BLACK SAPPHIRE

Capitolo Due

Bonnie's POV.

Qualsiasi individuo amerebbe vivere in una reggia degna di essere definita tale. Chiunque amerebbe essere servito e riverito senza muovere un singolo muscolo. Qualsiasi persona al mondo amerebbe avere ciò desidera solo schioccando le dita. Esistono centinaia, anzi migliaia di persone che amerebbero il lusso, lo sfarzo, la popolarità, la vita facile. Chi non vorrebbe oziare nel proprio comodo letto anziché alzarsi presto la mattina e andare a svolgere il proprio lavoro e con esso sfamare un'intera famiglia? Il carico sulle spalle svanirebbe all'istante, così come la responsabilità di sostenere a pieno il nucleo familiare. Qualsiasi persona al mondo preferirebbe la strada più facile, quella meno faticosa e, in fondo, quella più divertente... le macchine costose, i gala super chic, interi guardaroba di grandi marche. È vero che i soldi ti cambiano la vita; la stravolgono in pochissimo tempo e ti elevano alla società prima che tu possa persino accorgertene. Il denaro compra qualsiasi cosa: dalle cause al tribunale, al tacco quindici Jimmy Choo ma non compra di certo l'amore e l'affetto; I sentimenti rimangono immuni alla carta straccia.

Chiunque desidererebbe una vita del genere ma non io, l'unica figlia ed erede dei coniugi Wood.

Assurdo, vero? Eppure, ho sempre odiato questo mondo.

Vivere nel lusso sfrenato, immersa in una bolla di apatia e falsi sorrisi, tra cene di lavoro e appuntamenti pomeridiani tra donne dell'alta società, non è mai stato quello che volevo.

I soldi fanno comodo e sarebbe da ipocriti affermare il contrario ma ti tolgono tutto ciò di cui un uomo ha bisogno: l'amore di una madre, l'amore di un padre e l'affetto familiare. Quando ero piccola non facevo caso a molte cose, non davo il giusto peso alle diverse situazioni che mi si presentavano ma poi, quando ho raggiunto una certa età adolescenziale, ho capito quanto la mia vita in realtà fosse vuota.

Non ho mai ricevuto un abbraccio da mia madre, un bacio da mio padre, un sorriso sincero ed un buffetto sulla guancia. Non ho mai ricevuto la soddisfazione di sentire quanto fossero orgogliosi di me ad ogni risultato positivo a scuola, eppure sono sempre stata la prima della classe. Non mi hanno mai detto " ti vogliamo bene" e non me lo hanno dimostrato in alcun modo eppure io, da brava figlia quale sono, ho sempre cercato di compiacerli.

Ho sofferto questo netto distacco in silenzio, piangendo lacrime in estrema solitudine, rinchiusa nella mia apparentemente enorme camera, in realtà così piccola e opprimente.

La mia unica fortuna è stata Jennifer, la mia cara e dolce governante, più una seconda mamma che domestica.

L'unica che mi ha abbracciata quando più ne avevo bisogno, che ha asciugato le mie lacrime ad ogni ginocchio sbucciato e che mi ha consolata all'ennesima delusione in amore e soprattutto in amicizia. È stata l'unica ad avermi incoraggiata ad inseguire i miei sogni e l'unica ad aver apprezzato le poche scelte prese.

L'unica ad avermi stretta tra le sue braccia infondendomi l'amore che meritavo.

Chiudo la finestra della mia camera, sospirando profondamente quando i miei occhi truccati si posano sul tailleur rosso, indossato dal corpo perfettamente curato di mia madre. Si muove aggraziata, sicura di sé, come se niente e nessuno la possa scalfire ed è così. Invidio la sua sicurezza, il modo in cui tiene in pugno qualsiasi situazione mentre io, a differenza sua, fatico persino a camminare sui tacchi - sebbene l'abitudine abbia fatto il suo corso negli anni.

Sfioro i pendenti swarovski, i quali pizzicano i miei polpastrelli causando un leggero fastidio alla pelle, distogliendo lo sguardo dalla sua figura.

Il gala di beneficenza a cui prenderò parte si terrà proprio stasera, a pochi isolati dal centro di Vancouver, in una delle sale più sfarzose della città. I miei genitori parteciperanno come di consuetudine ed io, essendo loro figlia, sono costretta a passare il mio tempo in mezzo ad abiti eleganti e puzza sotto il naso.