Capitolo Diciassette

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Un brivido di freddo investe il mio corpo e di istinto sollevo le coperte fin sotto il mento sospirando pesantemente, quando il calore di esse mi abbraccia immediatamente. Il silenzio mi avvolge e per qualche minuto ne assaporo l'essenza, dimenticando il frastuono ed il caos di voci e risate. Sono consapevole di essere ancora in questo covo di artisti semi sconosciuti, ad oziare in un letto non mio senza la minima preoccupazione. Certo, considerata l'ansia innata che mi contraddistingue dal resto dei miei coetanei - la cui colpa è principalmente dei miei genitori, con le loro assurde costrizioni e gli immensi divieti - dovrei come minimo essere preoccupata, se non sull'orlo di una crisi all'idea di dover cercare qualche scusa bella e buona da rifilare ai miei. Invece, contro ogni mia aspettativa, sono tranquilla, se non rassegnata. Rassegnata perché so bene che anche la migliore delle scuse non verrà minimamente presa in considerazione. Dovrò subirmi minuti interminabili di prediche, di rimproveri, ed il solo pensiero mi causa il mal di testa.

I miei genitori sono sempre stati perentori a riguardo: mai dormire fuori casa.

E questo è uno dei tanti punti della lunga lista.

Le parole di Kelsy frullano incessanti nella mia testa e sebbene sappia quanta ragione abbia non riesco a ribellarmi, la sola idea di mette un'ansia viscerale.

Una ribellione mi condurrebbe solo al patibolo, anche se il barlume di coraggio c'è, è presente.

Basterebbe solo prendere una posizione, basterebbe solo affrontare una volta per tutte la mia famiglia, mia madre.

Ho vent'anni, tante cose da scoprire e tante altre da conoscere. Non ho mai chiesto nulla in vita mia per non deludere le loro aspettative. Ho sempre seguito i loro progetti rinunciando ai miei. In primis la danza: la costante della mia vita. Ho rinunciato agli studi di psicologia per seguire le orme di mio padre. Fare il medico non è mai stato il mio sogno.

I miei genitori, però, non si accorgono del mio disagio, dell'infelicità che ogni giorno sembra divorarmi. O, forse, fingono di non accorgersene.

Sbatto lentamente le palpebre applicando una leggera pressione al tessuto morbido che mi avvolge. Appoggio i gomiti sul cuscino, stropicciando gli occhi ancora assonnati.

Pensare a quanto sia incasinata la mia vita ha eliminato ogni traccia di sonno.

Da quassù ho l'intera visuale del covo, dei lavori favolosi che abbelliscono le pareti e delle poche persone che, al momento, dormono in un angolo. Per chi non ama la confusione questo è il posto perfetto.

Non vi è traccia di Kelsy, di Layla o di Kim. Sembrano essere scomparse.

In preda al panico cerco il cellulare tra l'ammasso informe che mi avvolge, trovandolo ancora carico. Quando lo sblocco trovo due messaggi e diverse chiamate di Kelsy.

Da Kelsy, 00:34;

" Ti ho chiamata svariate volte ma non mi hai risposto. Sono andata via con Hunter, poi ti spiego. Per qualsiasi cosa chiamami. Non farmi preoccupare x".

Da Kelsy, 01:54;

" Ah, dimenticavo! Ho inventato una stronzata ai tuoi genitori e pare che mi abbiano creduta. Ricordati di dire che hai dormito da me".

Un respiro di sollievo abbandona le mie labbra e mentalmente la ringrazio, grata della sua premura nei miei confronti. Certo, mi ha praticamente lasciata qui da sola, sicura che avrei trovato un modo per tornare a casa, ma non riesco ad essere arrabbiata con lei quando mi ha praticamente salvata da una morte certa.

Massaggio le tempie che pulsano pensando ad un modo per tornare a casa. Non c'è nessuno che conosca che possa darmi uno strappo, salvo per un gruppetto di ragazzi e ragazze che dormono scomodamente su due panchine.

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