Capitolo ventuno

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- 1973 -

Ero in salotto, intenta a guardare fuori dalla finestra. Non stavo osservando il paesaggio, ero semplicemente assorta nei miei pensieri. Qualcuno bussò alla porta, nonostante fosse stata lasciata aperta. Mi voltai, incrociando lo sguardo di Charles.

«Cosa vuoi...» borbottai, stanca. Non volevo litigare, non volevo arrabbiarmi. Non volevo soffrire. Lui entrò nella stanza. Pensai si sedesse sul divano, o sulla poltrona, e invece di fermò al centro del salotto. Mi tese una mano, chiedendomi silenziosamente di raggiungerlo. Sospirai sonoramente, ma obbedii. Non gli strinsi la mano, però. Mi limitai ad incrociare le braccia sul petto e a guardarlo carica d'attesa, ostentando un'espressione imbronciata.

«Non posso smettere di prendere quel siero».

Inarcai un sopracciglio.

«Sì, questo l'ho capito».

«Se smettessi di prenderlo, non potrei più fare questo» disse, e mi ritrovai tra le sue braccia, mentre mi sollevava da terra come una sposa. Un forte senso di déjà-vu mi strinse lo stomaco in una morsa di nostalgia, e le mie mani corsero - come allora - ad allacciargli il collo. Ricordai quel lontano giorno in cui mi aveva presa in quel modo per qualche secondo, i suoi occhi chiari e limpidi accesi di una luce giocosa e un sorriso allegro a illuminargli il volto. Adesso quegli occhi erano disperati, malinconici, dolci, ma sempre dolorosamente belli.

Mi rimise giù, e si allontanò verso il giradischi, scegliendo un vinile e facendolo partire.
Io intanto stavo ancora cercando di ritrovare il mio equilibrio interiore, perché il pavimento improvvisamente non era più stabile, le mie gambe non erano più ferme e sicure, e il centro di gravità sembrava reclamarmi con maggior forza.

Quando le note di It's five o'clock riempirono la stanza, Charles tornò di fronte a me, poggiò le mani sui miei fianchi e mi attirò a sé.

«E non potrei più farti ballare» mi sussurrò in un orecchio.

Ci muovemmo lentamente, legati, vicini. Qualche lacrima sfuggì dalle ciglia, mentre sollevavo lo sguardo fino a raggiungere il suo, ma non me ne vergognai. Mi sentivo come se quei dieci anni non fossero mai passati e, quei cinque lontani, mai vissuti. Come se avessi ancora diciassette anni, e stessi ballando con lui dopo quella missione per conto del governo, così come mi aveva promesso.

Gli accarezzai piano una guancia. La barba mi solleticava un po' il palmo.

Poi insinuai la mano tra i suoi capelli, con dolcezza. Le mie dita scendevano di nuovo a tratteggiargli dal lobo delle orecchie alla mascella.

«Ti prego, torna in te... mi manchi...» ammisi in un sussurro.

Anche lui aveva gli occhi lucidi, mentre si chinava verso di me e sfiorava le mie labbra con le sue. Mi lasciai andare completamente. Lasciai che mi baciasse, lo baciai, lo strinsi a me, mi feci stringere. C'eravamo soltanto noi, e mi sembrava la cosa più giusta del mondo.

«Ricordi com'eravamo felici?» mi domandò.

Non risposi, ma altre lacrime scivolarono giù.

Adesso era lui ad accarezzarmi il viso.

«Perché te ne sei andata...»

Questa volta attesi qualche secondo, prima di rispondere, per essere certa che la voce non mi tremasse.

«Credevo che tu non lo fossi... per via di Raven. Eri sempre triste per lei».

Sospirò, e mi strinse le mani.

«Per me è stato come perdere una sorella... noi eravamo qualcos'altro. Qualcosa di diverso»
Logan ed Hank irruppero nella stanza.

«Ci sono novità!» esclamò l'ultimo, per poi bloccarsi e guardarci sorpreso. Anche Logan aveva assunto un'espressione simile. Insomma, ci avevano beccati al centro del salotto, a una spanna dal viso l'uno dell'altro, a parlare sommessamente con una melodia romantica in sottofondo. 

Charles aveva gli occhi lucidi e io le guance ancora bagnate di lacrime. Ci staccammo imbarazzati. Mi asciugai il viso con il dorso della mano, mentre Charles chiedeva a Hank di togliere il vinile, dal momento che era il più vicino al giradischi.

Quando il silenzio tornò sovrano, Logan prese la parola.

«Dopo quello che è successo a Parigi, hanno deciso di approvare il progetto Sentinelle. La presentazione ufficiale del progetto si terrà alla Casa Bianca. Siamo nei guai».

Hank annuì, per poi aggiustare gli occhiali da vista con un gesto frettoloso.

«In più sappiamo che hanno preso un campione del sangue di Mystica, ricavandolo dal DNA lasciato sul proiettile».

Mi coprii la bocca con le mani.

«Quindi non c'è nulla che possiamo fare?»

Lui si strinse nelle spalle.

«Probabilmente quel singolo campione è troppo poco per poter potenziare le Sentinelle e farle diventare ciò che saranno poi nel futuro. Però è un inizio...»

Charles puntò le mani sui fianchi.

«Inoltre Raven non ha ancora ucciso Trask, e niente ci assicura che non tenti di nuovo di farlo».

«Rischiando così di farsi anche catturare...» sospirai.

Logan annuì.

«Dobbiamo trovarla a tutti i costi, e farla desistere da quest'idea».

Charles però non ci ascoltava più: aveva cominciato a tastarsi una tempia, mentre serrava le palpebre. Un rantolo gli sfuggì dalle labbra.

«Hank... il siero...» farfugliò. Le gambe cominciarono a tremare, e lui non riusciva quasi più a reggersi in piedi. Logan cercò subito di aiutarlo, ma Charles si era già lasciato scivolare con il sedere per terra e la schiena poggiata contro il divano. Adesso si reggeva la testa con entrambe le mani. Mi inginocchiai di fronte a lui, preoccupata.

«Stai bene?»

«No... la testa mi scoppia... le loro voci, il loro dolore... aargh!» continuava a lamentarsi. Hank tornò con il siero, e io gli bloccai il braccio.

«Ti prego, no! Charles...»

«Non può farne a meno, Ivy... » si giustificò Hank, ma anche Logan mi diede manforte.

«Charles, se accetti i tuoi poteri... potremo trovare Mystica. Questo è il momento di scegliere».

«Io non ci riesco...»

E aveva già la siringa tra le mani.

Il cuore mi batteva a mille.

Logan continuava a parargli.

«Cerca di ragionare, Charles... aiutaci, il futuro è nelle nostre mani, e abbiamo bisogno di te. Fa' quello che faresti nel futuro. Fra cinquant'anni sarai lì aguidarci. Se Ivy è qui, in questo momento, è solo grazie a te».

Mi sporsi verso di lui.

«Fa' quello che avresti fatto anche nel passato! Ci avresti guidato, ci avresti dato forza... ci avresti detto: è la tua mente che controlla il tuo potere, non il contrario. E ricorda, sei tu che controlli la tua mente».

Lui fece dei grandi respiri, guardò ancora il siero, e alla fine poggiò la siringa sul pavimento.
Era spossato, le voci nella sua testa dovevano sfinirlo, ma annuì.

«Troviamola. Useremo Cerebro».  

|𝐓𝐡𝐞 𝐖𝐚𝐥𝐥| 𝘟-𝘮𝘦𝘯Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora