75

70 11 16
                                    

Per l'ora di pranzo ci troviamo proprio davanti ad un ristorantino, un po' troppo piccolo, ma estremamente confortevole e accogliente.
La cameriera, una donna sulla cinquantina, ci si avvicina dopo pochi istanti con il menù.
È strano, ma quando si pensa ad una cameriera la si immagina sempre giovane e un po' provocante, questa donna sembra invece alla mano e gentile, come se fosse una madre, o una nonna.
La trovo perfetta per questo lavoro.

Dopo un po' torna da noi, prima ancora che io potessi anche solo mettere in ordine le idee, ma probabilmente è passato un bel po' di tempo da quando ci ha portato i menù.
Christian si è completamente perso tra le pagine del piccolo depliant, mentre io non sono riuscita a dare un filo logico ai miei pensieri.
Ed allora eccoci qui.
La donna che ci chiede se siamo pronti per ordinare, ed io che non riesco a fare nulla, se non fissarla con la bocca leggermente socchiusa, come in una sorta di trance.

«In una coppia di solito si fa decidere prima alla ragazza», afferma, voltandosi verso di me, ma io non so proprio cosa ordinare.
Cerco appoggio nello sguardo di Christian, ma sembra perso anche lui.
«Il menù del giorno?», propone la donna, come se avesse capito che il menù non ci è stato molto utile.
Ma il fatto è che sono rimasta alle sue parole.
Più precisamente.
Al fatto del "in una coppia", e al fatto che nessuno dei due, né io né Christian, ha specificato che non siamo una coppia.
«Sì, andrà benissimo, due menù del giorno allora», risponde Christian, con un perfetto accento americano.
La donna ci sorride, appunta qualcosa e poi se ne va.
Dopo poco arrivano con degli spuntini che ci servono insieme a del vino bianco.
«Conosci l'americano?», mi domanda Christian, non capisco il motivo della sua domanda, ma rispondo comunque con un sì.
Credo di sapermela cavare abbastanza bene, dopotutto le lezioni che mia madre mi obbligava a seguire non sono state così inutili...
Christian annuisce e poi torna a guardare il suo piatto vuoto.
La donna torna velocemente con la nostra ordinazione.
Mangiamo in silenzio, sorridendoci ogni tanto, e alla fine è lui a parlare, prima di alzarci per andarcene.

«Non sai quanto vorrei che questa giornata non finisse mai, se solo penso che tra quattro ore dovrò essere ad un'altra riunione mi viene voglia di sparire».
Gli sorrido, comprensiva.
Anche io vorrei che questa giornata non finisse più.
Mi sento così bene con lui...
Non sono mai stata così bene.
Né dopo Roger, né con Roger, né prima di Roger.
Mai in tutta la mia vita.

Ed è una cosa bellissima e nuova, e non so come prenderla, ma mi piace, ed al momento mi accontento di questo.
Che mi renda felice.
Continuiamo a passeggiare per tutto il pomeriggio.
Christian mi compra una rosa rossa da uno di quei venditori per la strada e poi si mette a gridare il mio nome quando gli dico che tanto qui nessuno crederà che io mi chiami così, ma solo che Christian è un pazzo che va gridando in giro dorato.
Alla fine sono costretta a corrergli in contro e tappargli la bocca con le mani, che lui mi afferra e mi bacia.

«Come sta la mia rosa?», mi domanda, mentre siamo sul taxi per tornare in hotel.
«Un po' appassita, ma credo sopravvivrà alla notte».
«Quanto le resta?».
«Un giorno, forse meno», non posso smettere di ridere.
Mi sento così felice...
Non voglio che questo taxi si fermi.
Non voglio che ci dividano le ore.
O i metri.
Non voglio altro che restare così.
Seduta accanto a lui, con la testa posata sulla sua spalla, mentre lui mi accarezza il braccio destro con la mano.
Ma il taxi si ferma, e prima del previsto.
Dobbiamo scendere e tornare nella nostra suite.
Christian si deve cambiare per andare alla cena di questa sera, ed io mi devo preparare a restare di nuovo sola.
Ma questa volta andrà diversamente.
Ne sono sicura.
Deve andare diversamente.
Non voglio che si ripeta ieri, e se non lo voglio non accadrà.

Non appena rientriamo vado verso la mia stanza, ma Christian mi ferma.
«Hai portato un abito da sera?», mi domanda, speranzoso.
Lo guardo, confusa.
Credevo avesse un incontro d'affari, e che il nostro tempo a disposizione fosse finito.
Annuisco, mentre aspetto che mi dia spiegazioni.
«Allora vieni con me, mi farebbe tremendamente piacere, se ci fossi anche tu», mi invita, cogliendomi alla sprovvista.
Ma non posso che accettare e saltare dalla gioia.
«Grazie», gli dico, sorridendo.
«Ero sincero quando ti ho detto che non avrei voluto che questo giorno finisse, che non vorrei dovermi allontanare da te», mi ripete.
Ed il mio cuore sorride, il mio cuore si trasforma in un mare tempestoso in cui infuria la pioggia, il vento, e poi si aggiunge il sole e la neve, lampi e fulmini ed in fine un arcobaleno all'orizzonte.
Il mondo sta impazzendo e finalmente io credo di capirne qualcosa.
Christian mi lascia andare ed io corro nella mia stanza.
Dovrò essere impeccabile questa sera, nessuno dovrà avere qualcosa da ridire.
Indosso le mie calze scure, l'abito di cotone pesante nero con delle rifiniture fatte di brillantini ed in fine i miei bracciali d'oro.
Mi sento apposto, pronta per passare questa serata con Christian e purtroppo in compagnia di altri sconosciuti che non ho neanche il desiderio di conoscere.

La cena inizia alle otto esatte, nessuno parla di affari, ed io non riesco a distogliere gli occhi da Christian, nonostante senta lo sguardo invadente dei restanti cinque ospiti, tre uomini e due donne, su di me.
Mi osservano tutti, come se fossi l'attrazione della serata, e mi sento terribilmente in imbarazzo.
Forse è anche per questo che decido di non distogliere lo sguardo dal volto sereno e felice di Christian.
Prima del dolce decido di andare in bagno, ho bisogno di prendere un po' d'aria, e di sentirmi sola dopo aver passato più di due ore in quell'atmosfera opprimente.
Entro in bagno e mi poggio al lavandino.
Mi fisso allo specchio.
Sono io.
La Golden di sempre.
La stessa di mesi fa.
La stessa che credeva ancora in Roger...
La stessa fronte spaziosa e liscia, le stesse sopracciglia appena curvate e gli stessi occhi distanti e grandi, azzurri.
Lo stesso naso dritto e proporzionato e la stessa bocca che da l'idea di un cuore.
C'è qualcosa di diverso, però.
Forse gli zigomi.
Più pronunciati, a causa degli angoli delle labbra all'insù.
Continuo a sorridere.
Sorrido da questa mattina.
E non ho la minima voglia di smettere di farlo, né di smettere di pensare a Christian.
Sorrido alla mia immagine e per la prima volta mi vedo felice.
Mi pizzico le guance così che prendano un po' di colore e poi torno fuori.

«Ciao», sobbalzo.
L'uomo seduto alla destra di Christian, a cena, è poggiato al muro, accanto alla porta del bagno.
Gli sorrido.
«Ciao», rispondo, continuando a camminare.
Mi afferra per una mano.
«Dove vai? Bellissima», chiede, strizzandomi un occhio.
Un brivido mi sta spezzando la schiena, la fa a pezzi.
Mi sento svenire.
Voglio gridare.
Ma forse è solo uno dei miei incubi.

«Vieni qui», mi stringe ancora di più a sé, fino a farmi sbattere contro il suo petto.
Mi accarezza la schiena, mi osserva il viso, le labbra, ed io mi sento morire.
Una volta.
Due volte.
Tre volte.
Credo potrò morire all'infinito, in ogni istante che mi resta, senza morire mai davvero, se nessuno si decide a prendere il mio maledetto cuore dal petto e stritolarlo, fino a farlo fermare per sempre.
L'uomo di cui non ricordo più neanche il nome, ma che non può avere più di quarant'anni, mi prende per le spalle ed in un unico movimento veloce mi fa voltare, fino a farmi ritrovare con la schiena schiacciata contro la parete rivestita di stoffa verde.
Mi osserva un'ultima volta, prima di portare la sua bocca sul mio collo, inspirare il mio profumo, ed infine baciarmi la pelle.
«Quel ragazzo non può tenersi qualcosa di così bello tutta per sé...», si riferisce a Christian?
Le sue labbra sono roventi, mi stanno marchiando.
O forse sono così fredde da sembrare di fuoco, e bruciano ancor più della fiamma.
Le sue mani mi toccano il seno, ed io non vorrei altro che morire.
L'istinto mi obbliga a dimenarmi, a scalciare, ma sono così debole, mi sento così debole, che non riesco quasi a tenermi in piedi.
L'uomo con una mano mi ferma le braccia sopra la testa, mentre con l'altra scende dal collo, fino al seno, fino al ventre e poi sempre più giù.
Devo dargli un calcio.
Devo farlo adesso.
Devo.
Prima che sia troppo tardi.
Un calcio.
Adesso.
Ma non ricordo come si muovono le gambe.
Devo.
Alzo il piede.
E poi la sento.

«Golden!», la sua voce.
Il mio nome.
L'uomo viene scaraventato via.
Non me ne rendo neanche conto.
I miei occhi sono chiusi.
Non so da quanto.
Le mie gambe non reggono più.
Le ginocchia si piegano.
Ed io sto cadendo.
Struscio contro la parete.
Toccherò il suolo.
Due braccia mi sorreggono, mi tirano su, mi stringono a sé, ed il profumo familiare di una giornata di sole mi abbraccia.
Christian è qui.
Ed io sto tremando.
Non riesco a smettere.
Lacrime silenziose mi solcano il volto, scivolano sul collo e si lasciano assorbire dalla giacca di Christian.
Mi sento solo inutile.
Vuota.
Insensata.
E stavo per morire.
Per l'ennesima volta.
Ma forse qualcosa è andato storto, questa sera.

_______________________________________________________

Purtroppo la bellezza non sempre è un bene, in un mondo in cui si pensa ancora che tutto ciò che vogliamo possa essere nostro...
E Golden lo ha sperimentato sulla sua pelle più di una volta, ormai...
1640 baci parolosi per voi dreamers, che possano portarvi un po' di arietta fresca in queste giornate estive😘😘😘😘😘😘😘😘😘😘😘😘😘😘😘

GOLDEN-quella sera le nuvole trattennero le lacrime.         WATTYS2019Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora