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Papà non l'ha presa meglio della mamma, ma almeno mi ha risparmiato i suoi commenti sarcastici, dicendo:
«Spero solo che questo ti renda felice, bambina mia», ed io avrei voluto abbracciarlo, ma non ho potuto perché ha ricevuto una telefonata e si è richiuso nel suo studio prima ancora che io potessi alzarmi dalla sedia.

«Dovreste venire a casa mia un giorno, sai, per le presentazioni ufficiali, oppure potremmo venire noi da voi...», informo Roger, seduta sul sedile della sua auto.
«Devo dirti una cosa prima...», mi interrompe.
Lo osservo senza capire il motivo della sua espressione, una via di mezzo tra la tristezza e il desiderio impellente di fare qualcosa.
«Cosa?».
«La banca non mi da i soldi al momento, dovremmo aspettare almeno fin dopo il matrimonio, prima di acquistare la casa», spiega, allungando un braccio verso di me e posandolo sulle mie spalle.
«Dopo il matrimonio?», ripeto, incredula.
L'agenzia mi aveva detto che c'erano già state offerte su quella casa e che non era rimasto molto tempo, prima che qualcun altro la prendesse, a meno che noi non avessimo fatto una proposta migliore.
Roger annuisce, ed ancora una volta non comprendo la sua espressione.
«Potrei pagarla io, ho un conto a mio nome, ed in fondo sarebbe anche casa mia, quindi perché non dovrei?», capisco di averlo colto alla sprovvista perché socchiude la bocca senza dire nulla.
«No, non credo serva... possiamo aspettare, no?», cerca di dissuadermi lui, poco convinto.
«No, a me piace quella casa, è quella che vedo nel mio futuro», ribatto, sicura, e non mi dispiace dover investire soldi miei per il nostro futuro.
Roger mi si avvicina.
«Fai come vuoi, va bene?», si arrende, baciandomi il collo, mentre io butto la testa all'indietro, sorridendo.
«Certo», concludo, prima che lui metta in moto.
Mi porterà a ristorante questa sera.
«Quindi?», domando, a metà strada.
«Quindi cosa?», si volta verso di me, confuso.
«Con i nostri genitori, come facciamo? So che si conoscono, i tuoi sono venuti molte volte alle nostre feste, ma non ufficialmente... stanno per entrare a far parte della stessa famiglia...», spiego, mentre l'emozione trasforma la mia voce in qualcosa di ridicolo.
«Ah, sì, giusto... Non saprei, dovremmo accordarci con loro... ti faccio sapere io, non ti preoccupare...», mi assicura, premendo sull'acceleratore, ma senza voltarsi verso di me.

La serata trascorre fin troppo velocemente, ma in modo splendido.
Tutte le signore sedute nei tavoli vicini al nostro non fanno altro che fissarmi l'anello, quello che mi ha regalato Roger, perché non può essere negato, sembra proprio l'anello di una sovrana, ed io è così che mi sento con lui, importante.

Dopo cena Roger si alza dal tavolo e mi invita a ballare con lui, all'esterno, sotto le stelle, sul sottofondo creato dal pianoforte lucido a coda e dai tre violini che suonano in un angolo della sala.
Balliamo fino a quando non finisce la musica, poi Roger mi riaccompagna a casa.

Il giorno seguente mi aspetto che Roger mi dica di aver parlato con i suoi genitori di noi due, ma lui non fa parola di questo, e così decido di dargli un po' più di tempo, mentre io ho già contattato l'agenzia dicendole che sono disposta ad acquistare la casa, qualsiasi sia il prezzo, e purtroppo è buona parte dei miei risparmi, ma non mi importa, sono sicura che Roger mi ripagherà di questo sacrificio, prendendosi cura di me, e dei nostri figli.
Mentre sono in giardino penso a come mi sarebbe piaciuto avere un fratello, o una sorella, avrebbero eliminato tanta solitudine dalla mai vita, ed è per questo che io voglio avere almeno due bambini e li crescerò io, mi prenderò io cura di loro, così che non potranno mai dire che sono una madre assente, e non potranno mai stare male, perché io mi curerò di loro e non farò loro mancare nulla, soprattutto l'affetto.
So cosa significa sentirsi soli, abbandonati, anche se non lo si è.
Ma nella vita non importa ciò che si è o ciò che non si è, l'importante è chi ci si sente, ed io mi sentivo sola.

Mia madre si è presa cura di me fino a quando non ho compiuto sei anni e non ho iniziato la scuola elementare, poi mi ha affidata a bambinaie e istruttrici.
Passavo i miei pomeriggi a fare i compiti con una sconosciuta che non volevo conoscere, a frequentare corsi di musica, canto, equitazione e tant'altro, con estranei che non avrebbero mai potuto essere lei, e mia madre non c'era, neanche quando tornavo e cenavo con la bambinaia che non avrebbe mai potuto amarmi come una figlia perché non era una donna capace di essere madre, proprio come la donna che mi abbandonava a lei, ed io era così che mi sentivo: abbandonata.

Avevo undici anni quando ebbi la prima crisi.
Non so come iniziò, ma ricordo bene il momento in cui capii che in me c'era qualcosa che non andava.
Ma dipendeva davvero da me questa cosa?
Erano trascorse le vacanze di Natale, passate a casa, in compagnia della poca neve che era caduta quell'anno, mentre i miei genitori erano a Cortina con i loro amici, e la scuola stava per iniziare, ma io non volevo tornarci.
Sono sempre stata brava, ma la scuola mi piaceva come ad ogni altro bambino, cioè poco, e quell'inverno il mio interesse per quel luogo era sceso sotto zero, ancora più in basso delle temperature.
Volevo solo restare a casa, avevo paura di tornare tra le mura di quell'edificio, con quei compagni che non capivano mai.
Non volevo lasciare mia madre.
Erano tornati da Cortina e sapevo che al mio ritorno a scuola la mamma sarebbe stata a casa, e non andare a scuola era l'unico modo per stare con lei.
Non frequentai le lezioni per qualche giorno, nella speranza che la mamma restasse accanto a me, ma non cambiava nulla.
Lei continuava ad uscire con le sue amiche, passava i pomeriggi a ricamare o a fare compere, senza ricordarsi che sua figlia stava male e non voleva andare a scuola.
Alla fine fui costretta a tornarci, ma non ci restai per più di qualche ora, avevo iniziato a tremare, non riuscivo più a scrivere bene e il respiro era troppo corto. La professoressa si accorse di me e mi fece tornare a casa, ma non ricevetti neanche questa volta le cure di cui avevo bisogno.
Non tornai a scuola per qualche altro giorno e poi, un pomeriggio, mentre ero con la bambinaia, e mia madre chissà dove, ebbi un attacco di panico.
Ero distesa sul divano ed iniziai a non respirare più bene, il tremolio alle mani era tornato e questa volta si estendeva dappertutto, sentivo caldo e sudavo, il cuore sembrava impazzito, quasi mi faceva male al petto, ma più di tutto avevo paura, una paura che non riuscivo ad identificare, ma sapevo che c'era.
Forse avevo timore della fine, non volevo che qualcosa finisse, forse il rapporto con mia madre, ma in quel momento avevo solo paura, e chiedevo di mia madre.
«Voglio mamma», iniziai a dire, quando la bambinaia mi si avvicinò.
Lei mi guardò con aria accondiscende, ma senza la minima intenzione di ascoltarmi seriamente, o accontentarmi.
«Voglio mamma», ripetei, e lei non si mosse, quasi avesse paura di me.
«Chiamala», continuai, allungando un braccio verso di lei, mentre la voce mi tramava e il caldo e la paura si facevano insopportabili.
Non sapevo cosa stesse accadendo, non era mai successo prima e credevo di essere sul punto di morire.
«Dov'è la mamma!?», questa volta strillai, e la donna sembrò risvegliarsi.
Mi si avvicinò, si inginocchiò accanto a me e mi accarezzò il viso.
«Shhh», sussurrò, ma senza dolcezza, era quasi un ordine.
«Tua madre non c'è, lo sai», e queste parole mi distrussero ancora un po' di più, dicevano ciò di cui io avevo paura.
«Chiamala», continuai a dire per non so quanto, ma alla fine smisi.
La donna mi prese in braccio e mi portò nella mia stanza, mise qualche cuscino sotto la mia schiena e mi accese la tv.
«Riposati», ed anche questo suonò come un ordine.
L'unico conforto mi era concesso dalle soffici coperte che mi riscaldavano, ora che non avevo più caldo, e dal dolce sottofondo emesso dalla televisione.
Alla fine sono sicura di essermi addormentata, il tremolio era scomparso, il sudore si era asciugato ed il cuore aveva ripreso a battere normalmente, solo una cosa era rimasta però.
La paura.

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Iniziamo a conoscere Golden un po' meglio, il suo passato e il suo rapporto con la madre. Cosa ne pensate?
Fatemi sapere, mentre io vi auguro buon fine settimana con 1460 baci come le parole di questo capitolo😘😘😘😘😘😘😘😘😘😘

GOLDEN-quella sera le nuvole trattennero le lacrime.         WATTYS2019Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora