Capitolo trentuno

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L'attrezzatura per la palestra, la cosiddetta "Danger Room", non era ancora pronta, così mi stavo allenando con Hank in giardino, approfittando delle giornate sempre più lunghe e calde. Eravamo impegnati in uno scontro già da un pezzo, ma sebbene cominciassi a sentirmi un po' stanca –non avevo mica la resistenza della bestia, io- non avevo voglia di smettere e di fermarmi.

Ultimamente gli allenamenti erano diventata l'unica cosa che mi rilassavano davvero: un buon modo per sfogarsi, e poi c'era tutta la faccenda delle tossine che il corpo rilasciava dopo uno sforzo fisico. La spiegazione scientifica chiedetela ad Hank, io avevo capito solo che si trattava delle stesse tossine rilasciate da un abbraccio.

Hank fece un enorme balzo, avventandosi su di me, che di rimando tesi entrambe le braccia in avanti e creai immediatamente una barriera respingente. Percepii l'urto delle sue zampe sulla superficie, facendomi stringere i denti e indietreggiare. Quando lui si diede la spinta per balzare di nuovo all'indietro, finii con il sedere per terra.

Si avvicinò tendendomi una mano, che però rifiutai, rimettendomi in piedi da sola.

«L'allenamento non è ancora concluso, e tu ci vai troppo piano con me!»

«È un allenamento, non uno scontro all'ultimo sangue».

«Presto, presto, sono pronta» tagliai corto io, ripartendo all'attacco. Mi difesi quasi a trecentosessanta gradi correndogli incontro, con le braccia incrociate a forma di X. «Non trattenerti! Libera la bestia che è in te!»

Raggiunto Hank annullai per un attimo la barriera, sferrandogli un calcio a gamba tesa. Lui fu più veloce di me: mi afferrò la gamba e la usò per lanciarmi in aria.

«Non trattenersi, eh? Va bene!» ringhiò, gettandomi verso il lago. In qualche istante in cui vidi cielo-verde-cielo-acqua, eressi una barriera sotto di me, alla quale mi aggrappai per non finire a mollo. Con la coda dell'occhio lo vidi balzare verso di me. Dovevo essere veloce, non potevo fronteggiare un altro suo attacco diretto. Era troppo forte da respingere e mi avrebbe fatto di certo ruzzolare nel lago sottostante. Dovevo coglierlo di sorpresa, lui probabilmente credeva che avrei creato una barriera respingente per proteggermi come avevo provato a fare poco prima.

Tesi subito una mano e ne innalzai una a distanza, anche se mi prosciugava le energie. Lui sgranò gli occhi, poiché non si aspettava quella mossa. Cercò di pararsi dall'urto come meglio poté, senza però riuscirci. Lo vidi finire in acqua e sorrisi vittoriosa. L'attimo dopo però la mia barriera sulla quale sostavo si infranse –non riuscii più a mantenere la concentrazione necessaria, richiedeva troppa energia che io avevo già consumato per quella a distanza- e feci un tuffo anch'io.

Hank fu il primo a riemergere, sputacchiando acqua.

«Sei spregevole!» esclamò, mentre anch'io tornavo in superficie, schiacciandomi i capelli bagnati sul capo affinché non mi grondasse troppa acqua sul viso e negli occhi.

«Scusa, mi faccio un po' prendere la mano durante i nostri allenamenti. Fantastico lancio, però».

«Ottima mossa anche la tua».

«Torniamo ad allenarci sulla terraferma?»

«Decisamente».

Mi aggrappai alle sue spalle blu e mi lasciai trascinare verso la sponda, in poche bracciate. Tornammo con i piedi sulla terra e io mi strizzai i capelli, passandomi poi le mani sul volto per asciugarlo. Guardai Hank di sottecchi, trattenendo una risatina quando lo vidi scuotere velocemente il capo, come un cane, schizzando goccioline d'acqua un po' ovunque.

«Riprendiamo?» domandai, e lui fece un cenno col capo.

«Questa volta non ci andrò piano!» disse, mentre un angolo delle labbra si alzava in modo sfrontato. Corse in avanti e nemmeno feci in tempo a parare il colpo: mi scagliò lontano. Era sicuro che avrei eretto una barriera di lì a poco, ma avevo dimenticato di dirgli che quella a distanza di poco prima mi aveva prosciugato tutte le energie. Provai ugualmente a crearne una respingente, ma si infranse dopo pochi istanti. Finii contro un albero, sbattendo sui suoi rami e scivolando per terra.

«Ivy!» urlò, raggiungendomi a grandi balzi. Gemetti, sentendomi dolorante un po' dappertutto: la schiena, le braccia, le gambe... qualche ramo doveva anche avermi graffiato la pelle a giudicare dal bruciore che percepivo. Mi voltai su un fianco, stordita, e vidi Charles avanzare verso di me da uno dei vialetti della scuola. Aveva un'espressione seria e dispiaciuta che gli avevo visto poche volte.

«Si può sapere che state facendo?»

Hank intanto mi aveva raggiunto, si era fermato accanto a me aiutandomi a mettermi in piedi.

«Sono un vero idiota. Stai bene?»

«Sì, sto bene, è stata colpa mia-»

«No, non stai bene. È evidente che non stai bene» si intromise Charles, guardandomi intensamente con i suoi occhi azzurri.

Oh, no.

«Hank, per favore, potresti lasciarci da soli?»

«Certamente» annuì, evitando di guardarmi. Si allontanò con finta indifferenza, e non potei fare altro che sospirare. Mi sedetti in ginocchio, pronta alla ramanzina.

«Mi farai una paternale?»

«No, non credo che sia quello che tu voglia».

E come puoi sapere quello che voglio davvero... è qualcosa che non potrei mai avere da te.

«Ivy» richiamò la mia attenzione, sporgendosi un po' verso di me dalla sua sedia a rotelle. Mi obbligai a sostenere il suo sguardo, sperando che il mio non diventasse lucido troppo presto.

«Perché sei così imprudente?»

Mi strinsi nelle spalle senza rispondere.

«Non posso leggerti nella mente, ed è giusto così, ma vorrei che tu ti aprissi con me, che mi parlassi. Io sono qui per te» disse con un tono rassicurante, tendendomi una mano. Quell'affetto poteva soltanto farmi più male, quando ci avrei ripensato la sera nel mio letto. Eppure, da perfetta masochista, tesi il mio braccio fino a raggiungere quella mano, stringerla e sentirne tutto il calore.

|𝐓𝐡𝐞 𝐖𝐚𝐥𝐥| 𝘟-𝘮𝘦𝘯Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora