Ovviamente mi ero sbronzata e, purtroppo, alla fine, Charles se n'era accorto. Stavo passando davanti al bancone per dirigermi alla toilette, e lui mi aveva bloccata per un braccio. Aveva interrotto la gradevole conversazione con l'altra donna, per esternarmi la sua disapprovazione.
All'inizio avevo abbassato gli occhi, poi me n'ero stata in silenzio a osservare la sua camicia bianca dal colletto sbottonato, abbinata ad un gilet nero. Infine avevo commesso il madornale errore di puntare gli occhi sulla donna. Era bella, e mi guardava con sufficienza, come se fossi soltanto una ragazzina innocua. Di nuovo mi ero sentita arrabbiata e gelosa, e avevo cominciato a dire cose poco carine, che da sobria non avrei mai detto, come ad esempio: «Non farmi quella faccia delusa, adesso!» e «Scusami tanto, papà, ma non ti ho disubbidito. Zio Erik mi ha dato il permesso!»
Alla fine, la donna s'era spazientita e l'aveva piantato in asso, allontanandosi. Lui aveva continuato a rimbrottarmi dicendo cose tipo «Ma perché ti stai comportando così? Eri così contenta, quando siamo arrivati! Non è da te, sono davvero deluso.» oppure «Non voglio sembrarti pesante, ma-»
«Lo sei!»
Mi ero allontanata dal bancone e lui si era zittito, lasciandomi forse il tempo di sbollire in pace. Quegli occhi chiari già mi stavano facendo sentire in colpa...
Verso le due di notte, tornammo a casa. Il viaggio in macchina era stato silenzioso, e questa volta avevo preferito restare con Erik.
Se n'erano tutti andati a letto, tranne me che me n'ero stata in salotto a sfogliare un libro, senza leggerlo davvero. Non avevo voglia di andare di sopra a dormire, i sensi di colpa mi stringevano lo stomaco, e inoltre la sbornia era passata, lasciandomi ritrovare la lucidità. Ero stata scortese con lui e me ne rammaricavo. Gli avevo dato del papà, del pesante, quando lui voleva solo proteggermi. Però non volevo che lo facesse, non volevo che si prendesse cura di me in quel modo, come si fa con una sorellina più piccola.
Passeggiavo a piedi nudi per la stanza, sospiravo, mi massaggiavo il collo e sgranchivo la schiena, esitavo, sentivo il cuore battere come un matto, ma non sarei andata a letto fino a quando non avessi trovato il coraggio di chiedergli scusa. Lui era in cucina con Erik, li sentivo chiacchierare e discutere sull'imminente missione, sulla Terza Guerra Mondiale che il Club Infernale stava cercando di scatenare, e sulle strategie migliori da adottare.
Alla fine, anche Erik si era congedato. Non appena sparì per il corridoio, non mi permisi di indugiare oltre e sgattaiolai verso la cucina. Mi fermai sulla soglia, poggiandomi allo stipite della porta. Charles era seduto al tavolo, di fronte a me, intento a versarsi un bicchiere d'acqua. Sollevò lo sguardo.
«Che ci fai ancora in piedi, a quest'ora?»
Aveva parlato senza dare un'intonazione particolare alla voce, che potesse esprimere rancore o rimprovero. Mi tormentai le mani. perché era così difficile chiedere scusa? In fondo erano soltanto poche parole...
«Ecco, io... » mi schiarii la voce «Mi dispiace. Mi dispiace per tutto. Non volevo disobbedirti, non volevo dirti cose che non pensavo davvero e non volevo nemmeno che la donna con cui stavi passando la serata se ne andasse».
In realtà, per quell'ultimo particolare mi ero anche sentita un po' sollevata, ma non era il caso di farglielo sapere. Lui rimase per qualche secondo in silenzio, intento a fissare il bicchiere che aveva riempito ma che ancora non beveva. Poi annuì, serio, ripuntando lo sguardo su di me. Reggerlo era una punizione più che sufficiente. Per qualche stupido motivo, mi assicurai che la barriera mentale fosse ben eretta, anche se in fondo lo sapevo che non mi avrebbe frugato nella mente senza permesso.
«D'accordo, nessun problema. Va' a riposare adesso, sarai stanca».
«Mi dispiace per aver agito da immatura».
Gli occhi mi si riempirono di lacrime. Mi vergognai di me stessa: per quanto cercassi sempre di mostrarmi a lui come una donna, finivo sempre per essere infantile. Ci mancava soltanto il pianto!
«Non ricapiterà più... Beh, è vero che dopodomani sarà tutto finito, ma se capiterà di rivederci, qualche volta...» non riuscii a terminare la frase, perché scoppiai a frignare e mi coprii il volto con le mani. Quelle due settimane erano state meravigliose, mi ero abituata ad avere Charles e i miei amici sempre intorno. Sapere che tutto si sarebbe concluso, mi faceva star male.
Lui sembrò intuire questo mio malessere, così si alzò dal tavolo e si fece più vicino. Mi passò un braccio attorno le spalle e mi strinse a sé, stampandomi un bacio sulla fronte.
«Ehi, non è finito proprio un bel niente, intesi? Io aprirò una scuola... potrete venire ogni volta che vorrete, anzi, potrete restare qui... la mia casa sarà sempre aperta per voi» mi consolò. «Dai, bevi un po' d'acqua, smetti di piangere».
Però, invece di bere, gli circondai il torace con le braccia e ci nascosi il viso. Mi lasciò fare, non si spostò, né sciolse l'abbraccio. Alla fine, quando il pianto si fu calmato, mi allontanai dal suo petto. Lui mi sorrise, mi strinse un braccio e mi fece fare una giravolta.
«Non ho dimenticato la promessa. Appena sarà tutto finito, ti porterò a ballare come si deve!»
Il cuore aumentò il suo battito.
STAI LEGGENDO
|𝐓𝐡𝐞 𝐖𝐚𝐥𝐥| 𝘟-𝘮𝘦𝘯
Fanfiction|Completa| «Sei Ivy Anger, vero?» domandò l'uomo alla mia sinistra, e riconobbi subito il tono di voce, quello che esattamente qualche secondo prima era stato nella mia testa. Annuii confusamente col capo, incrociando il suo sguardo. Due dita erano...