capitolo 30

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Verso il tardo pomeriggio tornammo a casa a piedi e non potevo non buttare l'occhio sul il mio bambino, era stra felice per quel peluche, in realtà quando presi quel peluche avevo un po paura, pensavo che non gli sarebbe piaciuto e invece mi sbagliavo.
"Papà siamo arrivati?"
"Si amore". Apro il portone e saliamo le scale e metto la chiave nella serratura ed entriamo. Corre in salotto e accende la televisione.
"Ci vediamo i cartoni insieme?"
"Va bene, ma prima devo andare in camera da letto a fare una cosa".
"Torna subito".
Vado in camera mia e chiudo la porta, devo togliermi i vestiti sono sporchi, si lo so, dovrei lavarmi ma adesso non ho voglia. Appoggio le mani ai bordi della maglia e la lascio cadere per terra.
"Ammazza!" Mi giro e la vedo, se potessi gli toglierei quel sorriso stupido.
"Fuori da casa mia".
"Non vuoi divertirti?" Disse avvicinandosi.
"Non mi metto con i traditori".
"No?" La fermo e la trascino per il polso verso la porta.
"Vattene!" Gli urlo e apro la porta e la spingo via.
"Non puoi cacciarmi da casa nostra!"
"Nostra!? Hai coraggio a dirlo?"
"Si, ti prego perdonami, lo so di aver fatto una cazzata ma ti prego perdonami!"
"No! Ho sofferto molto in queste settimane adesso tocca a te e poi io sono, sono già fidanzato!"
"Ah si? E come mai non posti mai nulla sui social o come mai non l'hai detto ai ragazzi?"
"Perchè sono fatti miei e poi a te che te frega se lo dico o non lo dico?"
"Senti so si aver fatto una gran cazzata, ma ero stanca, mi mancavi e..."
"E hai preferito tradirmi che dirmelo per trovare una soluzione, Paola, io porca puttana, ti amavo e quando vi ho visti mi sono schifato".
"Ti prego perdonami?"
"No, sparisci, torna da lui".
"No! Io non me ne vado". Presi il telefono e chiamai i carabinieri.
"Va bene me ne vado ma non finisce qui!" Sento i suoi passi, per sicurezza la spio e quando non la vedo più e tiro un sospiro di sollievo.
"Papà, chi era?"
"Una pazza, mi ritengo fortunato che non ti ha visto". Lo prendo in braccio e lo avvicino a me.
"Papà lo sai che sei più bello senza maglia", sorride e si mette a ripassare i miei tatuaggi.
"Davvero? Allora papà rimane cosi".
"Bravo papà", ci sediamo sul divano e lui con una tra i miei capelli guarda Shrek, io invece guardavo lui, mi avvicino e gli lascio un bacio sulla guancia rosa e morbida, mi avvicino al suo orecchio.
"Ti voglio bene", lui abbassa la testa sul mio petto e l'unica cosa che posso vedere sono i suoi ricci.
"Cosa c'è?"
"Niente".
"Dai, dimmi che ti prende".
"Niente papà", mette davanti ai suoi occhi il braccio.
"Sono il tuo papà, devo sapere cosa ti passa".
"E che non ho mai ricevuto cosi tanto affetto dal mio vero papà".
"Cosa?"
"Lui mi picchiava", gli parte un piccolo singhiozzo, gli alzo la testa e faccio in modo che i suoi occhi incontrano i miei.
"Quindi tu non hai mai ricevuto un abbraccio dal tuo papà?"
"No", si passa una mano tra i capelli.
"Mi dispiace".
"Scusa".
"E per che cosa?"
"Non dovevo piangere, non dovevo farti vedere le mie emozioni".
"Tu e le tue emozioni me le devi far sempre vedere".
"Perchè?"
"Perchè si, sono tuo padre e devo sapere cosa passa per la testa a mio figlio".
"Papà", mi salta addosso e le sue braccia avvolgono il mio collo, io lo stringo forte a me.
"Të kam xhan". Non capii il significato della frase ma per rilassarlo gli passai varie volte la mano sulla sua piccola schiena.

|| Mio figlio|| MetamoroDove le storie prendono vita. Scoprilo ora