Capitolo undici

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- 1962 -

Eravamo all'aperto, io e Charles, poggiati ad un muretto durante una bella giornata di sole. In lontananza si vedeva un'enorme antenna parabolica, il prato era verde e gli uccellini cantavano. Era tutto perfetto, soprattutto perché ero lì da sola con lui.

Questa era la parte che mi piaceva di più dei miei allenamenti: il fatto che fossimo sempre da soli. Si trattava di esercitazioni mentali, dunque nessuno dei nostri compagni si prendeva la briga di venire a guardare. Certo, sarebbe stata una noia mortale, non era mica come guardare Hank sfrecciare per il viale che circondava la villa di Charles, o come spiare Alex e i suoi poteri catastrofici.

La cosa più divertente in assoluto, comunque, restava guardare Sean e i suoi voli giù dalla finestra. Facevamo sempre le scommesse su come sarebbe tornato di sopra: con le ali che gli stava progettando Hank, o con un mucchio di foglie in testa.

Charles mi sorrise, puntandosi due dita alla tempia.

«Sei pronta, Ivy? Sto per toccarti la mente».

Annuii. Quel giorno mi sentivo più determinata, più rilassata. Forse perché, finalmente, ero consapevole di essere davvero pronta. Non appena lui intensificò lo sguardo, io innalzai la barriera.

Ormai mi ersercitavo constantemente, qualsiasi cosa stessi facendo: mentre leggevo, mentre mangiavo, mentre giocavo e ridevo con gli altri. Ero diventata abile e veloce, e lui non fece in tempo ad insinuarsi nella mia mente che l'avevo già messa al riparo.

Strizzò gli occhi e tornò a fissarmi con quelle iridi dannatamente celesti.

Istintivamente il mio sorriso si allargò insieme al suo, pieno di soddisfazione.

«Sono fiero di te, Ivy! Sei diventata bravissima!»

«Grazie!» esclamai, e risi di felicità.

«A cosa pensavi questa volta? Le citazioni del tuo libro preferito, l'alfabeto al contrario o la filastrocca della buonanotte?» mi prese in giro, inarcando un sopracciglio e sorridendo.

Sì, beh, durante le esercitazioni precedenti non avevo trovato un'idea più brillante di quella che mi aveva fornito Raven.

Avevo continuato a pensare alle cose più disparate, a filastrocche o citazioni che conoscevo a memoria, e che quindi riuscivo a recitare velocemente, senza lasciare margine ai miei pensieri più intimi, quelli legati al nucleo più profondo della mia anima.

«In realtà non pensavo a niente di tutto questo. Pensavo semplicemente di essere pronta» ammisi, facendo un cenno affermativo col capo per rafforzare il concetto.

E pensavo che hai gli occhi più azzurri del cielo.

Lui mi passò un braccio attorno alle spalle, stringendomi a sé e dandomi un bacio sulla tempia. Chiusi gli occhi e mi beai di quel premio. L'avevo atteso a lungo! Avevo notato che tendeva ad essere dolce, comprensivo e affettuoso con noi ragazzi, e ci trattava come se fossimo la sua famiglia. Pacche sulle spalle, capelli scompigliati, strette di mano e abbracci calorosi non stonavano affatto, se arrivavano da lui.

Ci concedeva questi gesti come se fossero qualcosa di oltremodo naturale, puro, innocente. Era limpido, era sincero. Quegli occhi erano troppo chiari per poter conoscere la menzogna.

A volte mi chiedevo se nella sua vita avesse mai fatto qualcosa di scorretto per il gusto di farlo, e la risposta era sempre no.

«Adesso sei pronta al novanta percento».

Sgranai gli occhi, mentre ancora manteneva il braccio attorno le mie spalle.

«Perché? Cosa manca ancora?»

|𝐓𝐡𝐞 𝐖𝐚𝐥𝐥| 𝘟-𝘮𝘦𝘯Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora