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Bussano alla porta, so già chi è e non voglio aprire.
«Alba, io devo andare in ufficio, qui a casa c'è Rosalinda, la donna delle pulizie, se hai bisogno di qualunque cosa domanda a lei, tornerò a pranzo...», il suo tono era deciso, ma dopo aver ricevuto un pesante silenzio da parte mia si è fatto più debole, e sottile.
«Alba», ripete, quasi sussurrando questa volta.
Spero creda che stia ancora dormendo.
Lo sento allontanarsi, i passi pesanti che vengono attutiti dalla moquette strategica del corridoio, ed insieme a loro cado di nuovo nelle tenebre che non sono mai abbastanza buie, in confronto alla luce straziante del giorno.

Quando mi sveglio vedo dall'orologio alla parete che sono le undici del mattino.
Devo andare in bagno, ma non so dove sia.
Ho fame, ma non voglio mangiare in una casa che non è mia.
Ho bisogno di guarire, ma non trovo medicine, in questo mondo che è in grado di offrire solo veleno.
Sono costretta ad alzarmi, vado verso la porta e prima di aprirla mi accorgo del foglio che è adagiato sul pavimento.
Fred deve averlo fatto passare da sotto la porta.
Leggo cosa ha scritto.

Sentiti come se fossi a casa tua, so che non capisci il motivo per il quale mi sto comportando così, ma spero di potertelo spiegare presto.
Sono in ufficio, ma torno per pranzo, a casa c'è Rosalinda, la signora che fa le pulizie, non farti scrupolo a chiedere a lei, qualunque cosa.
Credo che tu stia ancora dormendo.
Buon risposo, Fred.

Il foglio di carta bianco resta tra le mie mani come un carbone ardente dal quale non riesco a separarmi.
Mi brucia, consuma la mia pelle, le mie ossa, le mie mani, i polsi, le braccia e si espande fino a quando non ha bruciato parte del mio petto.
Emana un calore così pungente che avrei dovuto morire già, eppure respiro ancora, vedo ancora e sento ancora.
Non merito le cure di Fred, non merito di vivere, non voglio vivere una vita che mi priva di ogni cosa, e non voglio continuare a fingere di non aver bisogno di nulla.
Ho bisogno di tutto!
Di una famiglia che mi ami, di una madre che sappia perdonarmi, di un futuro dignitoso, e di un passato meno mostruoso da ricordare.
Ma ormai è andata così.
La mia famiglia è lontana, le speranze sembrano essere state risucchiate in un posto così nascosto da non esistere neanche, e di me non resta altro che il disincanto, l'aridità.
Divento apatica, nichilista, tutto perde di significato, ed ogni cosa crolla su se stessa, come palazzi in demolizione.
Un'intera città cade a pezzi, un intero Paese cade a pezzi, il mondo intero implode, e di tutto ciò che c'era non resta neanche una nuvoletta di fumo.
Solo il ricordo.
Solo le speranze insoddisfatte e i sogni infranti.
Pezzi di vetro taglienti. Più tagliano e più si fanno affilati, e piccoli, fino a divenire granelli di sabbia e conficcarsi nella pelle, raggiungere i muscoli, il sangue.
Mi infettano, fino a quando di me non resta che il dolore.
Non ho mai temuto la fine del mondo, nessuno la teme.
Non è la distruzione a spaventarmi, ma la possibilità di risvegliarmi, dopo, ancora viva e cosciente, sola con i miei ricordi, terribili in ogni caso.
Le cose belle che non esisterebbero più farebbero solo male, ricordandomi la certezza, ogni giorno, di aver perso tutto.
Il dolore invece non mi permetterebbe di vivere, ricordandomi in ogni istante che ciò che è accaduto mi ha uccisa dentro, e morire dentro, è come annientarsi, annullarsi, non essere mai nati.
È questo che sono diventata.
Un essere mai nato.
Sto distruggendo tutto.
Brucio i ricordi ed il passato, le immagini e il dolore, nella speranza di avere di nuovo una lavagna pulita davanti ai miei occhi, così da poterla riempire con i colori che più mi piacciono.
Li userei tutti, non esiste colore più bello di un altro, persino il nero sarebbe perfetto.
Ma non ci riesco.
Bruciando il passato brucio le speranze per un futuro, brucio le mie possibilità e mi ritiro in un'altra dimensione.
Un'unica stanza resta della mia vita.
E quando avrò abolito tutte le pareti sarà davvero come se non fossi mai nata.

Esco dalla camera alla ricerca del bagno, ma mi imbatto in Rosalinda, prima ancora di poter pensare ad un modo per non incrociarla.
«Cercava qualcosa?», domanda, interessata al mio atteggiamento.
«Il bagno», rispondo.
Mi osserva, come se non approvasse la mia presenza in questa casa, e questo mi mette a disagio, ho voglia di tornare nella mia stanza, ma ho davvero bisogno di andare in bagno.
«Da questa parte», mi guida attraverso il corridoio, fino alla fine e poi svolta a sinistra, davanti ad una porta in legno bianca.
«Grazie», mi azzardo a dire, mettendoci tutto l'impegno di cui sono capace, non sentendomi a mio agio con lei.
Non risponde e mi lascia sola.
Entro dentro.
È una stanza enorme.
C'è una vasca ad angolo gigantesca, e per raggiungerla bisogna salire un gradino.
Due lavandini di marmo ultramoderni sotto ai quali è posto un tappeto beige di sei metri quadri ed un lampadario di cristallo come se ci trovassimo in una sala da pranzo.
Ma nessun ombra di un water.
Credo sia una presa in giro, deve essere nascosto da qualche parte...
Giro su me stessa, ma proprio non c'è.
Rosalinda deve averlo fatto apposta.
Esco dalla stanza e torno indietro, aprendo tutte le porte delle stanze, fino a quando non mi imbatto in un ragazzo a petto nudo che sta dondolando sulla sedia della scrivania alla quale è seduto.
Richiudo subito la porta e resto immobile.
Sapevo di essere da sola in casa...
Perché tutti mi mentono?
Perché si prendono gioco di me?
Non faccio in tempo ad ordinarmi di muovermi che il ragazzo ha riaperto la porta della sua stanza e adesso mi sta osservando.
Deve avere qualche anno in più di me, la barba di qualche giorno, le spalle nude e lievemente muscolose, il petto non è depilato ma i peli, come i capelli, sono biondicci e non si notano neanche sulla sua pelle abbronzata.
Si appoggia allo stipite della porta.

GOLDEN-quella sera le nuvole trattennero le lacrime.         WATTYS2019Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora