Capitolo due

1.1K 60 1
                                    

Aprii gli occhi e guardai il soffitto. Mi sentivo stordita, con la testa che ronzava. Mi ci vollero una manciata di secondi per ricordare della mia missione. Sgranai gli occhi, un po' intimorita, cercando comunque di mantenere il controllo delle mie emozioni, e mi sollevai a sedere.

Era primo mattino, e – come constatai amaramente – non riconoscevo quella camera da letto.

«Merda. Vuoi vedere che...-» mormorai, scalciando e liberandomi dalle coperte, scoprendo la triste verità. Ero totalmente nuda e, poggiato su una sedia vicino al letto, c'era un corpetto striminzito di pizzo nero, trasparente in alcuni punti, che lasciava poco spazio all'immaginazione.

Sbuffai, passandomi una mano tra i folti e un po' arruffati capelli biondi.

Ma non potevamo essere catapultati in un giorno qualunque della settimana, anziché un fine settimana? Dove diavolo sono? Non ricordo affatto questa stanza, e probabilmente non ricorderò neppure il tizio con cui ho passato la notte.

Forse... forse si chiamava Mike, o Mark... o forse Matt. Ma sì, quello che veniva al locale da settimane, solo per me... Comunque sia, è meglio che vada prima che torni. Spero non sia in cucina a preparare il cappuccino!
Meglio scappare dalla finestra...

Raccolsi in fretta e furia i miei tacchi a spillo e indossai il corpetto. Aprii l'armadio, affranta per non essere a casa mia e non poter usufruire dei miei vestiti. La mia vanità femminile mi costrinse a fissarmi per qualche secondo allo specchio, orgogliosa di vedermi bella e fresca all'età di ventotto anni – anche se ne dimostravo massimo venti - ma un rumore sul pianerottolo mi mise in allarme.

Mike, o Mark, o Matt stava salendo le scale. Afferrai la prima cosa che mi capitò tra le mani, ovvero un cappotto verdone scuro, che sperai mi coprisse alla bell'e meglio, e mi fiondai giù dalla finestra, lasciandola spalancata.
Creai appena in tempo una barriera morbida, di quelle che sembravano fatte d'acqua, almeno per attutire la caduta, e corsi in mezzo al vialetto, infilando il cappotto. Mi stava grande e mi copriva appena fin sotto il sedere. Insomma, non era difficile percepire che sotto non avevo né gonne e né pantaloni corti.

Che disastro, di male in peggio!

Certo che il destino mi era proprio avverso: quello non era certo il modo più serio e professionale di iniziare la missione più importante della mia vita, quella che avrebbe cambiato per sempre le sorti del mondo.

Il tizio dal nome dimenticato si affacciò alla finestra.

«Ehi, ma come hai fatto? Dove... Dove stai andando? Quello è il mio cappotto? Ci sono le chiavi del motorino! Ehi... ehi, Dolores!»

Dolores?! Ah, dev' essere il mio nome in codice al Night Club...

Dolores. L'avevo scelto perché uno dei miei romanzi preferiti era Lolita, la bambina smaliziata che aveva fatto perdere la testa a un uomo adulto. Okay, l'uomo adulto in questione aveva una strana inclinazione per le bambine di dodici anni, ma a me il romanzo piaceva comunque.

Quante cose avevo dimenticato...
Mi voltai verso la finestra, quasi con un senso di gratitudine. Sollevai curiosa il capo verso Mike, Mark o Matt che fosse, e gli sorrisi. Capelli neri, occhi azzurri. Niente male.

«Davvero ci sono le chiavi del tuo motorino? Oh, sì, grazie al cielo! Quest'oggi tu mi hai salvata!» esclamai a voce alta, stringendo i pugni e alzandoli come se avessi appena vinto una gara, o una guerra.

Infilai le mani nelle tasche del cappotto, e le piccole chiavi di metallo mi fecero sentire subito euforica.
Al posto dei vestiti avevo guadagnato un mezzo per spostarmi velocemente e dirigermi alla scuola per giovani mutanti. Purtroppo ero conscia che di tempo ne avevamo a disposizione ben poco, così saltai sul motorino di Matt – avevo deciso che questo doveva essere il nome dimenticato – e partii a tutto gas.

Durante il tragitto meditai su tutto ciò che stavo vivendo e che avevo vissuto prima di risvegliarmi nel 1973. Qualcosa nel piano di Kitty Pryde non era andato come previsto, e me n'ero resa conto immediatamente, appena avevo aperto gli occhi e mi ero ritrovata a fissare il soffitto di una camera da letto non mia.

Anche nel 1973, all'età di ventotto anni, mantenevo sempre attiva la barriera nella mia mente. Nonostante il trasferimento mente adulta-corpo giovane e viceversa mente giovane –corpo adulto, non riuscivo a prendere il pieno e assoluto controllo di me stessa. Gli echi e le riminiscenze della me più giovane e della sua mente, rimbombavano tra le pareti della mia mente adulta.

Probabilmente Charles l'aveva previsto. Non mi aveva forse detto: quando proverai rancore...?

Purtroppo lui non poteva far nulla. Poteva soltanto sostenermi, rafforzare le barriere che proteggevano la mia mente, ma non poteva avere alcuna voce in capitolo riguardo ciò che succedeva al suo interno, al di là delle barriere. Non ne aveva l'accesso. C'ero soltanto io, e gli echi del mio passato.

Spero di non comportarmi in modo immaturo, allora.

Ci speravo davvero, perché sapevo – e oltrettutto Charles aveva messo in guardia anche Logan – quanto lui fosse diverso all'epoca, quanto fosse difficile convincerlo ad aiutarci. Non dovevo perdere le staffe, non dovevo provare rancore a causa degli eventi passati e dovevo mostrarmi matura. Seria e matura com'ero diventata nel tempo, negli anni che passavano, seria e matura come Charles mi aveva rivista all'alba di quella nuova guerra.

Dovevo mettere da parte il passato. Non contava più. Non contava il fatto che fossi furiosa perché la nostra squadra era caduta in pezzi, perché avevamo combinato un casino dietro l'altro.

Raven se n'era andata con Erik, Erik era stato messo in una prigione di massima sicurezza, Charles non si era più realmente ripreso dall'abbandono di Raven, gli altri avevano preso la propria strada, fatta eccezione per Hank...

Io, piena di speranze e bisognosa di amici, li avevo visti sparire e annullarsi l'un l'altro, senza che se ne rendessero conto. Raven e Erik avevano voltato le spalle a me e Charles.

Ero stanca di vederlo soffrire perché per un errore dell'ex compagno di squadra non avrebbe più potuto camminare, ed ero anche stanca di vederlo soffrire per Raven. Ero furiosa per così tante cose... e della nostra squadra non era rimasto nulla se non un pugno di cenere.

E un pugno nel mio stomaco.
Che agonia, superare quel periodo. Ero rimasta alla scuola di mutanti per sei anni, poi ero andata via.
Non vi ero più tornata, non mi ero più mischiata nelle faccende di quei tre.
Professor Xavier, Magneto, Mystica.
Nemmeno gli altri, li avevo più rivisti. Havok, Banshee, Hank.
Me n'ero stata lontano da tutto e da tutti, fino a quando le Sentinelle non mi avevano quasi eliminato. Ero riuscita a sfuggire per miracolo e mi ero decisa a cercare i miei ex compagni di squadra, per combattere al loro fianco e sperare in un destino migliore.

Questo era stato il mio futuro e, adesso, io e Wolverine avevamo il potere di cambiarlo. Dovevamo farlo. Speravo di averne la forza, e – inconsciamente - che Logan ne avesse anche più di me.

|𝐓𝐡𝐞 𝐖𝐚𝐥𝐥| 𝘟-𝘮𝘦𝘯Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora