Capitolo Sedici

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« Ti sei incantata?»

Le dita di Kelsy coprono la mia visuale, sbatto le palpebre distogliendo lo sguardo dal caos di musica e arte ed incrocio i suoi occhi intrisi di meraviglia.

« È impossibile non esserlo», asserisco osservando come le lunghe ciocche dei suoi capelli oscillano ad ogni movimento della sua testa.

Kelsy incurva le labbra in un sorriso appoggiando il bacino al parapetto alle sue spalle. « Potrebbe essere il tuo mondo, sai? Ti ci vedo con un body, un tutù e migliaia di colori sparsi in tutto il corpo. Questa è la libertà, Bonnie», fantastica inclinando il capo.

« La libertà non è per tutti, Kelsy», sussurro. « La realtà supera l'immaginazione».

« La libertà è per chi ci crede davvero. Bisogna credere in se stessi, bisogna lottare perché solo così si raggiunge la felicità».

« Non sono forte come te, non sono forte abbastanza»

« Non vuoi esserlo», insiste. « Sii realista»

« Non ho intenzione di continuare questo discorso», mi innervosisco avvicinandomi a Kim, la quale mi sorride nel momento in cui percepisce la mia presenza.

Kelsy mi osserva pensierosa scuotendo lentamente la testa. È palesemente contraria ma non obietta ulteriormente.

Kim ci incita a seguirla e senza ulteriori indugi scendiamo gli ultimi gradini.

La mora si muove con estrema tranquillità, come se fosse abituata a frequentare posti del genere e probabilmente è così, considerata la normalità con la quale sorride e saluta chiunque incroci il suo cammino. Due ragazzi di colore alzano la mano e Kim, divertita, batte il cinque ad entrambi. Dalla canotta appiccicaticcia e dai jeans scuri che cadono morbidi sui fianchi ben delineati, deduco provengano dall'area ballo.

Così come le due ragazze che si avvicinano subito dopo, le cui code bionde oscillano ad ogni passo.

Intimidita mi guardo attorno, incrociando solo alcuni degli occhi puntati sulle nostre figure. I più curiosi bisbigliano, altri invece si limitano a piccole occhiate fugaci.

Non mi piace stare al centro dell'attenzione, a differenza di Kelsy, o semplicemente di Kim, che sembra fregarsene altamente.

Provengo, tuttavia, da una famiglia abbastanza conosciuta la cui apparenza scenica è di vitale importanza, non per me però. Stare sotto ai riflettori, avere costantemente gli occhi puntati addosso non è ciò che voglio. La sola idea mi turba, mi causa un'ansia viscerale, ed è ironico da dire quando la mia intera vita è, e continua ad essere, uno spettacolo aperto a tutti.

In effetti, dopo anni, il suddetto fastidio dovrebbe lasciare il dovuto spazio all'abitudine ma una persona come può mai abituarsi ai doppiogiochisti, alle lusinghe piene di falsità e ai sorrisi forzati? Sono buona, è vero, tendo sempre a cercare del buono in ogni persona ma non sono mica stupida. Riconosco la falsità, dopo anni di esperienza, e capisco soprattutto quando lasciare perdere e quando fingere che niente sia mai accaduto.

Fingere.

Come si può fingere davanti a tanta meschinità?

« Bonnie! Sei venuta davvero!»

Layla mi salta letteralmente addosso e per poco non perdo l'equilibrio. Si aggrappa al mio collo, stringendomi con forza, ridendo divertita quando sbuffo un lamento. Layla è piena di vita, è un tornado di energia e gioia; è impossibile non sorridere quando ti guarda con quei due occhioni verdi, puri e ingenui.

« Mi stai stritolando», biascico soffocando una risata.

« Sono contenta di vederti!»

Abbozzo un sorriso. « Ci siamo viste qualche ora fa»

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