Capitolo Trentatré

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« Studi?»

« Già », stropiccio gli occhi innumerevoli volte concedendomi uno sbadiglio. Ad ogni occhiata le pagine di questo immenso libro di anatomia sembrano triplicare, o probabilmente è solo la stanchezza che a poco a poco sembra prendere il sopravvento.

Kelsy fa capolino nella mia stanza, chiudendo con una delicatezza che non le appartiene la porta alle sue spalle, trascinando i suoi piedi nudi e dalle unghie smaltate di rosso fino alla scrivania sommersa di quaderni, altri libri, fogli e penne sparse qua e là.

« Materia alquanto interessante, non c'è che dire, ma troppo lunga, piena di dettagli da memorizzare e ricordare...»

« Non è così male». Kelsy, visibilmente scettica, solleva un sopracciglio assumendo la sua solita espressione. « È una facoltà abbastanza pesante, lunga e difficile ma le materie non sono poi così male, davvero».

« Tu non vuoi fare il medico, Bonnie, è sempre stata la tua terza scelta e per di più forzata».

Le parole di Kelsy squarciano la ferita ancora fresca. Ricordo perfettamente la scelta sofferta che dovetti prendere e il vuoto e la delusione che provai quando ricevetti il verdetto finale.

Ero tornata da poco a casa dopo una lezione estenuante di chimica, proprio il giorno prima del mio diciottesimo compleanno. Jennifer non era in casa, mio padre era in ospedale e mia madre, con mia grande sorpresa, era in salotto ad aspettarmi intenta a leggere un foglio.

Il sorrisetto che incurvò le sue labbra simili alle mie, nel momento in cui lesse ad alta voce il contenuto della prima lettera, era strano, l'impressione che mi diede fu di pura soddisfazione.

« Mamma? È arrivata?» lascio cadere il borsone all'ingresso provocando un tonfo sordo, mi catapulto in salotto strappando il foglio dalle sue mani, un gesto che stranamente non le suscita alcun tipo di fastidio.

Leggo velocemente le poche righe riportate, ansiosa e tremante ma con il sorriso sulle labbra, fin quando l'ultima frase mi uccide letteralmente dentro.

Non mi accorgo nemmeno delle lacrime di delusione che scivolano impetuose solcando il mio volto, le quali a poco a poco macchiano il foglio bianco sbiadendo i caratteri nerastri. Quelle poche parole sono state capaci di distruggere in pochi secondi la mia felicità, il mio futuro e la mia vita.

« Cosa c'è scritto? »

« Non mi hanno presa». E fa dannatamente male.

« Non abbatterti, tesoro. L'esito ha solo confermato le mie parole; nel tuo futuro non c'è spazio per la danza». E per quanto ci provi, non riesco a scorgere alcuna traccia di dispiacere nella sua voce e nei lineamenti delicati del suo viso truccato. « Ma hai superato il test di medicina con un punteggio a dir poco strabiliante. Sono fiera di te!»

Medicina.

Ero entrata in medicina ma non alla New York Academy.

Non avevo superato l'audizione.

« Ho studiato così tanto per entrare, e-ero sicura di essere… sembravano entusiasti della mia esibizione», singhiozzo stropicciando il foglio che a malapena riesco a distinguere a causa delle lacrime copiose. Non me ne frega niente dell'Università, nè di prendere il posto di mio padre come chirurgo.

Mia madre afferra la mia mano, un gesto che mi stupisce e non poco, poggiandola poi sul suo grembo. Ma basta solo un attimo per captare le sue vere intenzioni e non sono quelle di una madre premurosa pronta a consolarti. « Lo so, adesso sei delusa e arrabbiata con te stessa. Hai viaggiato troppo con la fantasia, hai costruito castelli di sabbia e l'onda anomala li ha distrutti tutti quanti ma non è la fine del mondo».

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