Il tempo per loro

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Disclaimer:
Questa storia non è scritta a scopo di lucro.
I personaggi usati e tutto ciò che fa parte dell'universo di Dragon Ball sono di proprietà di Akira Toriyama© e Toei Animation©.
Non concedo, in nessuna circostanza, l'autorizzazione a ripubblicare questa storia altrove, anche se creditata e anche con link all'originale.
La fanart della copertina non mi appartiene.
Nessun copyright si intende violato.

-AFTER ALL -
CAPITOLO 11 - IL TEMPO PER LORO

Vegeta mostrò i denti aguzzi, come una bestia pervasa dalla rabbia.
Goku, spiazzato, rimase immobile nell'avvertire il suo respiro bollente contro il viso. Cosa poteva essere successo di tanto eclatante da renderlo così nervoso? Cosa poteva averlo portato a manifestare cotanta furia?
«V-Vegeta» balbettò, con gli occhi grandi e lucidi. «Cosa succede?»
«Tu... tu mi stai rendendo le cose difficili!» lo accusò Sua Maestà. Gli afferrò la maglietta e lo sollevò a due centimetri dal terreno. «Te ne rendi conto, vero? EH!?»
«Io... io... Vegeta, ma cosa diamine è successo?» domandò con risata isterica, più che convinto che tutto si sarebbe risolto a calci e pugni. Per un attimo pensò di potersi teletrasportare nel mondo dei Kaiohshin, ma Vegeta gli ringhiò ancora in faccia quando provò a portarsi le dita sulla fronte.
«Ci hanno quasi scoperti, zucca vuota, lo sai o no? E sai qual è la cosa che mi fa imbestialire? È che ho detto "ci" ! Come se io c'entrassi davvero qualcosa nel tuo tentativo di rimanere nell'ombra» abbaiò Vegeta. Con un gesto secco mollò la presa e si voltò altrove, scuotendo il capo.
«Ma...»
«Goku Jr mi è venuto a cercare. Ero tutti i giorni con lui, prima! E adesso non ho più tempo per farlo».
Vegeta sperò che un fulmine entrasse nell'appartamento e lo colpisse in pieno petto, per aver rivelato il suo affetto nei confronti del bambino.
Goku, dal canto suo, si impietrì. Vegeta gli sembrò così diverso, così sensibile e così... così umano. Lui non aveva mai, mai pensato a quelle cose, non aveva mai pensato che sacrificare il tempo alla famiglia per andarsi ad allenare fosse qualcosa di poco condivisibile. Amava i suoi figli, ma se ne era sempre infischiato di quelle cose, e pensava che anche Vegeta fosse come lui; eppure non era così.
Ripensò a Goku Jr, quel bambino così simile a lui e al contempo così simile anche a Vegeta, ripensò al tono severo ma amorevole con il quale il Principe l'aveva sgridato.
Si ricordò di Pan quando aveva la stessa età, delle giornate passate con lei ad allenarsi in mezzo alle montagne, ripensò a Gohan e Goten da piccoli. Li amava, gli voleva davvero bene, eppure non si era fatto scrupoli ad abbandonarli più e più volte e, talvolta, per motivi effimeri. E cosa avrebbe potuto fare, in quel momento? Andare da loro, salutarli e poi... e poi?
Goku rabbrividì e ripensò a ciò che soltanto lui sapeva e che non avrebbe forse mai rivelato a nessuno.
Vegeta sostò così, di spalle nella penombra, come per celare un volto senza maschera.
Ma Goku non lo trovava affatto stupido o eccessivamente sentimentale, anzi, invidiava il suo essere duro ma al contempo così saggio.
«Ti ammiro» confessò quindi, nel tentativo di sciogliere quell'imbarazzo.
Vegeta si voltò di scatto, con voce severa. «Che cosa?!»
«Ti ammiro, dico sul serio. Vorrei essere razionale come te» continuò Goku.
Fuori dalla finestra, lo spicchio di luna crescente brillava placido.
«Non è la razionalità che ti manca, Kakaroth. Devi trovare il coraggio di affrontare i fantasmi che hai nella testa».
Goku sorrise. Vegeta aveva sempre la risposta giusta, la risposta pronta a farlo riflettere e, purtroppo, anche a fargli male.
«Non so cosa ti stia succedendo e non so nemmeno cosa ti passi per l'anticamera del cervello ma, se fossi in te, non perderei altro tempo. A volte già è poco quello che abbiamo a disposizione con loro» continuò Vegeta, più paziente. Quasi non si riconosceva.
«Loro...?» domandò Goku.
Il profilo appuntito di Vegeta rifletteva le luci e le ombre della notte.
Questi sospirò e tornò indietro di un altro passo. Uno degli scorci più ripidi nel suo viale di ricordi.

Bulma uscì dalla stanza numero quattro con una cartelletta color verde menta tra le mani. Il suo sguardo era perso nel vuoto, così disorientata, così fragile.
Vegeta era seduto da una buona mezz'ora su una di quelle scomode panchine bucherellate che gremivano la sala d'attesa. Quello studio che odorava di ammoniaca e detersivo.
Vide sua moglie varcare la soglia, ma fece fatica ad alzarsi. Quasi come se, dal viso di lei, avesse già capito che ci fosse qualcosa. Bulma, dopo qualche secondo di smarrimento, cercò il suo sguardo. Sembrava terrorizzata.
Vegeta riuscì finalmente ad agire: la trascinò con sé a lato di un corridoio semivuoto e la fece accomodare di fianco alle macchinette distributrici di merendine.
«Cosa c'è?» fu tutto ciò che riuscì a pronunciare.
«Vegeta... si... si tratta di...» farneticò lei. Non riuscì a finire il discorso.
Vegeta le strappò la cartelletta clinica dalle mani e l'aprì. Lesse quella parola sei volte e ancora non fu certo di ciò che significasse. Cosa diamine voleva dire? Cosa poteva comportare? In un angolo della sua coscienza, però, egli già sapeva.
«Linfoma?» sussurrò lui. Chiuse di scatto la cartelletta e incrociò lo sguardo velato della moglie.
«Cancro» decretò lei. Ci volle coraggio per pronunciarlo.
Cancro. Vegeta ne aveva tanto sentito parlare, sulla Terra. Era una delle principali cause di morte naturale sul pianeta, non vi era una cura certa, o almeno non in tutti i casi.
I terrestri se ne ammalavano spesso, colpiva diverse parti del loro fragile corpo e le divorava; un male che si auto-sviluppava dall'interno, come le larve di un alieno. Cellule che impazziscono e si moltiplicano, alterando lo stato naturale corpo. Nel mondo dei Saiyan non esisteva nulla di simile: il loro DNA non lo permetteva, le cellule impazzite si auto-disintegravano non lasciando spazio ad alcuna degenerazione. Il fisico dei Saiyan era più forte, più resistente. Nella sua razza non esisteva il cancro ma Bulma, purtroppo, non era una Saiyan.
«Che cosa... cosa succede adesso?» mormorò lui, non sapendo che altro dire.
«Dovrò sottopormi a un'operazione, quasi sicuramente anche alla chemioterapia. È l'unico modo esistente per sperare di combatterlo» spiegò lei. Le lacrime pesanti sulle guance.
Vegeta trasalì. Sperare? Cosa voleva dire sperare? Bulma doveva guarire. Era ancora presto, troppo presto per andarsene per colpa di quella cosa, per colpa di un nemico che il Principe non avrebbe potuto nemmeno combattere e uccidere. Non aveva neanche settant'anni, aveva ancora un sacco di tempo da trascorrere in vita, con lui, con i loro figli.
No, non era ancora pronto per quello. Era perfettamente a conoscenza del fatto che se ne sarebbe senz'altro andata prima di lui, ma non era ancora il momento. No. Era troppo, troppo presto.
«Ti vieto di perdere».

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