Capitolo ventotto

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Quel mattino avevo raccolto i capelli in una treccia, avevo sistemato i ciuffi sul viso tirandoli indietro con un cerchietto, avevo indossato una camicetta smanicata bianca e abbinata ad un paio di pantaloni grigi. Ero abbastanza nervosa per la visita dei miei genitori o, per meglio dire, ero tesa e nervosa in quel periodo in generale. Alternavo momenti di allegria –come il bellissimo istante in cui avevo deciso di tornare alla dimora di Charles e lui era venuto ad accogliermi con un sorriso radioso sulla soglia- a momenti di puro nervosismo.

Se quelli erano i veri effetti e conseguenze della missione a Cuba, be', non ci avevo minimamente pensato. Credevo che avrei salvato il mondo con i miei amici conosciuti poche settimane prima e catapultati in quella missione suicida per conto del Governo, per poi tornare alla vita di tutti i giorni come se nulla fosse mai stato.

Che sciocca ero stata per pensare una cosa simile. Mi chiesi come se la stessero passando gli altri, se per loro sarebbe stato facile andare avanti con una pseudo normale vita. Con espressione assorta afferrai una fetta di pane tostato, e cominciai a spalmarvi sopra della marmellata alle arance.

Sollevai gli occhi chiari su Charles con finta indifferenza, che era seduto di fronte a me, e lo beccai a fare la medesima cosa. Mi sorrise un po' a disagio, forse sentendosi in colpa per essere stato scoperto a scrutarmi e sondarmi con il solo ausilio del suo intelletto e della sua perspicacia, ovviamente contro il mio volere.

Non disse nulla e nemmeno io parlai, anche se apprezzai internamente la visione. Stava molto bene quel giorno. Come tutti gli altri, in effetti. Il gilet blu scuro sotto il completo grigio gli donava parecchio, di sicuro avrebbe fatto un'ottima impressione sui miei genitori, non c'erano dubbi. Lui era capace di conquistare tutti, perfino i duri come Erik.

Avrebbe sorriso, avrebbe fatto un discorso alla Charles e mamma e papà sarebbero tornati a casa contenti e soddisfatti per me e per l'opportunità di portare avanti gli studi in quella nuova scuola. Per qualche strana ragione il cuore batté più forte.

Sono una codarda. Una parte di me teme –che so- che a mio padre non convinca questa scuola e mi costringa a tornare a casa e scegliere un normale college. Proprio ora che sono riuscita a tornare qui, che posso di nuovo restare assieme a Charles... non voglio andarmene. Io voglio restare qui con lui...

Mi morsi un labbro, inquieta, e mi arrischiai a spiare di nuovo Charles.

Ancora una volta, mi stava già fissando anche lui.

Hank entrò in quel momento, salvandomi da quel vago senso di imbarazzo che stavo iniziando a provare. Notammo che aveva sembianze umane, contro ogni nostra aspettativa.

«Buongiorno».

«Hank, hai perfezionato il siero?!»

Charles colse subito la palla al balzo per intavolare una conversazione.

«Buongiorno, Hank! Sarà per questo che ti sei svegliato più tardi del solito, questa mattina?»

Hank, leggermente spettinato e con la cravatta un po' storta –doveva essersela annodata con un occhio ancora chiuso- si diresse verso la macchina del caffè.

«Già, questa notte mi sono coricato molto tardi. Ho provato ad analizzare di nuovo il siero per apportarvi le giuste modifiche, ma è un altro buco nell'acqua. Non so quanto durerà l'effetto, questa volta, dunque sparirò il prima possibile. Eppure so di essere vicino alla soluzione, devo solo trovare il fattore giusto...»

Inarcai un sopracciglio, divertita.

«Nuova discussione da cervellone tra tre, due, uno... -»

«Ah-ah. Simpatica».

Charles si mosse sulla sua sedia a rotelle, allontanandosi dal tavolo.

«I tuoi genitori stanno arrivando, Ivy, riesco già a sentire i loro pensieri. Possiamo nutrire buone speranze: tua madre è rimasta incantata dall'esterno e dal cortile» disse divertito, mentre io sgranavo gli occhi e abbandonavo la fetta tostata dopo averle dato solo un misero morso. Mi alzai rischiando di rovesciare la sedia e lo seguii, tormentandomi le mani.

«Assicurati di farle vedere il laghetto!» gli urlai dietro.

Riabbracciati i miei genitori, cercai di mantenere il sorriso per tutto il tempo, intervenendo durante le spiegazioni di Charles circa il suo progetto di aprire una scuola che avrebbe accolto numerosi ragazzi mutanti, mostrandomi entusiasta all'idea. Mentre lui e mio padre discutevano sul cosiddetto gene mutante, io mostrai a mia madre la mia stanza, portandola al piano di sopra dove si trovavano quelli che sarebbero stati i dormitori.

«Allora, che te ne pare?»

«Questa non è una villa, è una reggia».

«Vero. Vivere tra queste mura, tra gente come me, è quanto più desidero al mondo» ammisi. Mia madre abbassò un po' il capo. Mi sembrava un po' triste e me ne dispiacque.

«Mamma, cos'hai?»

«Niente, è solo che questa dimora è bellissima, molto più grande e bella di casa nostra. So che qui farai tante nuove amicizie, e che ti troverai bene con ragazze e ragazzi della tua età che possono farti sentire parte di una famiglia, ma... non dimenticare che anche noi siamo la tua famiglia. Non vorrei che sentissi di poter essere compresa soltanto qui. Forse io e tuo padre non possiamo capire davvero cosa significhi essere un mutante, ma faremmo qualsiasi cosa per te».

Mi morsi un labbro, imponendomi di trattenere le improvvise lacrime che pungevano fastidiosamente agli angoli degli occhi.

«Mamma... verrò a trovarvi spesso, e sappi che apprezzo molto che tu e papà mi stiate dando la possibilità di restare qui e imparare a controllare i miei poteri» dissi, abbracciandola.

Uscimmo dalla stanza e ci ricongiungemmo a Charles e mio padre, che stavano fermi in mezzo al salone principale e parlavano ancora del gene mutante –probabilmente Charles gli stava rifilando la sua intera tesi al college- raggiunti da Hank. Finimmo di scendere le scale, mentre tutti e tre sollevavano il capo verso di noi.

Mi scambiai uno sguardo con Hank e sorrisi.

«Mamma, lui è Henry "Hank" McCoy, un vero genio e un mio grande amico».

Hank abbassò per un attimo lo sguardo da sotto le lenti degli occhiali, prima di stringere la mano a mia madre, che gli sorrise cortesemente.

«Piacere, io sono Margaret».

«Piacere mio, signora Anger».

Mio padre mi lanciò un'occhiatina curiosa prima di rivolgersi a mia madre.

«Meg, il signor Xavier-»

«Charles, vi prego, va bene solo Charles».

«D'accordo. Charles mi stava dicendo di come la mutazione sia il passo successivo nell'evoluzione dell'uomo».

Charles annuì prontamente.

«La mutazione ci ha portati da organismi monocellulari alla forma di vita riproduttiva dominante su questo pianeta. Adesso forse ancora non viene del tutto compreso, ma come l'uomo di Neandertal si è evoluto nell'homo sapiens, così al giorno d'oggi la mutazione continua a fare il suo corso, passo dopo passo, sempre in avanti, sempre proiettata in un futuro che ancora non possiamo vedere, ma che grazie a persone come Ivy possiamo già immaginare» rincarò, guardando mia madre e sorridendole con fare rassicurante.

|𝐓𝐡𝐞 𝐖𝐚𝐥𝐥| 𝘟-𝘮𝘦𝘯Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora