la testa sulle ginocchia.
«Vegeta...»
«Non ci provare, donna. Non azzardarti a morire!» sussurrò quella minaccia con un tono di voce talmente fievole da non far paura proprio a nessuno.
Durante tutti quei mesi le era stato accanto in silenzio, infondendole la forza necessaria per combattere, tenendola per mano. Non si era mai scomposto, non aveva mai perso la pazienza, non aveva mai dato segno di cedimento ma, quel giorno, era scoppiato, esploso.
Gli sembrava tutto più reale, più vicino, talmente vicino da fargli paura.
«Forse dovremmo solo accettarlo. Prima o poi sapevamo che sarebbe giunto questo momento» sussurrò lei poco convinta, talmente spaventata da non nascondere nemmeno i tremori. Iniziò ad accarezzargli la testa perdendosi con lo sguardo tra i suoi capelli neri.
Vegeta alzò lo sguardo e la fissò a lungo, con gli occhi arrossati e i denti digrignati. No, mai. Non lo avrebbe mai accettato. Avrebbe dovuto fare qualcosa, qualsiasi cosa.
E quel qualcosa gli affiorò alla mente come una lampadina accesa nel buio della notte, qualcosa a cui, forse, avrebbe dovuto pensare molto tempo prima.

Ci volle poco meno di una settimana per recarsi in quel luogo: la navicella super veloce costruita dalla Capsule Corporation aveva dei propulsori talmente potenti da rendere i viaggi nello spazio molto più brevi e confortevoli. Inoltre, per recuperare ciò per il quale erano partiti, ci volle all'incirca un giorno di ricerche. Bulma, in compagnia di qualche simpatico abitante del posto, riposò al caldo della sua stanzetta osservando fuori dalla finestra quel pianeta che, nonostante fosse differente dal primo, le ricordò come se fosse ieri il giorno in cui aveva incontrato il suo Principe per la prima volta.
Erano passati così tanti anni, eppure il ricordo era così vivido, limpido. Ricordò che le avesse fatto paura, ricordò di aver provato terrore nei suoi confronti. E invece, a distanza di anni, lui era lì pronto a fare qualsiasi cosa per lei, persino viaggiare fino a Neo Namek per ricercare le Sette Sfere del Drago Polunga e tentare il tutto e per tutto per salvarle la vita. Da quando Shenron era partito insieme a Goku alla volta di chissà dove, infatti, nessuno era più stato in grado di ritrovare le Sfere del Drago terrestri e Dende aveva deciso di non crearne altre.
«Puoi procedere» ordinò Vegeta a Leston, un Namecciano giovane dall'aria gentile il quale, durante il giorno di ricerche, aveva provveduto a tenere compagnia a Bulma. L'alieno verde, con le mani rivolte verso il cielo, invocò Polunga a gran voce nella sua lingua.
Maestoso, fiero e a tratti spaventoso, il drago apparve nel cielo verde esattamente come molti anni prima, quando gli avevano chiesto di ripristinare la Terra dopo che era andata distrutta. Polunga disse qualcosa, qualcosa di incomprensibile a orecchio terrestre. Vegeta però, durante i suoi innumerevoli viaggi tra i pianeti da giovane, era riuscito a imparare un poco il Namecciano e, sebbene non fosse in grado di parlarlo, riusciva a comprendere la maggior parte delle loro frasi.
«Cosa gli chiedo?» domandò Leston.
Bulma, seduta sull'erba frizzantina del pianeta Namek con una coperta di lana sulle spalle, gli rivolse uno sguardo speranzoso. «Domandagli se è in grado di guarirmi».
Vegeta, teso, ascoltò il Namecciano parlare ad alta voce con il drago. Esso rispose con voce piena, potente.

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