Capitolo trentasette

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Betsy aveva mantenuto la promessa, un mattino aveva fatto la sua comparsa davanti i cancelli della Scuola per giovani dotati di Charles Xavier, come adesso recitava la targhetta all'entrata, e Charles le aveva fatto fare il giro della scuola e spiegato come si sarebbe svolta la vita quotidiana da lì a breve. Alcuni salotti erano stati adibiti ad aule, con enormi lavagne e banchi, altre avevano dei laboratori per le materie scientifiche, oltre ad una palestra, una mensa –la cucina sarebbe stata troppo piccola per il numero di studenti che la mansione avrebbe potuto ospitare- e i dormitori al piano di sopra.

Molte stanze erano state completamente riarredate, trasformandosi in camere da letto comode e funzionali. Betsy era rimasta positivamente colpita da quanto aveva visto, ma pareva ferma sulla sua idea di non voler unirsi alla combriccola e restarsene sulle sue, cercare forse altre strade.

Ad ora di pranzo l'avevo portata con me a mangiare nel cortile, ottimo luogo per fare un pic-nic. Non avevamo mai preso confidenza a scuola, quindi non riuscivo a trovare granché da dire, fatta eccezione per le banalità sul tempo, o gli elogi alla scuola. Addentai il mio tramezzino, guardandomi intorno, ma fu lei a spezzare l'ennesimo momento di silenzio.

«Tieni molto al professor Xavier» constatò.

«Sì, è vero. Lui è venuto a cercarmi e mi ha offerto un'alternativa. Qui ho la possibilità di vivere una vita migliore di quella che portavo avanti a casa mia e nel nostro liceo. Adesso l'apertura della scuola per giovani mutanti è imminente, il posto è sistemato –e ti assicuro che per me ed Hank è stata una vera faticaccia aiutare il professore a renderlo funzionale allo scopo- e il professore ha già rintracciato dei docenti. Inoltre sta scovando con Cerebro i possibili studenti, dopodiché andremo a far visita nelle loro case».

«E secondo voi saranno tutti disposti ad ascoltarvi?»

«Il professore sa sempre dire la cosa giusta. È strabiliante» ammisi, sorridendole.

«Sì, tieni molto al professor Xavier» ribadì, usando questa volta un tono molto più eloquente.

«Che intendi dire?» chiesi, mettendomi istintivamente in guardia, come se mi sentissi smascherata, come se mi avesse appena letto nella mente. Betsy diede un morso al suo tramezzino e si passò il dorso della mano contro la bocca, rispondendo senza guardarmi.

«Io sono diventata una mutante poco prima l'inizio del primo anno di liceo. All'epoca non avevi quella barriera nella testa, quindi ho subito scoperto che eri una mutante anche tu. Forse è per questo motivo che ti ho osservata a lungo, che ti osservavo sempre durante le nostre lezioni. Il modo in cui ti comportavi, fingendo di essere come tutti i nostri compagni, e quello che poi realmente pensavi nella tua mente. Non hai mai fatto un solo pensiero speciale verso qualcuno dei nostri compagni, nemmeno sui ragazzi più popolari della scuola. Era come se ti sentissi parte di un altro mondo. Non ti ho mai visto guardare nessuno di loro nel modo in cui guardi il professor Xavier. Lui ti ha cambiata, è come se ti avesse dato uno scopo, un senso alla tua esistenza».

Distolsi lo sguardo, chiedendomi se davvero fossi così trasparente. Un po' inutile la mia barriera, se anche Charles guardandomi poteva leggere sul mio volto le stesse cose che stava leggendo Betsy. Decisi di cambiare discorso per non sentirmi vulnerabile ed in imbarazzo.

«Se hai sempre saputo che fossi una mutante, per via della tua telepatia, perché non mi hai mai detto niente? Mi osservavi ma non ti sei mai avvicinata. Avremmo potuto condividere il nostro segreto e diventare amiche».

Lei inarcò le sopracciglia con fare divertito.

«Condividere lo stesso destino, consolarci a vicenda... nah, non fa per me» commentò, storcendo il naso.

«Sei un lupo solitario».

«Più o meno. Comunque mi ha fatto piacere visitare questo posto, anche se non resterò qui. Però è una bella scuola, e i vostri intenti sono nobili. Addio, Ivy Anger» disse, alzandosi in piedi e sfregando le mani l'una contro l'altra, per liberarsi dalle ultime briciole.

Mi alzai anch'io, indecisa se porle una domanda o meno.

«Betsy, l'altra sera hai detto a Charles di aver visto nella sua testa qualcosa di cui era meglio non parlare. Di cosa si trattava?»

Lei fece un sorriso malizioso, facendomi sentire un po' in colpa.

«Non è onesto mettersi una barriera nella mente e poi cercare di scoprire cosa si cela in quella di qualcun altro».

«Lo so... ma immagino che per te sia inevitabile sentire i pensieri altrui, quindi-»

«Tu non hai idea di che onere sia un potere come la telepatia. Camminare in mezzo a un corridoio affollato e sentire i pensieri di tutti. A volte si può provare a chiudere la mente, ma non è sempre facile, e la maggior parte delle volte siamo costretti a vedere tutte le vulnerabilità delle persone. A tratti diventa patetico. Potresti distruggere una persona captandone le emozioni, le più segrete paure e i più nascosti pensieri».

Incrociai le braccia sul petto, pensando a Charles, mentre lei continuava a parlare.

«Non ne conosco il motivo, non conosco te, non conosco lui né cosa ci sia fra voi. So soltanto che stava guardando te e il tuo amico blu mentre ballavate, e immaginava di essere al suo posto».

Il cuore cominciò a battere all'impazzata, mentre mi coprivo la bocca con una mano.

«N-no, non può essere così...»

Betsy si strinse nelle spalle.

«È quello che ho visto. E quanto alle percezioni... mi è parso tutto molto malinconico. Un rimpianto, quasi, se così possiamo dire. Riflettici su. Addio, Ivy».

«Addio...»

Dovetti sedermi di nuovo sull'erba per assimilare quelle parole, intontita com'ero improvvisamente diventata e con un immenso stupore. Per quanto cercassi di restare razionalmente con i piedi per terra la mia fantasia aveva cominciato a galoppare freneticamente.

Se solo Raven fosse qui!

Oh, Charles... che cosa significa...

|𝐓𝐡𝐞 𝐖𝐚𝐥𝐥| 𝘟-𝘮𝘦𝘯Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora