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Non riesco ad andare in ufficio oggi, non dopo quello che è successo ieri con Christian e prego Fred di chiamarlo e di dirgli di non passarmi a prendere.
Rimango nella mia stanza per tutto il giorno, fino a quando non capisco che è ora di preparare le valigie, perché domani partirò per New York, che lo voglia ancora o no.
Ed io non so più cosa voglio.
Sento qualcosa ribollirmi dentro, una frenesia ed un dispiacere che non avevo mai avvertito prima, e sono entrambi riferiti a come mi sono comportata ieri con Christian.
Non sono riuscita a parlarci per più di dieci minuti, prima a causa di Vanessa, poi a causa delle mie preoccupazioni ed in fine per quella paura che non smetterà mai di prendermi con sé ogni volta che vorrà.
E non so Christian cosa pensi della notte che abbiamo passato insieme a casa mia.
Non so che importanza abbia per lui, e non so neanche come prendere le sue attenzioni e i suoi complimenti, considerato che ne riserva di uguali a Vanessa, dalla quale ieri è andato a cena.
Non so neanche se hanno fatto pace.
Mi domando se non avesse preferito che andasse lei a New York, invece che io.
Ed improvvisamente non voglio più andarci, non voglio andare con Christian, perché sono sicura che lui non voglia più venire con me, anzi, forse non l'ha mai voluto.

Inizio a respirare velocemente e la vista si fa sfocata.
Devo sedermi sul letto, ho come l'impressione che il sangue si stia ritirando all'interno del mio corpo, per finire in una sorta di buco nero.
Devo calmarmi.
Io domani andrò con Christian, che lui lo voglia o no.
Non gli parlerò, gli starò il più lontana possibile e non lo disturberò.
Non voglio essere un peso per lui, e anche se non sarò la ragazza che si aspettava al suo fianco, spero almeno di non essergli d'impiccio.
Le emozioni che sentivo nel petto sono scomparse, sostituite da uno strano dolore.
Come se fosse sordo, e non sapessi da dove venisse, né da dove farlo uscire.
Christian ieri voleva essere gentile con me, ed io non gliel'ho permesso, credo di aver fatto bene, e mi sento male per aver pensato di dover fare diversamente.
Capisco che non ho nulla in questa vita, se non l'amore paterno di Fred, e il mio desiderio di scrivere.
E non chiedo altro.

Inspiro profondamente e riprendo a fare la valigia, ripetendomi che tutto ciò che avrei voluto dire di me a Christian non uscirà mai dalla mia bocca.
Nessuno saprà mai la verità.
Nessuno saprà mai del mio passato.
Nessuno conoscerà mai la mia vita.

Mi sveglio che sono appena le sette, ma devo essere pronta per le otto del mattino, così da poter arrivare all'aereoporto per le nove del mattino e partire per le undici e mezza.
Sono agitata e non so cosa aspettarmi da questa giornata.
Il viaggio con Christian mi preoccupa, ma non voglio pensarci.
Ho deciso di evitarlo.
E così farò.
Christian viene a prendermi puntuale.
Io sono già passata a salutare Fred nella sua stanza, carico la valigia in macchina e partiamo.
«Pronta?», mi domanda Christian, alla guida, ma senza voltarsi verso di me.
«Sì», rispondo secca.
«Tutto bene?», continua, alzando un sopracciglio e voltandosi dalla mia parte.
Non voglio parlargli, non voglio più nulla da lui.
Mi osserva un'ultima volta prima di tornare a guardare la strada e far si che tra di noi scenda un silenzio pieno di tensione.

Raggiungiamo l'aeroporto e aspettiamo la chiamata del volo in silenzio.
Le poltroncine d'attesa in plastica hanno il colore del cielo in inverno.
Un grigio azzurro così freddo da renderle quasi in accoglienti.
Mi lascio cadere sulla seduta e aspetto.
Le vetrate dell'enorme struttura si affacciano all'esterno.
L'asfalto nero della strada è reso umido dalla guazza notturna e alcune auto ci sfrecciano sopra, schizzando minuscole gocce d'acqua ai lati.
Vengo distratta da una famiglia che mi passa davanti, impedendomi la visuale sull'esterno.
Quattro persone dall'aria smarrita, sembra essere la loro prima volta in un aeroporto.
I due bambini, che non possono avere più di otto anni, si guardano intorno sorpresi e con il sorriso sulle labbra, nonostante debbano essersi svegliati presto anche loro.
La loro madre li osserva attenta, con la paura di perderli d'occhio, mentre al contempo cerca di controllare le valigie e ascoltare il marito che le parla di non so cosa.
Gli autoparlanti chiamano il nostro volo, Christian si alza di scatto e afferra la sua valigia, lo imito e insieme saliamo a bordo e ci accomodiamo sulle nostre poltrone.
Mi volto verso il finestrino, osservo fuori il cielo plumbeo e l'asfalto umido.
Christian non smette di riservarmi occhiate preoccupate e cariche di domande, alle quali mi affretto a sfuggire.
I suoi occhi sono sempre così verdi, nonostante io abbia smesso di voler affibbiare loro un'importanza maggiore di quella che la natura ha riservato loro, mi colpiscono ogni volta, anestetizzandomi, invogliandomi ogni volta ad aprirmi, a raccontare di me ogni cosa.
Voglio parlare con lui, non voglio che si senta in colpa per qualcosa che non ha fatto, ma non voglio neanche che qualcuno sappia del mio passato, e non so se lui meriti di conoscerlo.
Una voce annuncia di allacciare le cinture di sicurezza in diverse lingue e dopo poco l'aereo decolla.
«Golden?», mi chiama, la voce più calda e profonda che mai.
Non mi volto, mi concentro invece sull'aeroporto che si allontana sempre di più, e sulla Terra, che si rimpicciolisce ad ogni secondo.
«Golden, ti prego, di' qualcosa», continua, allungando un braccio verso di me, ma senza il coraggio di sfiorarmi.
Mi volto verso di lui, e la sua espressione sofferente mi colpisce con violenza, non credevo fosse così preoccupato.
Non so cosa dirgli.
«Cosa dovrei dire?», domando, con tono di sfida.
Non credevo avrei potuto essere così aggressiva, dopo averlo visto così colpito dal mio malumore, oggi.
«Non lo so, qualsiasi cosa, anche che mi odi e non vuoi più vedermi, ma ti prego, dimmi qualcosa, non riesco a capire cosa ho fatto di male, cosa è successo, e non sopporto vederti così lontana...», dice velocemente, quasi come avesse pensato a quelle parole troppo a lungo e non riuscisse più a tenerle dentro.
Credo ci abbia rimuginato sopra per tutto il tragitto in auto e l'attesa in aeroporto.
E mi dispiace, mi dispiace doverlo far preoccupare, ma non sopporto più di far soffrire me, pur di non far soffrire gli altri.
«Non è successo nulla», affermo, ed è la più grande bugia che potessi dire.
Perché tutto è successo, ogni cosa è cambiata da tre giorni fa, ed io non so cosa sono diventata, dove il cambiamento mi abbia portata.
«Allora perché?», domanda, confuso.
Gli rivolgo uno sguardo interrogativo ed un'alzata di spalle.
Non so cosa voglia dire di preciso.
«Credevo fossimo... amici, per lo meno, ed ora non mi rivolgi più neanche lo sguardo», spiega, osservandosi le mani.
«Da quando ho saputo che saresti venuta con me, a New York, non ho fatto altro che aspettare questo giorno, te l'ho anche detto, due giorni fa, a pranzo, che non vedevo l'ora che arrivasse oggi, che non volevo che ci fosse ieri...», sospira, e torna a guardarmi.
«E tu mi hai detto che purtroppo ieri c'era, ed era un giorno da vivere, e l'ho vissuto, ma non mi ha portato dove volevo, sono così lontano da dove volevo essere che mi seno inutile e senza senso...», i suoi occhi sono diventati così profondi da farmi sentire smarrita nelle loro ombre.
Ma non so cosa dire.
Anche per me il giorno di ieri ha cambiato tutto.
Ma è da un bel po' che per me è così.
Ogni giorno mi cambia, rendendomi una persona completamente diversa da quella che ero il giorno prima, e non riesco a capire dove questo tratto di me mi porterà, e non so neanche se dovrei averne paura, o come potrei fermarlo.
O se voglio.
Gli occhi di Christian sono a pochi centimetri dai miei, vorrei potessero essere più calmi, e limpidi, ed invece li vedo pieni di dubbi e preoccupazioni.
«Mi dispiace», ammetto, ed è la verità.
Forse dovrei aggiungere altro, forse avrei dovuto rispondere diversamente, perché il suo sguardo si spegne, prima di abbandonare il mio.
Si volta ed estrae dalla sua borsa il tablet.
Dopo pochi istanti si avvicina a noi la hostess, ma nessuno dei due ha bisogno di qualcosa.
Restiamo in silenzio per il resto del viaggio, mentre lui lavora con il tablet ed io mi perdo con lo sguardo fuori dal finestrino.
Non so più neanche a quali pensieri lasciare il permesso di entrarmi nella testa e rimanervi.
Non so più nulla, perché più cerco di convincermi che di lui non mi importa, e più la sua vicinanza distrugge ogni sforzo.
In questo momento vorrei solo che mi abbracciasse e che i suoi occhi fossero di nuovo luminosi e limpidi.
Ed il mio stesso desiderio mi fa paura, perché non lo comprendo, ma il ricordo delle sue braccia intorno al mio corpo è ancora vivido nella mia mente, e vorrei potesse non restare solo un ricordo...

GOLDEN-quella sera le nuvole trattennero le lacrime.         WATTYS2019Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora