Capitolo ventiquattro

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Non ero sicura che tornare a casa fosse la scelta giusta. Ma cos'altro avrei dovuto fare? La missione a Cuba per conto del Governo si era ormai conclusa, non sarei mica potuta restare sul serio a casa di Charles... Forse voleva davvero crearci una scuola, ma per adesso restava soltanto la casa di Charles, lui era un uomo ed io una ragazza. Minorenne, per giunta.

Non era mica facile com'era stato per Raven, che non aveva nessun altro al mondo se non lui. Io avevo una famiglia, e anche se per quelle due settimane Charles aveva fatto in modo che si dimenticassero di me, io non potevo dimenticarmi di loro.

E poi... tutto era cambiato. Alex era tornato a casa, Sean anche. Raven era andata via con Erik e alcuni membri del Club Infernale -ciò che ne rimaneva, ovviamente- ed Hank era stato l'unico a decidere di restare. Scelta per lui piuttosto scontata, essendo diventato blu e peloso.

Stavo guardando passivamente il paesaggio dal finestrino dell'auto che mi stava riportando a casa, un tragitto così familiare che tuttavia mi lasciava addosso una sgradevole sensazione di nostalgia mista a disagio e paura. Avrei dovuto affrontare i miei genitori un giorno o l'altro, avrei dovuto dirgli la verità circa la mia natura mutante e i miei poteri.

Devi girare qui, Hank.

«Devi girare qui» mi anticipò Charles, seduto accanto a Hank. Sapevo che non aveva usato la sua telepatia, non poteva farlo con me, dato che avevo risollevato la barriera nella mia mente. Dopo quel tragico, disastroso evento durante il quale essa era miseramente crollata in un trilione di frammenti, io avevo deciso ancora una volta di risollevarla. Forse non ce n'era più un vero motivo, insomma, Charles mi aveva già letto nella mente e aveva scoperto dei sentimenti che nutrivo per lui, ma ormai era qualcosa di cui non riuscivo più a fare a meno.

Una forma di protezione a cui non potevo rinunciare.

E poi, solo perché Charles aveva sentito i miei pensieri assorbendone le emozioni che ne scaturivano, non voleva dire che dovessi continuare a rendergli noto quanto la mia testa fosse affollata da immagini di lui.

I suoi occhi azzurri mi cercarono attraverso lo specchietto retrovisore, ed io fui sicura che mi stesse sorridendo.

«Siamo quasi arrivati, Ivy. Come ti senti?»

Un rottame. Stanca. Disagiata.

«Bene!»

Parlai con fin troppa enfasi, smascherandomi da sola.

«Benino. Ho un po' paura, ecco.»

«È perfettamente normale, ma non devi averne, andrà tutto per il meglio.»

«Lo so...»

Non aggiunsi altro, perché la sagoma di casa mia fu ormai visibile, facendomi morire in gola tutte le parole. Il cuore aveva cominciato a battere come impazzito. Stavo davvero per rivedere mia madre e mio padre? E sul serio stava finendo tutto? Esitai tra me e me, muovendomi tesa sul sedile di dietro. L'auto rallentò fino a parcheggiarsi e con essa mi parve si potesse fermare anche il cuore, da un momento all'altro.

«Ci siamo» commentai, cercando di risultare il meno terrorizzata possibile. Hank sorrise con fare un po' nervoso. Non gli piaceva molto uscire di casa con quell'aspetto, anche se Charles si premurava di manipolare la mente di chi era intorno per fare in modo che apparisse come un essere umano.

«Coraggio, Ivy. Ci rivedremo presto».

Charles picchiettò le dita sul cruscotto.

«Potrai tornare ogni volta che vorrai, te l'ho detto. E quando la mia scuola sarà pronta potrai trasferirti da me. Da noi» si corresse subito, schiarendosi la voce, come a non voler far risultare quella frase più intima di quanto già non sembrasse.

Annuii, aprendo la portiera e scendendo dall'auto mentre Charles abbassava il finestrino. Mi passai una mano tra i lunghi e ondulati capelli biondi, cercando di spiare attraverso le finestre di casa mia. Niente sarebbe mai stato più lo stesso e lo sapevamo tutti e tre.

Okay, sono coraggiosa. Ho scongiurato il pericolo di una terza guerra mondiale, ho sconfitto tutta da sola un membro del Club Infernale, ho persino cercato di mettere i bastoni tra le ruote a niente meno che Erik Lehnsherr. Adesso devo solo far finta di essere tornata dalla discoteca dove mi hanno trovata Charles ed Erik. Grazie ad una manipolazione mentale di Charles, nella loro mente sarà passato soltanto un giorno, quindi dirò di essermi fermata a dormire da un'amica. Inizierà così un nuovo giorno, uno come tanti altri, come se queste settimane non fossero mai esistite.

«Charles, ho paura».

«Lo so, Ivy, credimi. Però sono sicuro che te la caverai benissimo. E poi non dovrai necessariamente dire subito ai tuoi la verità, prenditi un po' di tempo. Fallo con calma, quando ti sentirai pronta».

«Allora vado...» mormorai, facendo un cenno di saluto con una mano. Hank si sporse verso il volante, sorridendomi di nuovo, facendomi sentire inconsciamente meglio.

«A presto, Ivy».

Poi spostai lo sguardo su Charles. Anche lui mi sorrideva, ma il suo sembrava un sorriso molto più dolce e malinconico. Il ché mi fece sentire inconsciamente peggio. Distolsi lo sguardo, perché altrimenti sarei scoppiata a piangere. Con un altro cenno della mano voltai loro le spalle e mi incamminai attraverso il vialetto del mio cortile.

Presi un profondo respiro e suonai il campanello. Quando mia madre aprì la porta di casa, il tempo parve fermarsi, tutto si bloccò. Il suo sguardo era curioso, e non riuscii a scorgervi neppure un barlume di consapevolezza, senso di appartenenza o riconoscimento.

Charles puntò le dita alla tempia, restituendole i suoi ricordi di me.

«Ivy, sei tornata!»

«Mamma, ho dormito a casa di Annie» dissi tutto d'un fiato, notando il suo improvviso cipiglio preoccupato e irritato.

«Sei sempre la solita! Lo sai che devi avvertirmi quando resti fuori casa!»

Ecco la mamma, la solita vecchia, cara mamma che adora strigliarmi per ogni cosa e rinfacciarmi quanto lei alla mia età si comportasse in modo più responsabile e maturo.

Sorrisi.

Ma io non sono come te, mamma. Io sono una mutante. E se tu sapessi... ho dato una mano per salvare il mondo.

Mi stava rimproverando alla grande davanti a Charles, cantandomene di tutti i colori. Mi feci più piccola sotto il peso di una sana strigliata materna, e in quell'istante capii quanto mi fosse mancata e quanto avessi rischiato di perderla. Lei, mio padre, la mia famiglia. Non le diedi il tempo di continuare a rimproverarmi che mi gettai in avanti per abbracciarla.

«È successo qualcosa?» domandò, smorzando immediatamente il tono di voce, per poi alzarlo di nuovo, saturo di nuove ansie.

«Qualche mascalzone ti ha importunata in discoteca?!»

Scossi il capo ridacchiando, pensando che uno dei mascalzoni che mi avevano avvicinata in discoteca, alcune settimane prima, era a qualche metro di distanza da casa mia, con un dito premuto contro la tempia e -probabilmente- un sorrisetto divertito sul volto.

«No, mamma, ma cosa vai a pensare? È tutto a posto».

E ci credevo.

Prima di entrare in casa mi voltai verso l'auto di Charles ad Hank, ma loro non c'erano più.

|𝐓𝐡𝐞 𝐖𝐚𝐥𝐥| 𝘟-𝘮𝘦𝘯Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora